4 febbraio 2008

Se la tutela della vita diventa una questione di laicità


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Se la tutela della vita diventa una questione di laicità

Paolo Viana

«Rispetta, difendi, ama e ser­vi la vita umana. Solo su questa strada troverai giu­stizia, sviluppo, libertà vera, pace e fe­licità ». Sono concetti semplici. Al pun­to che si potrebbero definire, senza con ciò banalizzarli, parole di buon senso. Non stupisce, allora, che su questo ter­reno molti laici si siano trovati d’accor­do.
E poco importa che a vergare que­sti pensieri sia stato un cattolico, anzi un Papa. Non dipende, infatti, dall’autore­volezza morale di Giovanni Paolo II se Norberto Bobbio ha stigmatizzato «che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’o­nore di affermare che non si deve ucci­dere ». Non è stato il suo richiamo a in­durre Antonio Baldassarre, ex presi­dente della Corte Costituzionale, a scri­vere che «l’aborto non si può conside­rare un valore costituzionale». Si può dire lo stesso per il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che ha chiesto - da lai­co ai laici - una moratoria contro l’a­borto come atto di coerenza, dopo aver combattuto contro la pena di morte.
Attraverso la penna di Ferrara, la que­stione dell’aborto è diventata la pietra filosofale del dibattito politico recente, il punto d’incontro tra coloro che – lo si pensava di laici e cattolici – mai e poi mai avrebbero potuto incontrarsi sulle questioni etiche, ma anche lo spartiac­que tra laici e laicisti, che la cronaca a­veva abituato a confondere. Invece, per quanti governi cambino e per quanto a­vanti si spinga la ricerca scientifica, la stessa eco che risuona nell’Evangelium vitae, da cui è tratto l’appello iniziale, in questo trentennio si è riverberata ben oltre i confini del mondo cattolico. Ma­gari partendo da una preoccupazione politica – già si è detto di Bobbio, ma anche Ferdinando Adornato definisce «la difesa della vita un impegno inequi­vocabile di tutti, laici e cattolici» - , il dia­logo sulla difesa della persona nascen­te si è fatto strada, anche grazie ai «pon­ti » gettati dal Movimento per la vita. «Per noi – spiega il vicepresidente Gianni Mussini – laicità e cristianesimo non so­no antitetici ma complementari e la di­fesa della vita non necessita di per sé l’apporto della fede: riguarda prima di tutto dati che si possono esaminare e discutere secondo un approccio razio­nale e scientifico». Lo stesso di Markkus Seppala, ex presidente della Federazio­ne internazionale di ostetricia, che ci regala quest’affresco sui primi attimi di vita: «Subito dopo la fecondazione, l’embrione manifesta funzioni vitali. Si tratta di ’messaggi’ che vengono indi­rizzati all’endometrio attraverso le cel­lule della membrana esterna. L’em­brione prima di impiantarsi dialoga con l’endometrio producendo alcune pro­teine. È come se chiedesse alla parete u­terina di predisporre tutto il necessario per accoglierlo». La pensa così anche il professor Angelo Vescovi, del San Raf­faele di Milano, secondo cui «non vi è alcun dubbio che l’atto della feconda­zione è il momento in cui viene a crear­si quell’entità biologica, che contiene il patrimonio genetico di quell’essere che poi sarà Carlo, Mario, Luigi».
In questo trentennio, l’eco della vita è ri­suonato anche nel mondo letterario. Dalla Fallaci alla Merini, fino ad arriva­re a Claudio Magris. È lui ad attestare che «la cultura – anche quella cattolica – è sempre laica». Lo scrittore triestino è tutt’altro che un integralista. Per lui, «tutti debbono poter disporre libera­mente del proprio corpo e del proprio destino, pur di non nuocere a terzi. Quando un bambino viene concepito non si possono ignorare i suoi diritti, ma non si può neppure lasciare la ma­dre o la coppia sole con i problemi. In presenza di difficoltà, la società stessa ha il dovere della solidarietà».
Il dialogo tra le culture che reagiscono al nichilismo contemporaneo non vo­la dunque così alto da non confrontar­si con il problema degli 'strumenti' che rendono concretamente possibile la di­fesa della vita, a partire, ovviamente, dalla legge 194. Vola, tuttavia, abba­stanza alto da proiettare la questione dell’aborto entro una prospettiva più ampia, nella quale le preoccupazioni bioetiche di laici e cattolici tornano ad intrecciarsi. Uno scienziato ebreo co­me Giorgio Israel le focalizza così: «Non mi dicano che l’eugenetica non è in­dissolubilmente legata ad una selezio­ne di tipo razziale, perché non è vero. Se non lo vogliono chiamare nazismo, dobbiamo dire però che è razzismo. Un pericolo per tutti. E quindi anche per noi ebrei».

© Copyright Avvenire, 3 febbraio 2008

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