5 febbraio 2008

Il Papa “non è andato” all'Università “La Sapienza” (La Civiltà Cattolica)


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Il Papa “non è andato” all'Università “La Sapienza”

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 2 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’editoriale apparso su “La Civiltà Cattolica” in merito alla mancata visita del Papa all’Università “La Sapienza” di Roma.

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«Come sapete, avevo accolto molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto a intervenire giovedì scorso [17 gennaio] all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Roma “La Sapienza”. Conosco bene questo Ateneo, lo stimo e sono affezionato agli studenti che lo frequentano: ogni anno in più occasioni molti di essi vengono a incontrarmi in Vaticano, insieme ai colleghi delle altre Università. Purtroppo, com’è noto, il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia. Ho soprasseduto mio malgrado, ma ho voluto comunque inviare il testo da me preparato per l’occasione. All’ambiente universitario, che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano l’amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni. Tutto ciò è anche missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, Maestro di vita, di verità e di amore. Come professore, per così dire, emerito, che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene».
Così, nel post-Angelus di domenica 20 gennaio Benedetto XVI si è rivolto alle decine di migliaia di universitari e di pellegrini accorsi in piazza San Pietro per manifestargli solidarietà e affetto a motivo dell’increscioso episodio costituito dalla richiesta di una piccola minoranza di professori (67 sui circa 4.000 docenti dell’Università) e di studenti (lo 0,2% degli oltre 100.000 studenti) affinché il Papa non partecipasse alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università, nonostante l’invito ufficiale rivoltogli dal Rettore; a cui ha fatto seguito la rinuncia del Pontefice a intervenire, non perché ci fossero pericoli per la sua persona, ma perché la visita si preannunciava «inopportuna» per le possibili manifestazioni e i relativi incidenti che l’avrebbero accompagnata, soprattutto fuori dell’Università, come facevano comprendere le dichiarazioni degli «intolleranti» fondamentalisti.

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La notizia ha fatto il giro del mondo, poiché è la prima volta nei 60 anni di vigenza della Costituzione repubblicana che, di fatto, viene «impedito» al Vescovo di Roma di incontrare i fedeli a lui affidati. Sorprendente, poi, in senso negativo — com’è stato notato dalla stragrande maggioranza degli osservatori di ogni tendenza — è il fatto che una tale situazione avvenga e sia tollerata in una Università, luogo per eccellenza dedicato al libero confronto delle idee, al dialogo rispettoso delle contrapposte posizioni e alla ricerca incessante della verità. Proprio perciò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha subito inviato al Pontefice una lettera nella quale esprime «il suo sincero, vivo rammarico, considerando inammissibili manifestazioni di intolleranza e preannunci offensivi che hanno determinato un clima incompatibile con le ragioni di un libero e sereno confronto».

L’opposizione fondamentalista si è appellata soprattutto alla «laicità» dell’Università, che si opporrebbe alla possibilità di concedere la parola a un esponente ecclesiastico come il Sommo Pontefice.

Ma «laico non vuol dire affatto — ha scritto Claudio Magris sul Corriere della Sera del 20 gennaio 2008 —, come ignorantemente si ripete, l’opposto di credente (o di cattolico) e non indica, di per sé, né un credente né un ateo né un agnostico. Laicità non è un contenuto filosofico, bensì una forma mentis; è essenzialmente la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è invece oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede; di distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze, in primo luogo quelle della Chiesa e dello Stato. La laicità non si identifica con alcun credo, con alcuna filosofia o ideologia, ma è l’attitudine ad articolare il proprio pensiero (ateo, religioso, idealista, marxista) secondo princìpi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede, da nessun pathos del cuore, perché in tal caso si cade in un pasticcio, sempre oscurantista. La cultura — anche cattolica — se è tale è sempre laica, così come la logica — di san Tommaso o di un pensatore ateo — non può non affidarsi a criteri di razionalità».
«Laicità — ha aggiunto Magris — significa tolleranza, dubbio rivolto anche alle proprie certezze, capacità di credere fortemente in alcuni valori sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili, di non confondere il pensiero e l’autentico sentimento con la convinzione fanatica e con le viscerali reazioni emotive; di ridere e sorridere anche di ciò che si ama e si continua ad amare; di essere liberi dall’idolatria e dalla dissacrazione, entrambe servili e coatte. Il fondamentalismo intollerante può essere clericale (come lo è stato tante volte […]) o faziosamente laicista, altrettanto antilaico».

