11 febbraio 2008

La "Cei tedesca" sarà più cara a Ratzinger (Rodari per "Il Riformista")


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La "Cei tedesca" sarà più cara a Ratzinger

di Paolo Rodari

La lunga conduzione della conferenza episcopale tedesca (Dbk) del 71enne cardinale Karl Lehmann vede in questi giorni il suo epilogo. Lo scorso 25 gennaio, infatti, è stato lo stesso Lehmann a chiedere, con una lettera inviata a tutti i vescovi tedeschi, che fosse in occasione dell’assemblea della Dbk che si tiene da quest’oggi a venerdì a Würzburg, che venisse scelto il nome del suo successore.
La nomina, infatti - a differenza di quanto avviene per la conferenza episcopale italiana dove è il Papa che, autonomamente, indica chi deve guidarla -, viene presa dall’assemblea.
A capo di una delle conferenze episcopali più importanti del mondo, Lehmann, vescovo di Magonza dal 1983, porporato dal 2001, lascia (per motivi di salute) dopo poco più di venti anni: chiamato dai suoi confratelli vescovi al prestigioso incarico nel 1987 durante l’assemblea autunnale svoltasi a Fulda, venne riconfermato per ben tre volte: nel 1993, nel 1999 e nel 2005.
Nel 2001 fu Wojtyla a volerlo cardinale, nonostante pochi mesi prima, durante l’anno giubilare, fu proprio il presidente della Dbk a tirare fuori la questione delle dimissioni del Papa dal soglio di Pietro. Le dichiarazioni di Lehmann rimbalzarono sui media internazionali anche se, a cose fatte, lo stesso porporato tedesco si affrettò a smentire il tutto.
Sovente, sopratutto prima di accedere al cardinalato, Lehmann si distinse per prese di posizione giudicate troppo "liberal", che lo misero in contrasto con l’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger. Nel 1993, ad esempio, si dichiarò possibilista circa l’accesso alla comunione dei divorziati risposati. Nei mesi scorsi, invece, fu Lehmann tra i primi porporati a prendere le distanze dall’introduzione operata da Benedetto XVI della messa in latino secondo l’antico rito.
Ratzinger, ovviamente, conosce bene l’episcopato tedesco. E, senz’altro, nella scelta del successore di Lehmann, il suo parere è destinato a pesare anche se, in questi quasi tre anni di pontificato, egli non ha mai voluto imporre alla guida delle diocesi tedesche sue preferenze. Un porporato oggi particolarmente vicino a Ratzinger è l’arcivescovo di Colonia, Joachim Meisner, sfavorito però nella successione a Lehmann a causa dell’età: ha già 74 anni, uno in meno dell’età pensionabile. Un altro, di idee più progressiste, è Heinrich Mussinghoff, vescovo di Aquisgrana. Tra i due, però, a spuntarla potrebbe essere il neo arcivescovo metropolita di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx. Fino a oggi Marx ha mantenuto un basso profilo e ciò potrebbe giovargli.
La successione di Lehmann potrebbe rappresentare una svolta per la Dbk.

Se, infatti, l’episcopato tedesco vanta una straordinaria preparazione teologica datagli dall’altissimo livello di studi che è possibile seguire, ancora oggi, all’interno delle facoltà teologiche del paese, al di sotto delle gerarchie è il popolo dei fedeli a mancare.

In sostanza, a una struttura super organizzata e parecchio ricca - è dalla Dbk che arriva la maggior parte degli aiuti economici nelle missioni di tutto il mondo - si contrappone una comunità di fedeli esigua, ormai praticamente ridotta all’osso.

Tanto che, anche tra i vescovi del paese, c’è chi auspica che dopo le dimissioni di Lehmann la Dbk possa in qualche modo puntare meno all’efficienza della propria organizzazione e maggiormente alla cura dei fedeli.

Di per sé, in Germania, non si può dire che l’episcopato non abbia riservato le dovute attenzioni al suo popolo.

Questo sforzo, però, probabilmente non è stato attuato nel migliore dei modi. Infatti, è stato soprattutto dopo la metà del secolo scorso che il cosiddetto “Spirito del Concilio” - che è altra cosa dal Concilio stesso - ha potuto mettere radici nella Chiesa e, dunque, influenzarne l’operato.

Sovente le medesime gerarchie dell’episcopato del paese, Lehmann incluso, hanno fatto propria con troppa enfasi quella svolta antropologica grazie alla quale - non senza condizionamenti da parte del mondo protestante - la stessa teologia ha voluto puntare, per comprendere la rivelazione, primariamente sull’uomo. Con ripercussioni pratiche notevoli. Tra queste, in Germania, l’accentuazione della necessità di una conduzione conciliare della Chiesa, nonostante la Nota Esplicativa Previa dello stesso Concilio avesse affermato che, per «non porre in pericolo la pienezza della potestà del romano Pontefice», non si dà collegio senza Pietro. Tra queste, ancora, l’accentuazione del concetto funzionalistico del sacerdozio con un’inevitabile maggiore importanza data ai laici e al loro operato nella pastorale.

Il lavoro di Lehmann è stato in questi anni particolarmente stimato dal mondo protestante. Secondo il capo della Chiesa evangelica tedesca, Wolfgang Huber, Lehmann è stato «un grande dono» per l’intero paese. Vedremo se l’assemblea dei vescovi sceglierà un nome che dia continuità a questi venti e lunghi anni, oppure se opterà per un cambiamento.

© Copyright Il Riformista, 11 febbraio 2008 consultabile anche sul blog di Rodari

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