18 giugno 2007

"Gesu' di Nazaret": la parola a Mons. Ravasi


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RELIGIONE

Una capra ribelle sui picchi rocciosi della località a nord-ovest del mar Morto. Un pastore beduino che scopre i primi frammenti di manoscritti celati da 2000 anni. L’inizio di una rivoluzione che investe il mondo giudaico antico e tocca da vicino anche la figura di Cristo. Benedetto XVI «dixit»

Qumran
Gesù e il mistero degli Esseni


Nel volume «Gesù di Nazaret», citando Qumran, il Papa osserva: «Sembra che il Battista ma forse anche Gesù e la sua famiglia fossero vicini a questa comunità»

Di Gianfranco Ravasi

Sono passati sessant'anni da quel giorno di primavera del 1947 allorché, inseguendo una capra ribelle sui picchi rocciosi della località di Qumran nell'area della costa nord-occidentale del mar Morto, il pastore beduino Mohammed ed-Dib ("il Lupo") scoprì i primi frammenti dei molti manoscritti celati quasi da un paio di millenni in undici grotte circostanti. Da allora la discussione attorno a quei testi - editi a partire dal 1955 nella collana Discoveries in the Judaean Desert, giunta nel 2002 al trentanovesimo tomo, e in varie altre edizioni parziali - è stata insonne e ha raggiunto vette anche polemiche soprattutto quando si è voluto identificare il nesso tra la comunità giudaica che era alla base dei manoscritti e il nascente cristianesimo. Basterebbe solo pensare al complesso dibattito sviluppatosi attorno alla figura di Giovanni Battista e a quello, particolarmente acceso e non mai concluso, riguardante eventuali testi neotestamentari presenti nei frammenti rinvenuti nella settima grotta di Qumran.
Noi ora ci accontenteremo di evocare un tema molto specifico che è stato riportato sul tappeto proprio da Benedetto XVI nella sua omelia del Giovedì Santo, quando egli ha fatto cenno alla vexata quaestio delle divergenze tra il calendario delle ultime ore di Cristo offerto dai Sinottici e quello adottato da Giovanni. Tra l'altro, il Papa nel suo volume Gesù di Nazaret, citando Qumran, osservava: «Sembra che il Battista ma forse anche Gesù e la sua famiglia fossero vicini a questa comunità. In ogni caso i manoscritti di Qumran presentano molteplici punti di contatto con l'annuncio cristiano». A chi vuole, comunque, approfondire il pensiero di questa comunità giudaica nel suo sviluppo che abbraccia un arco che va dal III secolo a.C. al I d.C. possiamo suggerire la recente sintesi molto accurata e documentata di Giovanni Ibba (Qumran, Carocci.
Ma ritorniamo alla nostra questione cronologica. Matteo, Marco e Luca descrivono l'ultima cena di Gesù come un banchetto pasq uale. Ora, il 14 del mese di Nisan, secondo il calendario ebraico, era il giorno dei preparativi pasquali con l'immolazione dell'agnello («il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la pasqua», Marco 14, 12). A sera, quando cominciava il 15 di Nisan (il computo dei giorni era allora da tramonto a tramonto) e si aveva il giorno di pasqua in senso stretto, Gesù aveva celebrato il banchetto pasquale coi suoi discepoli. Per i Sinottici, allora, arresto, processo, crocifissione e sepoltura ebbero luogo il venerdì 15 Nisan, giorno di pasqua, un dato abbastanza sorprendente.
Diversa è, invece, la cronologia del quarto Vangelo. Giovanni non assegna all'ultima cena un'esplicita connotazione pasquale e, descrivendo il processo di Gesù del venerdì presso il pretorio romano, annota che le autorità giudaiche «non entrarono nel palazzo per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua» (18, 28). Essi, cioè, non varcano la soglia della residenza ufficiale di Pilato per rimanere ritualmente puri e non incappare in un divieto sacrale che avrebbe loro impedito di celebrare quella sera (di venerdì) il banchetto pasquale. Non per nulla Giovanni parla di quella giornata denominandola «la preparazione alla pasqua» (19, 14), in greco paraskeuè ("parasceve"), allorché si sgozzavano gli agnelli, giornata che per i Sinottici - come si è visto - era invece il giovedì precedente. Per il quarto evangelista il 15 Nisan pasquale iniziava, dunque, il venerdì sera e si distendeva nel sabato successivo: «infatti - annota - era un giorno importante quel sabato» (19, 31).

