18 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 18 giugno 2007 (4)


Vedi anche:

VISITA PASTORALE DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI AD ASSISI (17 GIUGNO 2007)

Le scuse del senatore Cossiga al Papa a nome degli Italiani

Il Papa: non "mutilare" San Francesco

Rassegna stampa del 18 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 18 giugno 2007 (1)

Aggiornamento della rassegna stampa del 18 giugno 2007 (2) [gay pride]

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IL PAPA AD ASSISI: I VIDEO DI SKY

OLTRE 10 MILA GIOVANI IN FESTA ACCOLGONO IL PAPA A S.MARIA ANGELI


Il richiamo di Assisi

COSTRUIRE LA PACE MISSIONE LAICA E CATTOLICA

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

IL DISCORSO pronunziato da Benedetto XVI ad Assisi ha come tema la conversione, negli esempi di Davide, San Francesco, San Paolo. Ogni volta che il Papa parla, sono almeno tre gli uditorii che idealmente lo ascoltano, quello dei credenti cristiani e cristiano-cattolici in particolare, quello degli uomini di spirito religioso, qualunque sia la religione professata o addirittura senza una religione positiva, e infine quello degli atei. Come è possibile che esistenze così diverse siano toccate da una parola apparentemente destinata a risuonare solo in una Chiesa e nella coscienza dei suoi fedeli? Tentiamo qualche risposta. La fede come assenso ad una chiamata. Anche gli atei consapevoli sono talora in attesa di un segno, di un incontro, di una voce. Da uomini di grande dignità intellettuale e morale si sentono echi di un’attenzione, se non di una ricerca per un evento che muti il senso della propria vita. La conversione non è una meta solo per uomini pii. Davide ordina l’assassinio del marito di Betsabea, di cui si è impadronito. Maria Maddalena è stata una peccatrice, Francesco ha dissipato venticinque anni in peccati giovanili, San Paolo era un persecutore dei cristiani. La conversione è un lampo che illumina la notte da cui ogni vita è oscurata e dona il conforto della misericordia di Dio. Gli uomini religiosi sanno, al di là di ogni credenza, che senza quella misericordia, la storia del mondo sarebbe offuscata e soffocata dalle innumerevoli malvagità degli uomini. La conversione ci inchioda alla nostra nuda identità, senza le menzogne dell’opinione pubblica, del potere, delle maschere che usiamo per ingannare gli altri e noi stessi. E’ un momento di verità, insieme crudele e consolatore. “Tu sei quell’uomo”, le parole del profeta Nathan a David, sono la rivelazione della grandezza e miseria umana. Anche i fedeli hanno bisogno di conversione, perché di peccati è contesta la loro vita, perché di errori talora la loro fede. E nei rapporti tra credenti in diverse religioni la conversione induce al rispetto per i diversi modi scelti da Dio per incontrare e salvare gli uomini. Ogni intolleranza, ogni fanatismo, ogni ripugnanza verso il prossimo segnala l’assenza di una conversione in cui è chiamata in causa la misericordia. Benedetto XVI ricorda come Francesco arrivò a baciare i lebbrosi, segno di una misericordia ben più alta che non una conversione sociale alla filantropia. Ma soprattutto recupera l’insegnamento francescano del vivere la povertà tra i poveri, in quello spirito del Vangelo della sequela di Cristo nostra pace.
Ad Assisi nel 1986, Giovanni Paolo II riunì i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane e religioni mondiali per un incontro di preghiera per la pace. Non si tratta soltanto di rifiutare la religione come pretesto per la violenza, il terrorismo, la guerra. Oggi occorre costruire la pace internazionale anche con gli strumenti di cui dispongono gli Stati e la Comunità degli Stati. Nella recita dell’Angelus, il Papa ha enunciato il suo dovere di lanciare un appello per la cessazione di tutti i conflitti armati nel mondo, e in particolare di quelli in corso in Palestina, in Iraq, nel Libano, nell’intero Medio Oriente. Perché un discorso religioso si fa politico? Tutti quelli che vorrebbero la religione estraniata dalla politica, dimenticano che l’uomo è un animale politico, che la sua vita si svolte in quella polis che oggi sono gli Stati e la Comunità internazionale degli Stati, e che nelle coscienze umane risuonano più interrogativi religiosi che comandi politici. Quale leader politico o Capo di Stato e di governo potrebbe parlare di pace come ha parlato da Assisi ancora una volta il Papa cattolico? Gli Stati e le religioni è bene che siano nettamente distinti nelle loro finalità e missioni. La loro reciproca identificazione sarebbe causa di disordine all’interno di ogni società e nelle relazioni tra i popoli. Ma come non riconoscere che proprio il Cristianesimo ha distinto Cesare da Dio? E che Dio può amare di misericordia tutti gli uomini e Cesare no?

