16 febbraio 2008

L'umiltà di Cristo verso gli Apostoli chiave per comprendere l'essenza del sacerdozio: così Benedetto XVI al termine degli esercizi spirituali


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L'umiltà di Cristo verso gli Apostoli chiave per comprendere l'essenza del sacerdozio: così Benedetto XVI al termine degli esercizi spirituali della Quaresima predicati dal cardinale Vanhoye

Il sacerdozio di Gesù è un esempio sorprendente di umiltà e di solidarietà, che è necessario riscoprire per poterne essere partecipi in profondità. Con questo pensiero, Benedetto XVI ha suggellato la conclusione degli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano, predicati dal cardinale gesuita, Albert Vanhoye. Il Papa ha ringraziato con calore il porporato, che in precedenza aveva tenuto l’ultima meditazione sul tema del rapporto tra il sacerdozio ministeriale e il cuore sacerdotale di Cristo. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La riflessione e l’ascolto vissuti nella discrezione della cappelletta laterale a lui riservata - a destra dell’altare della più grande cappella Redemptoris Mater - mentre gli occhi si soffermavano a lungo sull’immagine di Gesù chino a terra che lava i piedi agli apostoli. E’ trascorsa così la settimana di esercizi spirituali quaresimali di Benedetto XVI.

Lo ha raccontato lui stesso al termine delle meditazioni tenute quest’anno dal cardinale gesuita, Albert Vanhoye.

Un’immagine, quella della Lavanda dei piedi, che ha dato in certo senso “corpo” alle parole del predicatore: in essa, la figura di Pietro che chiede di essere lavato anche sulla testa e sulle mani esprime, secondo Benedetto XVI, la difficoltà di capire la reale, grande portata del sacerdozio di Cristo, la cui essenza - ha soggiunto rivolgendosi al cardinale Vanhoye - sta proprio in quella posa di estrema umiltà di Gesù, ritratta nell’immagine:

“Attraverso le Sue meditazioni questa immagine ha parlato a me. Ho visto che proprio qui, in questo comportamento, in questo atto di estrema umiltà si realizza il nuovo sacerdozio di Gesù. E si realizza proprio nell'atto della solidarietà con noi, con le nostre debolezze, la nostra sofferenza, le nostre prove, fino alla morte. Così ho visto con occhi nuovi anche le vesti rosse di Gesù, che ci parlano del suo sangue. Lei, signor cardinale, ci ha insegnato come il sangue di Gesù era, a causa della sua preghiera, "ossigenato" dallo Spirito Santo. E così è divenuto forza di risurrezione e fonte di vita per noi”.

Benedetto XVI ha lodato la “competenza teologica” e la “profondità spirituale” che hanno intessuto le riflessioni del cardinale Vanhoye: ci hanno permesso, ha affermato, di “imparare di nuovo” cos’è il sacerdozio di Cristo e cos’è il nostro, “ad entrare nella partecipazione al sacerdozio di Cristo e così anche a ricevere il nuovo cuore, il cuore di Gesù, come centro del mistero della nuova Alleanza”. E proprio sulla stretta relazione tra il cuore di Gesù e il ministero dei sacerdoti il porporato gesuita aveva imperniato l’ultima meditazione di stamattina. Nell’Antico Testamento, ha sottolineato con chiarezza, il sacerdozio non ha alcun rapporto con il cuore. Si tratta di una constatazione triste ma vera, ha osservato: in quei testi millenari si parla spesso del cuore del re - talvolta con poesia e retorica - ma mai del cuore di chi amministra il culto:

“Il culto antico non ha nessun rapporto con il cuore. Il culto è definito dalla legge, si attua con riti convenzionali, esterni. Il sacerdote deve compiere i riti, e basta. Gesù ha sostituito questo rito esterno, convenzionale con un culto personale, esistenziale, che parte dal suo cuore”.

Il cardinale Vanhoye ha passato in rassegna alcuni passi della Bibbia, nei quali alcuni profeti già anticipavano la necessità di un cuore rinnovato, capace di entrare in dialogo con Dio. Il modello arriva con il Nuovo Testamento: è il cuore perfetto di Gesù - un cuore in piena comunione col Padre - che tuttavia l’Incarnazione e la Passione trasformano profondamente per un suo atto di suprema generosità. Gesù assume un cuore di carne per rinnovare i cuori di ogni persona passando, ha affermato il porporato, attraverso un momento - quello della Passione - quanto mai contrario all’amore, perché dominato dalla crudeltà e dalle torture. E’ qui che Cristo diventa sacerdote perfetto e il suo cuore, nella Chiesa di tutti i tempi, continua a manifestarsi attraverso la mediazione dei ministri, chiamati ad avere le medesime qualità del loro capo: un cuore umile verso Dio, un cuore mite verso il prossimo:

“Per essere sacramento di Cristo sacerdote, il vescovo, il presbitero deve essere unito al cuore di Cristo nelle sue due disposizioni fondamentali: la docilità verso Dio, la misericordia verso gli uomini. Deve avere un cuore filiale verso Dio Padre ed un cuore fraterno verso le persone umane”.

Gesù, ha proseguito il predicatore degli esercizi, associa gli apostoli, e quindi i vescovi e i sacerdoti, al suo sacerdozio. Di più, con l’Ultima cena mette letteralmente il proprio corpo, il proprio cuore, nelle mani dei presbiteri perché lo distribuiscano agli altri. In fondo, ha concluso il cardinale Vanhoye, la vita cristiana consiste nel ricevere e nell’avere nel proprio il cuore di Gesù.

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