Come risolvere questa contraddizione che suppone lo sfasamento di un giorno tra i Sinottici e Giovanni? Alcuni studiosi sono ricorsi a uno dei tanti contrasti teorico-rituali che opponevano le due correnti dominanti del giudaismo di allora, i farisei e i sadducei: quella seguita dai Sinottici rifletterebbe la prassi rituale farisea, mentre la cronologia giovannea sarebbe da collocare nella linea sadducea. Per molti ese geti più probabile storicamente sarebbe quella avanzata dai Sinottici perché, nonostante le punte polemiche, Gesù era idealmente più vicino ai farisei che erano anche i più amati dal popolo, rispetto all'aristocrazia sadducea. Ma è a questo punto che dobbiamo far entrare in scena la soluzione proposta da una docente della Sorbona di Parigi, Annie Jaubert con la sua opera La date de la cène, pubblicata nel 1957 dall'editore parigino Gabalda. È a questa tesi che ha fatto riferimento il Papa nella sua omelia della Messa in coena Domini di quest'anno.
A Qumran, infatti, era in vigore un antico calendario sacerdotale, attestato anche da un testo apocrifo giudaico del II secolo a.C., denominato come Libro dei giubilei: si trattava di un calendario solare che fissava le feste principali sempre nello stesso giorno della settimana. Ora, secondo quel computo la pasqua cadeva costantemente di mercoledì ed è curioso notare che in un apocrifo cristiano noto come Didascalia degli apostoli, opera composta in Siria attorno al 230, è registrata la convinzione che l'ultima cena, sarebbe avvenuta di martedì sera, coincidente con questa ipotesi. Il tramonto del martedì, stando al computo tradizionale ebraico già evocato secondo cui le giornate si calcolavano a partire dal crepuscolo precedente, era l'inizio del giorno di pasqua che quel calendario fissava appunto sempre al mercoledì.
La studiosa francese concludeva, allora, sostenendo che Gesù - con altri gruppi più indipendenti del giudaismo - aveva seguito, in polemica col sacerdozio ufficiale gerosolimitano a lui contemporaneo, l'antico calendario sacerdotale vigente anche a Qumran, celebrando l'ultima cena il martedì, inizio della pasqua fissa del mercoledì. Arrestato nella notte tra martedì e mercoledì, fu nei giorni successivi processato e messo a morte il venerdì, che era il 14 di Nisan, la vigilia della pasqua secondo il calendario ufficiale lunare del tempio di Gerusalemme. I Sinottici, quindi, rispecchierebbero questa sce lta dell'antico calendario qumranico, mentre Giovanni calcolerebbe gli eventi degli ultimi giorni di Cristo secondo il calendario ufficiale in vigore nel tempio.
Secondo questa impostazione il quarto evangelista offrirebbe una cronologia simbolicamente più affascinante. È ciò che faceva appunto notare Benedetto XVI nella sua omelia del Giovedì santo: «Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell'ora dell'immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima - l'ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era un attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello - no, non senza agnello: in luogo dell'agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso (Giovanni 10, 18). Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a quella affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l'antica Pasqua otteneva il suo vero senso».
Alla tesi della Jaubert, accolta favorevolmente dal Papa, tesi capace di spiegare le divergenze tra i primi tre evangelisti e il quarto Vangelo, in verità vari studiosi hanno opposto molte e complesse obiezioni e hanno continuato a considerare come incompatibili le due cronologie, privilegiando ora quella dei Sinottici (così il famoso studioso tedesco Joachim Jeremias) ora quella giovannea (così uno dei maggiori commentatori del quarto Vangelo, l'americano Raymond Brown).

Certo è, pur con tutte le riserve e le distanze possibili (il gruppo dei seguaci di Qumran era piuttosto "settario" e legalista, lontano dalla libertà testimoniata da Gesù in ambito legale e rituale), l'orizzonte della comunità del mar Morto ha offerto al cristianesimo delle origini vari spun ti ideali e concreti, studiati da una vasta e dotta bibliografia, capace di far risaltare coincidenze e divergenze. Studiare, perciò, i testi qumranici è certamente rilevante per comprendere sia il grembo in cui si è sviluppata la fede cristiana sia la sua stessa originalità.

Avvenire, 17 giugno 2007

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