Il Messaggero, 18 giugno 2007


Visita del Pontefice nella cittadina umbra: lancio un pressante e accorato appello affinché cessino i conflitti armati in Medio Oriente

Il Papa ad Assisi: basta sangue in Terra Santa

«La religione non sia pretesto per la violenza». Appello ai giovani: no al vagare fatuo in Internet e discoteche

FRANCA GIANSOLDATI dal nostro inviato

ASSISI - Geme il cuore di Papa Ratzinger: Iraq, Libano, Palestina, l'intero Medio Oriente e poi l'Afghanistan. Mentre ad Assisi invocava ”pace, pace, pace” a Kabul l'ennesimo kamikaze uccideva 35 persone firmando uno dei più gravi attentati degli ultimi tempi. Villaggio globale in cui coabitano disegni di morte e vento di speranza. Nella cittadella umbra, simbolo del pacifismo mondiale, il pensiero di Benedetto XVI è volato d'obbligo laddove non si «ascoltano più le ragioni dell'altro», dove il fragore delle armi soverchia ogni altro rumore, dove la violenza nel nome di Dio penetra la quotidianità della gente inerme. «Considero mio dovere lanciare da qui un pressante e accorato appello affinché cessino tutti i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l'odio ceda all'amore, l'offesa al perdono e la discordia all'unione». Serve un surplus di sforzi da parte della comunità internazionale, c’è bisogno, insiste il Papa, di un «dialogo responsabile e sincero» tra le parti coinvolte. Che san Francesco, dunque, illumini «chi ha responsabilità» del destino altrui. «Le popolazioni di quei Paesi conoscono ormai da troppo tempo gli orrori dei combattimenti, del terrorismo, della cieca violenza, l'illusione che la forza possa risolvere i conflitti» ha detto il pontefice. La piazza inferiore della basilica sulla quale è stato montato un palco scenografico con la croce Tau, simbolo della spiritualità francescana, è gremita di fedeli che ascoltano in silenzio. Medita assorto anche il premier Romano Prodi seduto in prima fila accanto alla moglie Flavia. Papa Ratzinger ad Assisi calca le orme di San Francesco, campione del dialogo, convertitosi 750 anni fa all'amore di Cristo. E’ una trasferta di appena dieci ore per riprendere il filo della trama intessuta dal suo predecessore, inventore profetico di quello spirito che ha gettato ponti tra l'Islam e il Cristianesimo e che, in buona sostanza, ha arginato il rischio di uno scontro tra civiltà. «Lo spirito di Assisi si oppone allo spirito di violenza, all'abuso della religione come pretesto» per giustificare il terrorismo. In un passaggio dell’omelia si enfatizza il bisogno di coltivare il dialogo inter-religioso. Nel suo approccio con l'Islam Papa Ratzinger sembra procedere per gradi svelando, cammin facendo, la sua personale capacità ad accentuare un tono piuttosto che un altro per correggere un po’ la rotta iniziale. Dialogo sì ma sempre nella verità cristiana, ha ripetuto, evitando, dunque, sincretismi e confusioni. «Non potrebbe essere un atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l'accoglienza e il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del Santo di Assisi, è tenuto a coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell'uomo, unico Salvatore del mondo». La parola ”conversione” affiora più e più volte sulle labbra di Benedetto XVI nel corso della giornata; durante la messa, nelle visite alla chiesa di santa Chiara, a san Damiano, alla Porziuncola, nell’incontro coi giovani. A loro ha riservato il discorso più vibrante. Si è raccomandato di andare sempre all’essenza delle cose, di non lasciarsi trascinare dall’effimero modaiolo, dalle droghe, dall’apparire, da una arida cultura internettiana incapace di offrire risposte esistenziali. «Noi rischiamo di passare una vita intera assordati da voci fragorose ma vuote» incapaci di «ascoltare la voce» di Dio. «Non accontentatevi», dunque, dei frammenti di verità. L’esempio da imitare - «e non abbiate paura» - è quello di Francesco, ricco scapigliato un po’ play boy convertitosi a 25 anni. Papa Ratzinger chiede però di non cadere nel solito errore che tende a ridurre la portata della sua figura: più che un pacifista, un ambientalista, un ecologista era un uomo «innamorato di Cristo».

Il Messaggero, 18 giugno 2007


E al pranzo Prodi sospirò: clima difficile, serve pazienza

FABRIZIO RIZZI

ASSISI - «Stiamo vivendo un clima difficile, complicato, tutti sono contro tutti». Nel pranzo, con Papa Ratzinger, all’interno del refettorio ligneo del Sacro Convento, Romano Prodi si è lasciato andare a questo sfogo.

Tutti i presenti hanno ascoltato, compreso il Pontifice, che non avrebbe annuito, ma sarebbe rimasto in silenzio.

