6 agosto 2008

Il 6 agosto di 30 anni fa, la morte di Paolo VI, testimone coraggioso della Verità in dialogo con l’uomo e la cultura del nostro tempo (R.V.)


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Il 6 agosto di 30 anni fa, la morte di Paolo VI, testimone coraggioso della Verità in dialogo con l’uomo e la cultura del nostro tempo

Come rammentato da Benedetto XVI, all'Angelus di domenica scorsa, il 6 agosto 1978, Festa della Trasfigurazione, tornava alla Casa del Padre, Paolo VI. Un umile e coraggioso testimone della Verità, apostolo della pace, uomo del dialogo tra i popoli e le culture che seppe portare a compimento il Concilio Vaticano II con saggezza e lungimiranza. A trent'anni dalla morte di Papa Montini, ripercorriamo gli eventi fondamentali del suo Pontificato nel servizio di Alessandro Gisotti:

“Fidem servavi”, ho conservato la fede: in questa affermazione, pronunciata pochi giorni prima della morte, c’è tutto il Pontificato di Paolo VI. Un Papa, mite e fermo, innamorato della Verità, che guidò la barca di Pietro in anni burrascosi per la Chiesa e per il mondo. Eletto al soglio pontificio il 21 giugno del 1963, Papa Montini ha subito davanti a sé una sfida epocale: portare a compimento il Concilio Vaticano II, nato da un’intuizione profetica di Giovanni XXIII, ma che, dopo gli entusiasmi iniziali, rischia di arenarsi. Nella Messa di inizio Pontificato, il 30 giugno del 1963, Paolo VI non nasconde le sue preoccupazioni e prospetta ai fedeli la sua visione della Chiesa:

“Difenderemo la santa Chiesa dagli errori di dottrina e di costume, che dentro e fuori dei suoi confini ne minacciano la integrità e ne velano la bellezza; Noi cercheremo di conservare e di accrescere la virtù pastorale della Chiesa, che la presenta, libera e povera, nell’atteggiamento che le è proprio di madre e di maestra”.

Tre mesi dopo, il 29 settembre, Papa Montini apre solennemente la seconda sessione del Concilio.
Nel suo discorso inaugurale, enumera le quattro finalità di questo evento straordinario: l’esposizione dottrinale della natura della Chiesa; il suo rinnovamento interiore; l’incremento dell’unità dei cristiani e il dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo. Paolo VI, che da arcivescovo di Milano aveva preso parte alla prima sessione conciliare, non sarà semplicemente “il notaio del Concilio”. Segue con cura e passione i lavori, interviene con saggezza nelle circostanze più delicate. E il 7 dicembre del 1965 chiude l’assise ecumenica con sentimenti di gioia e commozione:

“Concilium hoc nostrum posteris eiusmodi Ecclesiae imaginem tradet…

Questo Concilio consegna alla storia l’immagine della Chiesa cattolica raffigurata da quest’aula, piena di Pastori professanti la medesima fede, spiranti la medesima carità, associati nella medesima comunione di preghiera, di disciplina, di attività, e - ciò ch’è meraviglioso - tutti desiderosi d’una cosa sola, di offrire se stessi, come Cristo nostro Maestro e Signore, per la vita della Chiesa e per la salvezza del mondo”.

Nei suoi quindici anni di Pontificato, Papa Montini si impegnerà alacremente per la pace nel mondo, anche attraverso un rinvigorimento della dimensione missionaria della Chiesa, sottolineata nella Esortazione Evangelii nuntiandi. Istituisce una Giornata della Pace, da celebrare ogni primo gennaio. E si fa apostolo di pace fino ai confini della terra con i suoi nove viaggi apostolici internazionali che lo porteranno a toccare tutti e cinque i continenti.
Memorabile il suo discorso all’assemblea delle Nazioni Unite a New York, il 4 ottobre del 1965, il suo grido contro la guerra:

“Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre! C'est la paix, la paix…”

“Mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!”. Paolo VI non è indifferente alla sofferenza delle nazioni africane affrante dalla miseria. Nel 1967 viene pubblicata l’Enciclica Populorum Progressio. “Lo sviluppo – scrive il Pontefice – è il nuovo nome della pace”. Ma, spiega, deve essere uno sviluppo integrale “volto alla promozione di ogni uomo, di tutto l’uomo”. Con il Concilio, la Chiesa viene “aggiornata”, rinnovata profondamente. In molti, però, vogliono darne un’interpretazione ora progressista ora conservatrice che non coglie il significato autentico dell’avvenimento. Le turbolenze postconciliari faranno molto soffrire Paolo VI, che però non rinuncerà a testimoniare la Verità, convinto, come Sant’Agostino, che la felicità altro non è che la gioia della verità, “gaudium de veritate”.
Il caso più eclatante, in tal senso, è la pubblicazione nel 1968 dell’Humanae Vitae. L’Enciclica, incentrata sull’amore coniugale responsabile, ribadisce il “no” della Chiesa all’uso dei sistemi artificiali di contraccezione. Nell’anno simbolo della contestazione, Paolo VI viene fatto oggetto, anche nel mondo cattolico, di critiche roventi, che a volte degenerano in insulti. E’ stata, quella di Papa Montini, una scelta sofferta, lungamente meditata. Il 4 agosto del 1968, all’Angelus, il Papa ne spiega le ragioni con limpida coerenza:

“La Nostra parola non è facile, non è conforme ad un uso che oggi si va purtroppo diffondendo, come comodo e apparentemente favorevole all’amore e all’equilibrio familiare. Noi vogliamo ancora ricordare come la norma da Noi riaffermata non è Nostra, ma è propria delle strutture della vita, dell’amore e della dignità umana”.

Promotore della “civiltà dell’amore”, Paolo VI affiancherà ai suoi sforzi per la pace, un costante e fruttuoso impegno ecumenico, nella convinzione che, solo se uniti, i cristiani potranno essere fattore di riconciliazione tra i popoli. Storico il suo incontro a Gerusalemme con il Patriarca di Costantinopoli Atenagora, nel 1964. Il loro fraterno abbraccio commuove cattolici ed ortodossi. L’anno dopo viene finalmente revocata la scomunica che le due Chiese si erano lanciate nel 1054. Passi avanti vengono compiuti anche nel dialogo con gli anglicani. Nel 1966, Paolo VI incontra l’arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey. Tre anni dopo è a Ginevra, in visita al Consiglio ecumenico delle Chiese. Dotato di grande sensibilità, nel 1978 Paolo VI vivrà un momento drammatico proprio quando la sua vita volge ormai al termine: il rapimento dell'amico Aldo Moro. Numerosi e vibranti gli appelli direttamente agli “uomini delle Brigate Rosse”, a partire dall’Angelus del 19 marzo, tre giorni dopo il sanguinoso sequestro in via Fani:

“Preghiamo insieme per quanti, in questi giorni, soffrono, portando più viva in se stessi l'impronta della passione di Gesù: per le famiglie che piangono i loro cari, stroncati nel compimento del loro dovere da un insensato odio omicida che ancora una volta ha voluto minare la pacifica convivenza sociale; preghiamo per l'onorevole Aldo Moro, a noi caro, sequestrato in vile agguato, con l'accorato appello affinché sia restituito ai suoi cari”.

Uomo di grande cultura, amante dell’arte e della letteratura, Paolo VI riscoprì il valore del mecenatismo, della Chiesa committente di opere d’arte. Scorzelli, Manzù e Nervi sono alcuni degli artisti più noti che lavorarono per la Santa Sede durante il suo Pontificato. Potenziò la Radio Vaticana e la Pontificia Accademia delle Scienze, esortò gli uomini di cultura a servire la verità, a promuovere la dignità dell’uomo creato a immagine di Dio. Tra i tanti frutti del suo ministero petrino va ricordata anche la riforma della curia e quella della liturgia e la celebrazione dell’Anno giubilare del 1975. Il 29 giugno del 1978, a poco più di un mese dalla sua morte, Paolo VI poteva affermare, come San Paolo, di aver combattuto la buona battaglia del Vangelo:

“Il nostro ufficio è quello stesso di Pietro, al quale Cristo ha affidato il mandato di confermare i fratelli (Cfr. Luc. 22, 32): è l’ufficio di servire la verità della fede (…) Ecco, Fratelli e Figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. «Fidem servavi»! possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il santo vero”.

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