28 marzo 2007

Ancora sull'inferno...


SE L’INFERNO RITORNA A FAR NOTIZIA

Quel sommesso accenno del Papa rompe la solitudine
di chi offre indifferenza in cambio d’indifferenza,
richiama alla coscienza. Ma chi ripeterà le sue parole?


Gianni Baget Bozzo

Correva l’antico avvertimento: «Ricordati i tuoi novissimi e non peccherai», diceva la saggezza cristiana. I «novissimi» erano gli ultimi avvenimenti della vita umana oltre il tempo: la morte, il giudizio, l’inferno, il paradiso. Oggi il motto non corre più nemmeno nelle parrocchie, forse nemmeno nei movimenti, salvo i neocatecumenali. Eppure il Papa ha sentito l’obbligo pastorale perché dottrinale di ricordare ai fedeli che l’inferno esiste. Ha subito aggiunto la speranza che ci vadano in pochi e che sia un terminale d’eccezione. Dell’inferno parla il suo Catechismo della Chiesa cattolica ed è ai fedeli d’una parrocchia romana che ha fatto quest’affermazione quasi sottovoce, non l’ha destinata al pubblico dell’omelia del mercoledì o dell’angelus domenicale. Pure, l’avvertimento ha fatto subito notizia e sono apparsi sui giornali gli affreschi infernali del Signorelli, una delle più efficaci rappresentazioni dell’immaginario medioevale.
I «novissimi» sembrano troppo duri per essere detti oggi. Eppure solo il loro accenno sommesso fa notizia, come se rispondesse a qualcosa di cui si sente la mancanza. I «novissimi» infatti ci dicono che ciò che fa l’uomo non è indifferente a Dio e acquista le sue dimensioni. L’azione umana è giudicata dalla sapienza infinita, è oggetto di un’attenzione scrupolosa che considera e rispetta la libertà ma giudica l’atto. Insomma, il mondo non teletrasmesso ha sempre un pubblico; è guardato da un testimone invisibile che considera gli atti umani come qualcosa che tocca la sua realtà infinita.
Il Papa ha legato il concetto d’inferno a quello di peccato, all’idea che l’azione dell’uomo ha un valore innanzi all’eterno e segna agli occhi di Qualcuno il peso eterno della sua esistenza. In un mondo in cui si credono i «novissimi» non esiste l’indifferenza dell’uomo all’altro uomo. È infine quello che si chiede quando si domanda la libertà degli atti e dei diritti: si chiede l’indifferenza. Ogni individuo è una monade che guarda solo se stessa. Di se stesso è l’unico testimone e, impropriamente, si può dire che è l’ultimo giudice. Per questo pensare che il mio atto abbia la dignità di essere un peccato per una presenza infinita, toglie la possibilità dell’indifferenza non solo alle mie azioni ma ai miei desideri, intenzioni e scelte. Un testimone invisibile costruisce l’uomo interiore. È facile vedere quanti concetti laici siano legati a quello del Qualcuno invisibile che giudica il cuore: il concetto stesso di coscienza e anche quello di libertà sono legati al fatto che siano le mie intenzioni, non i miei atti né i miei risultati, a costituire me stesso.
La cultura postcristiana mantiene il concetto dello sguardo invisibile sui nostri atti, ma li ritiene come murati in noi stessi. La condizione dell’uomo che non ha più la fede nei «novissimi» è la solitudine. Non era così nel mondo pagano in cui gli atti esteriori non dipendevano dalle intenzioni, non esisteva l’uomo interiore, non esisteva la coscienza giudicante noi stessi che oggi abbiamo. Per questo l’inferno suscita interesse; rompe l’idea della solitudine, mostra le nostre intenzioni e il nostro cuore come oggetto d’uno sguardo e d’un giudizio. Il Papa che parla d’inferno provoca un’attenzione non legata a fatti esteriori come i Dico, ma risponde alla coscienza, il residuo cristiano che vive nel tempo della secolarizzazione e pensa di conservare se stessa offrendo indifferenza in cambio di indifferenza. Ma da questo a pensare che il Papa sia seguito e che i «novissimi» ritornino nel linguaggio parrocchiale ci corre. Chi parlerà oggi del peccato che non nuoce a nessuno in particolare, ma offende Dio nella sua pura realtà interiore, come intenzione e non come atto? Lo sguardo di Dio come atto sulla nostra vita determina mondi diversi dalla distinzione tra lecito e illecito. Pone la differenza tra peccato e grazia, tra il contrasto con lo sguardo divino o la sua fusione con esso.