«Questo periodo, pieno di veleni, va superato con il confronto civile», avrebbe aggiunto il premier decisamente amareggiato sia da talune esternazioni di leader della maggioranza sia dal pressing continuo della Cdl. Poi con la presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, che sedeva poco distante, a fianco della moglie Flavia, e che ha riferito le riflessioni, il premier ha trovato il modo di affrontare il capitolo sul Partito democratico: «E’ necessario che nasca con la dovuta energia e passione, è determinante. Poi, può finire bene o male». E ha aggiunto: «Se nasce con entusiasmo anche il clima nel Paese si può rasserenare, può tornare la carica giusta all’interno del governo». E con la presidente di una Regione simbolo del centrosinistra, ha fatto considerazioni sulla situazione politica. «Non è più rosea, bisogna avere molta pazienza. Ma le condizioni economiche stanno cambiando al meglio. Con questa consapevolezza si può largamente recuperare».
Il colloquio tra Prodi e Benedetto XVI è durato più di un’ora e mezzo, improntato alla massima cordialità, senza traccia di tensioni (come l’ha definito l’ambasciatore Giuseppe Balboni Acqua, è stato all’insegna delle «tre ”s”, simpatia, semplicità, serenità»). Le incomprensioni di qualche tempo fa, legate ai «Dico», evidentemente si sono sciolte. Nel refettorio francescano, con i novizi a servire quasi 300 persone, il premier ed il Papa, seduti uno accanto all’altro, hanno conversato a lungo. Toccando diversi temi della politica interna a quella internazionale, il Medio Oriente, la Terra Santa. Alla domanda del Pontefice sul perchè dell’instabilità politica, Prodi ha replicato attribuendo alla legge elettorale la maggior parte delle responsabilità. Non si sa se sono stati affrontati altri argomenti, come il ”Gay-Pride” o i ”Dico”, ma Prodi, poco prima che il pranzo cominciasse, ha ricordato, con una battuta, che la sua famiglia è davvero allargata. «Tra fratelli, figli e nipoti siamo arrivati a 107». Ogni anno tutti festeggiano il suo compleanno, che cade in agosto, nella casa paterna di Bebbio.
E se la simpatia ha scandito il lungo colloquio, non meno informali sono stati gli altri due incontri, avvenuti in momenti diversi. Quando Benedetto XVI ha concluso la messa in piazza San Francesco, dopo essere sceso dal palco di legno, si è fermato sul piazzale ed ha chiamato, con un gesto della mano, il Professore. Gli ha quindi stretto la mano, poi ha ripetuto il gesto con la signora Flavia. Ma qualche ora prima, Prodi ha dato il benvenuto al Papa, all’arrivo dell’elicottero. Nell’attesa, ha scambiato qualche battuta con il vescovo di Assisi. Quando monsignor Sorrentino ha esclamato, «sarà una giornata di preghiere per l’Italia», il Professore avrebbe risposto: «Non basterebbe nemmeno una novena!». Uno dei francescani, durante il pranzo si è avvicinato al tavolo sollecitando il sorriso del premier e del Pontefice. «Lei è Romano, ma io sono romano di fatto». Ed allungando lo sguardo al Papa, ha aggiunto: «E lui è il mio vescovo». La signora Flavia, in abito bianco e a capotavola, ha conversato con la Lorenzetti, spiegandole come Palazzo Chigi sia stato messo in subbuglio dagli agenti americani preoccupati per la sicurezza di George W.Bush. Ed in nome della sicurezza venivano cambiati bicchieri, assaggiate pietanze prima di essere portate in tavola.

Il Messaggero, 18 giugno 2007


L’appello di Benedetto XVI ad Assisi E ai giovani: «Imitate san Francesco»