Benedetto XVI poi, nella parte conclusiva del suo discorso «non letto» all’Università, ricorda (cfr p. 216 di questo quaderno) che il Papa nell’Università «non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solamente donata in libertà. […] è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana».

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Purtroppo riemerge dalle ceneri un «fuocherello» mai sopito in Italia, che ogni giorno sembra ampliarsi: l’anticlericalismo e il laicismo fondamentalista.


Scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 18 gennaio scorso: «C’è l’idea che in una democrazia che vuole essere tale la religione debba essere esclusa da qualsiasi spazio pubblico; che esistono orientamenti culturali e ideali — e quelli religiosi sarebbero i primi tra questi — i quali sono radicalmente incompatibili vuoi con la società democratica e con il suo ethos pubblico, vuoi più in generale con una moderna visione del mondo. E che quindi nell’università possa trovare posto e avere corso esclusivamente quello che si autodefinisce compiaciutamente il “libero pensiero”. Idea inquietante che mette inevitabilmente capo a una sorta di obbligatorio laicismo di Stato, di pubblica preferenza sociale accordata all’irreligiosità: tutta roba in cui l’autentica tradizione liberale si è sempre ben guardata dal riconoscersi, ravvisandovi giustamente una più che probabile anticamera del dispotismo».
Anche il direttore di un quotidiano «laico» come Repubblica, Ezio Mauro, ha scritto che l’esito della vicenda della «Sapienza» è un «risultato che sa di censura, di rifiuto del dialogo e del confronto, è inaccettabile per un Paese democratico e per tutti coloro che credono nella libertà delle idee e della loro espressione. È tanto più inaccettabile che avvenga in una Università, anzi nella più importante Università pubblica d’Italia, il luogo della ricerca, del confronto culturale e del sapere, un luogo che di per sé non deve avere barriere né pregiudizi, visto che non predica la Verità ma la scienza e la conoscenza. È come se la Sapienza rinunciasse alla sua missione e ai suoi doveri, chiudendosi in un rifiuto che è insieme un gesto di intolleranza e di paura. […] Ma è ridicolo chiamare in causa la scienza, come se potesse risultare coartata, offesa o limitata dalle parole del Pontefice, che è anche uno dei grandi intellettuali europei della nostra epoca.

Ed è improprio e pretestuoso nascondersi dietro a Galileo, come se i torti antichi della Chiesa nel confronto e nello scontro con la scienza si dovessero pagare oggi, proprio sulla porta d’ingresso della Sapienza, senza tener conto del cammino fatto in tanti anni, e delle parole ancora recenti di papa Wojtyla. […] Non c’è alcun dubbio. Nell’Italia di argilla del 2008, non è nel nome di un’idea forte che si è pensato di vietare al Papa la Sapienza, ma di un’idea malata. Una malattia che ha già fatto due vittime: la libertà di espressione, naturalmente, e la laicità». Infatti l’episodio della «Sapienza» ha squalificato la laicità autentica, facendola apparire intollerante e incapace di dialogare.

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In proposito, non si può tacere una considerazione sulla democrazia in vigore in Italia: una «considerazione inquietante» — è stato detto — giacché la nostra democrazia ha rivelato di non essere in grado di sopportare neppure una piccola frazione di conflitto così ridotta, e si è ceduto agli «intolleranti», che sembrano cantare vittoria, mentre invece la figura del Papa si staglia all’orizzonte con una immagine degna del Pastore, teologo e grande intellettuale. Il pericolo oggi è quello di innalzare steccati, da una parte e dall’altra, anziché liberamente e criticamente confrontarsi.

Ma la strada da percorrere non è quella degli steccati, che vanno sempre abbattuti. L’atteggiamento correttissimo e aperto al dialogo e al confronto con tutti di Benedetto XVI invita a superare «l’incidente» e a riprendere il confronto, esorcizzando ogni tipo di scontro, sia fisico sia intellettuale, per rispondere a quel grande bisogno dell’essere umano costituito dalla necessità di conoscenza e dalla perenne ricerca della Verità.

© La Civiltà Cattolica 2008 I 213-216 quaderno 3783

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