26 marzo 2007

Commenti e riflessioni...


L'inferno esiste, ed è per quanti chiudono il cuore all'amore di Dio. Il commento del priore di Bose, Enzo Bianchi, alle parole del Papa

Hanno suscitato numerosi commenti, di vario genere, le parole del Papa sull’esistenza dell’inferno, pronunciate ieri durante la Messa nella parrocchia romana di Santa Felicita e Figli Martiri. Benedetto XVI ha ricordato che Gesù è venuto “per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore”. Su queste parole ascoltiamo la riflessione del priore della Comunità ecumenica di Bose, Enzo Bianchi, intervistato da Sergio Centofanti:

R. - Innanzitutto il Papa ha ricordato lo stesso messaggio che in altri termini dice Paolo nella lettera a Timoteo: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati. Questa è la volontà di Dio e Gesù è venuto per dirci questa verità e per indicarci una strada di salvezza. Indubbiamente c’è anche da ricordare, come hanno fatto i profeti, come ha fatto Gesù stesso, che ci sarà però un giudizio di Dio. Se non ci fosse il giudizio, la nostra vita sarebbe assurda, significherebbe che tutti possiamo vivere come vogliamo, senza gli altri, contro gli altri, facendo del male e avere lo stesso esito. Il Papa ha fatto quindi bene a ricordare che c’è la possibilità dell’Inferno, la possibilità di scegliere da parte dell’uomo una via mortifera che lo porta a questa assenza di Dio, perché l’Inferno è assenza di Dio, è assenza di vita, è assenza di amore. E’ triste che ci si stupisca di questo, il problema è che oggi non si predica più, purtroppo il giudizio lo si ricorda poco all’interno delle nostre assemblee ecclesiali.

Ma se non c’è il giudizio finale, universale, come potrebbe esserci un senso alla nostra vita con un esito uguale per chi è stato oppressore, per chi è stato violento, per chi è stato assassino e per chi è stato vittima?

Il Papa ha fatto molto bene a ricordare questo. Ciò non toglie che come molti santi, molti mistici e soprattutto un ultimo teologo carissimo a Benedetto XVI, von Balthasar, ci chiedono di sperare per tutti. Non si tratta di negare l’Inferno, di negare questa condizione senza Dio perché è nelle parole di Gesù, ma si tratta certamente di sperare, di chiedere a Dio che la sua misericordia nel giudizio, operi quello che per noi è impossibile: la salvezza di tutti. Questo non significa relativizzare l’Inferno o pensare che dunque c’è un esito comune per tutti gli uomini. Ben vengano le parole di Benedetto XVI.


D. – Quindi l’Inferno è legato alla libertà...

R. – L’Inferno è legato alla libertà di ciascuno di noi perché anche se noi siamo attirati, sedotti dal male, noi possiamo certamente resistervi ed in ogni caso chiedere la misericordia di Dio. Ma se uno non resiste al male, anzi si dà in balia del male liberamente e non pensa neanche di avere bisogno della misericordia di Dio, l’esito sarà una vita senza Dio, senza vita, senza amore, cioè quello che all’interno delle Scritture viene chiamato l’Inferno, dove regna la morte, non regna l’amore, non c’è la presenza di Dio.

Radio Vaticana


L'Europa non rinneghi se stessa rifiutando le proprie radici cristiane: sull’appello del Papa, la riflessione del cardinale Erdő, del vescovo Merisi e del prof. Baggio

L’Europa ritrovi se stessa, valorizzando le proprie radici cristiane: ha destato ampia eco l’intervento di Benedetto XVI, sabato scorso, ai partecipanti al Congresso della COMECE, la Commissione delle Conferenze Episcopali d'Europa. Un discorso appassionato nel quale il Papa ha messo l’accento sui valori che devono guidare la costruzione della casa comune europea, pena la negazione della sua stessa identità. Un appello quanto mai urgente, anche alla luce della Dichiarazione di Berlino, approvata ieri dal Consiglio Europeo, che non menziona le radici del Vecchio Continente. Per una riflessione sul discorso del Papa ai vescovi dell’Europa, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Lodi, Giuseppe Merisi, delegato della CEI alla COMECE:

Sia i vescovi con la loro testimonianza, sia i laici nei diversi settori di competenza, sono chiamati a riproporre con coraggio, con fedeltà, il riferimento a questi grandi valori. Poi questi valori vanno coltivati, testimoniandoli. I vescovi hanno prodotto e proposto un loro messaggio che è stato consegnato al presidente Romano Prodi e agli altri capi di Stato e di governo riuniti a Berlino. In questo messaggio c’è un riferimento ai grandi valori che da sempre animano il cammino della comunità con l’invito a riconoscere le radici cristiane e anche le tematiche che in questo momento sono presenti sul tavolo del dibattito e ci preoccupano: la vita, la famiglia. Dobbiamo camminare insieme rispettando le diversità, visto che c’è anche un lavoro da fare per incoraggiare i laici in Europa. Speriamo che possano raccordarsi di più.


D. – Molti cittadini europei, ha constatato il Papa, stanno perdendo fiducia nel proprio avvenire. Quanto influisce, secondo lei, lo smarrimento delle proprie radici su questa crisi di identità e di valori?

