12 febbraio 2008

Minacce dalla mafia, vescovo di Piazza Armerina sotto scorta: Mons. Pennisi negò le esequie a un boss


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COSA NOSTRA

Sul settimanale diocesano l’appello ai mafiosi «a cambiare vita e a riparare il male fatto». Parole e gesti concreti: le imprese sospette escluse dalle trattative per la costruzione di nuove chiese

Gela, la mafia minaccia Il vescovo sotto scorta

Da giorni nella città siciliana circola un volantino anonimo con insulti diretti contro monsignor Michele Pennisi. Il prelato si batte per sottrarre i giovani alla criminalità: «Sono sereno»

DA MILANO NELLO SCAVO

Preoccupato neanche un po’.
Monsignor Michele Pennisi le minacce le aveva messe nel conto.

«Il Signore ci liberi dal pizzo e dalla mafia», si limita a commentare il vescovo di Piazza Armerina che da ieri è sottoposto alla discreta tutela delle forze dell’ordine.
A Gela da qualche giorno circola infatti un volantino anonimo contenente insulti e minacce contro il presule che coraggiosamente si batte per sottrarre soprattutto i giovanissimi alle sirene della criminalità. Parole anche contro forze dell’ordine e magistrati. «Insomma – osserva il presule –, sono in buona compagnia e insieme intendiamo continuare questo percorso». Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha ritenuto di non considerare opera di un mitomane il contenuto del foglio diffuso clandestinamente in più copie. Nel testo si fa esplicito riferimento alla scelta del presule di non disporre la celebrazione pubblica dei funerali del boss gelese Daniele Emmanuello, ucciso mentre tentava di fuggire alla cattura della polizia lo scorso 3 dicembre. «Il vescovo si mostra sereno e consapevole di avere operato per il bene, coerentemente con il suo compito di pastore», precisa il portavoce della diocesi don Pino Rabita.
«Io sono tranquillo», si limita a replicare il vescovo di Piazza Armerina che sa di aver dato fastidio non solo in occasione dei mancati funerali ad Emmanuello, peraltro facendo seguito ad una precisa richiesta delle autorità. Il vescovo aveva recentemente pubblicato sul settimanale diocesano un appello ai mafiosi «a cambiare vita e a riparare il male fatto».
Parole precedute da gesti concreti, come quello di aver preventivamente escluso imprese in odor di mafia dalle trattative per i lavori di costruzione di alcune nuove chiese e poi le ripetute denunce pubbliche «per liberare la città di gela dalle piaghe cancrenose della mafia, del pizzo e dell’usura».
A monsignor Pennisi è pervenuta ieri mattina la solidarietà del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, che ha incoraggiato il presule nella sua missione pastorale. Quattro giorni fa Pennisi era stato a Gela per il convegno intitolato 'Il pizzo industria del male', usando anche in quella occasione parole forti.
Accanto al vescovo, come sempre ormai, c’era il sindaco di Gela Rosario Crocetta, esponente del Partito dei comuniti italiani e sempre in prima fila nelle attività promosse dalla diocesi. Nelle stesse ore in cui Pennisi lanciava il suo ennesimo monito, il sindaco apprendeva che i boss avevano pianificato il suo omicidio, sventato dall’intervento delle forze dell’ordine. Nel 2006 Crocetta aveva fatto licenziare la moglie di Daniele Emanuello, assunta al Comune perché si era dichiarata nullatenente. Ora le minacce contro il vescovo Pennisi non fanno che aumentare la tensione. «Il ruolo della comunità ecclesiale cattolica, profeticamente guidata dai suoi pastori, è senza dubbio fondamentale nel percorso di liberazione dal giogo di quella che può essere a buon diritto definita una vera e propria struttura di peccato», così il vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia, il deputato del Pd Giuseppe Lumia, ha commentato la notizia delle minacce contro il presule.
A Gela le cosche di Cosa nostra e quelle della Stidda (un’organizzazione criminale autonoma ma alleata dei clan tradizionali) hanno raggiunto un livello di spavalderia senza precedenti. Nei mesi scorsi alcuni emissari dei clan chiesero il pizzo perfino alla parrocchia che ricadeva nella loro 'giurisdizione'. Il parroco, dopo essersi confrontato con il vescovo, denunciò tutto ai carabinieri.
«Io continuo normalmente la mia attività pastorale – spiega ancora monsignor Pennisi –. Domenica ho celebrato il rito dell’elezione in vista del battesimo di 9 adulti (6 donne e tre uomini) di Gela, città che continua ad essere al centro della mia sollecitudine pastorale».

© Copyright Avvenire, 12 febbraio 2008


Contro il racket ripartiamo dall’educazione

DI MICHELE PENNISI*

La nostra Diocesi è in sintonia con quanto affermato dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione dell’ultimo Consiglio permanente della Cei che il 21 gennaio aveva detto: «Non possiamo non apprezzare ciò che sta avvenendo per iniziativa delle associazioni di volontariato, chiamate Addiopizzo o in altro modo, e anche di importanti associazioni di categoria, grazie alle quali è in atto – secondo un comunicato della Conferenza episcopale siciliana «un’efficace ribellione della società civile» nei confronti di schiavitù antiche e nuove abusivamente imposte dal racket e dall’usura. A questi Vescovi e alle loro Chiese va la solidarietà convinta della nostra Conferenza, insieme all’impegno per una accorta vigilanza in ogni regione d’Italia».
La nostra Diocesi è stata tra i promotori dell’Associazione antiracket e antiusura della provincia di Enna costituita nel 2002 e ha sottoscritto una convenzione con la Fondazione Antiusura 'Padre Pino Puglisi' di Messina promossa in collaborazione con la Caritas di Messina e quella regionale. Questa Fondazione è intervenuta in alcuni casi di usura anche a Gela.
I fenomeni del racket e dell’usura, che secondo il Catechismo degli adulti della Cei provocano «gravissime sofferenze alle famiglie e umilia la dignità e i diritti delle persone», sono dei mali sommersi ma anche diffusi nella nostra società, che non bisogna ignorare con l’indifferenza ma lottare e prevenire attraverso una adeguata educazione morale e civile.
In base alla mia esperienza debbo confessare la difficoltà a muoversi in questi campi che richiedono interventi specifici e diversificati. Ho riscontrato molta diffidenza e omertà nelle persone vittime dell’usura e del racket con la conseguente difficoltà da parte delle forze dell’ordine e dei magistrati a trovare prove certe che portino alla individuazione e alla condanna dei colpevoli. Ma ritengo che bisogna sensibilizzare ed incoraggiare le vittime di questi tristi fenomeni a collaborare ed aver fiducia nelle istituzioni preposte alla loro prevenzione e repressione.
La Chiesa di Piazza Armerina intende impegnarsi a fare la sua parte sia dal punto di vista della catechesi e dell’educazione morale al rispetto della legalità, sia nell’aiutare la prevenzione di questi tristi fenomeni attraverso interventi concreti in campo caritativo e sociale. Siamo quindi pronti a collaborare, attraverso la Caritas diocesana, con l’Associazione antiracket e antiusura sorta a Gela.
Ribadisco quanto ho scritto in un editoriale del settimanale 'Settegiorni dagli Erei al Golfo' circa l’incompatibilità di mafia e vita cristiana accompagnata dalla esigenza di prevenire i fenomeni criminosi ed aiutare i mafiosi a pentirsi, a riparare il male fatto e a diventare persone nuove.


*Vescovo di Piazza Armerina

© Copyright Avvenire, 12 febbraio 2008

Tutta la solidarieta' del blog a Mons. Pennisi.
R.

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