La Stampa, 28 marzo 2007


Papa contro Papa: ma che Inferno è mai questo?

Ignazio Ingrao

[1] Contrordine fedeli: l’inferno esiste ed è pieno di anime dannate. Lo ha ricordato Benedetto XVI.
[2] udienza generale del 28 luglio 1999. Ma in senso opposto a quello di Ratzinger: l’inferno è un “simbolo” per la Sacra scrittura, aveva detto Wojtyla. “L’inferno sta a indicare, più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio”. Non solo: può anche darsi che l’inferno sia vuoto, osservava Giovanni Paolo II, con grande sorpresa di teologi e biblisti: “La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato conoscere se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti”. Wojtyla così faceva propria la tesi del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar: “L’inferno c’è, ma è vuoto”.
A quale dei due Papi dare retta? Per aver sostenuto la “non eticità dell’inferno”, Luigi Lombardi Vallauri, cugino dell’attuale portavoce di Benedetto XVI, padre Federico Lombardi, venne espulso dall’Università Cattolica di Milano, dove insegnava filosofia del diritto. “Mi chiedo: è etico fare male a chi ha fatto il male?” si domanda Lombardi Vallauri. E spiega: “Sostengo la non eticità dell’Inferno, perché non solo la pena è sproporzionata alla colpa, essendo infinita; non solo è contraria al senso di umanità, ma nemmeno tende alla rieducazione del condannato”. Nel frattempo, su parere della [3] Commissione teologica internazionale, il Papa si appresta ad abolire il limbo che, secondo la tradizione cristiana, accoglieva le anime dei bambini morti non battezzati.

[4] L’INTERVISTA a due esorcisti

Gli esorcisti: l’Inferno esiste ed è densamente popolato

La discussione sull’esistenza dell’inferno si “infiamma” e contrappone Ratzinger a Wojtyla. Panorama.it ha interpellato due esperti del ramo, gli esorcisti padre Gabriele Amorth e don Gabriele Nanni. Per entrambi non ci sono dubbi: l’inferno esiste ed è popolato di anime dannate. La conferma, spiega il più noto degli esorcisti italiani, padre Amorth, “ci viene dalle numerose visioni di santi e di mistici. Suor Lucia di Fatima racconta di aver osservato, durante una visione, le anime dannate scendere all’inferno numerose come fiocchi di neve. E da secoli ripetiamo in una preghiera per l’esorcismo che Giuda è all’inferno. Dunque la pena eterna esiste e all’inferno c’è almeno un’anima dannata, quella di Giuda. Ma, è mia opinione personale, probabilmente all’inferno ci sono moltre altre anime, a cominciare da quella di Hitler e di Stalin”. Nessuno sa però se l’inferno è davvero come ce lo descrive Dante. “In realtà non sappiamo se l’inferno è un luogo o una situazione dello spirito” osserva a sua volta don Nanni, esorcista e docente di esorcismo al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e in numerose altre Università del mondo. “Gesù stesso ha usato l’immagine del fuoco. Ma di più non possiamo dire”. Chi è stato posseduto dal demonio, dopo essere stato esorcizzato, racconta la visione dell’inferno che ha avuto, spiega don Nanni: “Spesso si tratta di immagini che richiamano quelle dei grandi mistici, con le fiamme ardenti. Ma dobbiamo tener presente che in questi casi possiamo trovarci di fronte a rielaborazioni soggettive. Certamente l’inferno è il luogo della massima sofferenza perché è il luogo della massima lontanza da Dio e dal suo amore”.

Panorama

Questo articolo di Ingrao non ha senso e lo dico a chiare lettere.
Non mi pare proprio che i due Papi siano in contraddizione fra loro, anzi! Leggendo la catechesi dell'udienza generale di Wojtyla si comprende che egli e' completamente in linea con il catechismo della Chiesa cattolica. Chi lo ha redatto? Non e' stata forse una commissione presieduta dal cardinale Ratzinger?
Consiglio a Ingrao di leggere il libro-intervista "Rapporto sulla fede" o almeno questo editoriale scritto da Messori lunedi' scorso "Una realtà sgradevole e misteriosa ma necessaria alla libertà dell'uomo" in "Ratzinger, con quel volto da fanciullo ottantenne...".

Basta contrapporre Papa Benedetto al predecessore! In questo caso, poi, non c'e' alcun appiglio!

Raffaella

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