di GIUSEPPE DE CARLI

«CONSIDERO mio dovere lanciare da qui un pressante e accorato appello affinché cessino tutti i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l'odio ceda all'amore». La guerra una passione inutile. All'Angelus Papa Benedetto XVI, nella piazza della Basilica inferiore di S. Francesco, fa sue le parole, pronunciate cinque anni fa, da Giovanni Paolo II nello stesso luogo, a pochi mesi dal crollo delle Torri Gemelle di New York, in un clima cupo attraversato dallo spettro di un terrorismo globale di matrice fondamentalista. A quell'incontro, l'ultimo di una grande offensiva di pace del grande pontefice scomparso, era presente anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger. E fra i capolavori di Papa Wojtyla va incastonato anche la presenza del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il messaggio finale, pronunciato dopo una giornata di testimonianze e di preghiere da tanti leaders religiosi (era il 26 gennaio 2002) si è impresso a lettere di fuoco nelle mente di Joseph Ratzinger. Con il sole che gioca per gli intricati rami di pietra che solcano le pendici del monte Subasio e davanti al Presidente del Consiglio Romano Prodi, ai vescovi umbri, ai frati francescani e a duemila fedeli, il pensiero del Papa va alla Terra Santa, «tanto amata da S. Francesco», a tutti coloro che piangono e soffrono, all'Iraq, al Libano, all'intero Medio Oriente. «Le popolazioni di quei Paesi - aggiunge Benedetto XVI - conoscono, ormai da troppo tempo, gli orrori dei combattimenti, del terrorismo, della cieca violenza, l'illusione che la forza possa risolvere i conflitti, il rifiuto di ascoltare le ragioni dell'altro e di rendergli giustizia». Il Papa chiede di «farsi strumenti di pace attraverso i mille piccoli atti della vita quotidiani», e ai responsabili di essere animati da un «amore appassionato e da una volontà indomita di raggiungere pace e riconciliazione». È lo «spirito di Assisi» che torna prepotente nell'animo di Papa Benedetto, quello stesso che sgorgò, nel 1986, da una intuizione profetica e da un momento di grazia di Giovanni Paolo II. Esso non significò relativismo o indifferentismo religioso, irenismo a buon mercato. «Assisi - sottolinea il Papa teologo - ci dice che la fedeltà alla propria convinzione religiosa, la fedeltà soprattutto a Cristo crocifisso e risorto non si esprime in violenza e intolleranza, ma nel sincero rispetto dell'altro, nel dialogo, in un annuncio che fa appello alla libertà e alla ragione». La forza di Francesco sta tutta nell'annuncio di Cristo, via, verità e vita dell'uomo, «unico Salvatore del mondo». Assisi è un'arca di pace per chi crede e non crede, ma le sue fondamenta, ribadisce con altrettanta convinzione il vescovo di Roma, sono nel Vangelo. La quinta visita pastorale del Papa in Italia si snoda fra questi sottili distinguo e si trasforma in un «pellegrinaggio dell'anima». Dodici ore che toccano ogni punto della geografia francescana. Il santuario di Rivotorto; il santuario di San Damiano; la cappella delle monache clarisse; la sosta davanti al Comune; la messa in Piazza S. Francesco; la preghiera sulla tomba del santo; la cattedrale di San Rufino e il battistero dove Chiara e Francesco furono battezzati e, a conclusione, l'incontro coi giovani davanti la Basilica di Santa Maria degli Angeli; il raccoglimento alla Porziuncola dove Francesco accolse «sorella morte». Il filo rosso è la conversione avvenuta, secondo i biografi dell'epoca, otto secoli fa dopo «una vita mediocre e sognatrice, improntata alla ricerca di gioie e successi mondani». Benedetto XVI, come per sant'Agostino a Pavia, si sente quasi stregato da queste parabole di conversioni. Il cambiare radicalmente vita dopo aver incrociato la Parola di Dio, la ricerca di una felicità non effimera, lo spogliarsi di tutto, l'amore verso l'intero creato. Vite esemplari, distillato prezioso per i cristiani di oggi che annaspano nel buio di una fede che sta perdendo di incisività sul piano sociale. Ed ecco, nell'omelia alla messa, il parallelismo fra il re Davide, accecato dalla passione per Betsabea, e il «re delle feste» che era Francesco fra i giovani di Assisi. La conversione di Paolo sulla via di Damasco e le piaghe del crocifisso che ferirono il cuore di Francesco, prima di segnare il suo corpo sulla Verna. La donna peccatrice del Vangelo che bacia e cosparge di oli profumati i piedi di Gesù e la vita di Francesco che fece sua la scelta della povertà, suo il cercare Cristo fra i poveri. A migliaia di ragazzi il Papa propone l'avventura di un cristiano uscito dal gorgo delle passioni terrene. Nei primi 25 anni di vita di Francesco il Papa vede i giovani di oggi. Il branco, divertirsi, navigare su internet, cercare vie di fuga dalla realtà rifugiandosi nei paradisi distruttivi della droga, «cura dell'immagine», ambizione, vanità e sete di gloria. «La verità - ammonisce il Papa - è che le cose finite possano dare barlumi di gioia, solo l'Infinito può riempire il cuore. Non possiamo cadere nella trappola mortale di centrare la vita su noi stessi; siamo noi stessi solo se ci apriamo nell'amore, amando Dio e i nostri fratelli». Una giornata trepida fra suore di clausura in visibilio e poveri che si gettano ai piedi del pontefice, le casule verde smeraldo e nuvole di anturie bianche che decorano una città, scrigno di spiritualità ed icona di fratellanza universale. San Francesco è citato più volte nel «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI. Per il Papa è un modello perché si è inerpicato sul «sentiero di alta montagna della vita». Spogliarsi delle cose del mondo per presentarsi nudo davanti a Dio. Questa è la conversione di san Francesco, questo è il Francesco che Papa Ratzinger ama di più.

Il Tempo, 18 giugno 2007

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