R. – Noi siamo chiamati, come afferma giustamente il Papa, a riproporre con chiarezza, con fedeltà, il senso del messaggio cristiano che attraverso la mediazione della dottrina sociale della Chiesa è offerto per la promozione del bene vero della gente. Nel caso delle popolazioni dell’Europa, non siamo chiamati unicamente a dire che siamo fedeli ad un nostro messaggio ma a far sentire che questo messaggio è di aiuto se viene accolto e messo in pratica nel cammino dell’Europa.


D. – Sono passati 50 anni dalla firma dei Trattati di Roma. Quali sono le sue aspettative per il futuro e quale il contributo che le Chiese, le comunità religiose, ed in particolare gli Episcopati europei possono dare alla costruzione di questa casa comune europea?

R. – Credo che ci sia da riflettere, da impegnarsi. Anche a Verona la Chiesa italiana, riflettendo sul tema della speranza e della testimonianza, ha insistito su questo tema della testimonianza, anche in Europa. I problemi che abbiamo in Italia relativi all’evangelizzazione, ma anche alla promozione umana con attenzione alla questione antropologica, devono diventare anche il nostro impegno: testimoniare, evangelizzare, e favorire la promozione umana per il bene vero della gente.


Nel suo discorso alla COMECE, Benedetto XVI ha anche sottolineato che quando la comunità non rispetta la dignità dell’essere umano finisce per non fare il bene di nessuno. Su questo richiamo del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il professor Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale presso la Pontificia Università Gregoriana:

R. – Credo che, ed emerge molto bene dal discorso del Papa, assistiamo a una debolezza dell’intera identità europea. Quindi, la debolezza anche dell’affermazione dei valori e dei diritti umani o addirittura il non vedere certi diritti, specie quando sono dei più deboli. Sono tutte cose che stanno in piedi insieme. Quel che mi ha colpito particolarmente del discorso del Papa è che questa sottolineatura, questa affermazione dei diritti, è collegata all’idea di identità d’Europa. Il Papa in sostanza ha detto: l’Europa si è costituita sulla base di alcuni valori, immessi dal cristianesimo. Il cristianesimo ha dato un grande contributo, non è l’unica corrente ma certamente è l’elemento fondamentale. Su questi diritti e su questi valori si è fatta l’Europa e se viene meno il riconoscimento di questi valori e di questi diritti viene meno l’identità dell’Europa e il rispetto per le persone.


D. - Il Papa ha messo l’accento su quelle tendenze relativistiche che negano ai cristiani il diritto stesso di intervenire. Quali strumenti hanno dunque i cristiani dell’Europa e i laici in particolare per far sentire la propria voce?

R. - Io intendo che il Papa abbia sottolineato la presenza in quanto cristiani, perché come cittadini i cristiani hanno gli stessi diritti degli altri. E’ in quanto cristiani, forse, che qualche volta ci sono delle discriminazioni. Però è anche vero che non bisogna farsi intimidire. Il Papa esorta a questa presenza, presenza che deve essere decisa quanto all’identità e alle idee ma anche rispettosa. Ci vuole decisione, ma io esorterei anche a imparare il linguaggio universale, saper dire le nostre cose di cristiani con un linguaggio che tutti possano capire.


D. - La disaffezione che provano molti cittadini europei verso le istituzioni è il sintomo di una mancanza di valori. Dunque, qual è la base su cui costruire la nuova Europa, al di là degli interessi politici e economici?

R. – Il Papa si occupa molto nel suo discorso di questo aspetto. Il Papa critica fortemente il concetto corrente di azione politica che si basa sul pragmatismo, cioè sull’idea che sia importante mettersi d’accordo sugli interessi materiali. Dice esplicitamente che questo bilanciamento degli interessi, lui lo chiama anche “ponderazione dei beni”, non è sostitutivo del bene comune. Il bene comune è un fine dell’azione politica della società che ha un aspetto morale e se ha un aspetto morale dobbiamo chiederci dove vogliamo andare, indipendentemente dai beni materiali che riusciremo ad acquisire. Allora fare politica richiede avere un’identità e se l’Europa non ha un’identità e non recupera i valori non può neanche raggiungere il bene comune.


E sui valori fondanti dell’Europa, si sofferma anche il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, intervistato dalla nostra collega del programma ungherese, Marta Vertse:

L’Unione Europea, nella forma attuale, ci offre una grande occasione per la riconciliazione dei popoli. Non si tratta ormai soltanto e soprattutto di una collaborazione puramente economica, ma anche di una unione piuttosto umana e comunitaria e che forse può aiutarci nella riconciliazione e anche nella guarigione delle ferite del passato. Dall’altra parte, in questa occasione così solenne, bisogna riflettere anche sui valori che vengono rappresentati dall’Unione Europea attualmente; certamente alcuni valori naturali, fondamentali e i valori della nostra identità cristiana sembrano essere non soltanto non sufficientemente rappresentati ma persino minacciati. Cerchiamo naturalmente di far valere, all’interno del sistema dell’Unione, tutti questi valori ma bisogna trovare anche il modo di rinforzarli nella realtà sociale e sociologica dei popoli perché senza di questo sicuramente, con dei mezzi soltanto giuridici, non si riuscirà a rappresentare sufficientemente questi valori così importanti per la stessa sopravvivenza di questi popoli.

Radio Vaticana

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