10 febbraio 2008

Preghiera per gli Ebrei, Giorgio Israel a Laras: "Una fede sicura e libera non deve arroccarsi"


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Una fede sicura e libera non deve arroccarsi

Caro direttore, Non debbo esibire credenziali avendo preso ferma e ripetuta posizione — su questo giornale e altrove — contro la pratica e la teoria delle conversioni forzate degli ebrei e il cosiddetto «insegnamento del disprezzo ».

Una volta rimosso questo armamentario e il suo cardine, la «teologia della sostituzione» — ovvero la tesi secondo cui l'elezione di Israele è stata revocata e sostituita con quella conferita alla Ecclesia cristiana— cosa resta?

Certamente il diritto di credere nella verità della propria fede. Come ha affermato il rabbino David Berger, purché i cristiani non denigrino l'ebraismo hanno il diritto di affermare che l'ebraismo sbaglia attorno a questioni centrali come quella della divinità di Gesù; ed è valido il diritto simmetrico.

Essi — osserva Berger— hanno anche il diritto di aspirare a che gli ebrei riconoscano la divinità di Cristo alla fine dei giorni e di affermare che la salvezza è più difficile per chi non è cristiano. Secondo Berger, la posizione ratzingeriana, in quanto evita un «doppio standard », è più rispettosa per l'ebraismo di molte altre.

Al contrario, secondo il rabbino Laras riaffermare che la verità sta in Gesù Cristo implica lo screditamento dell'ebraismo come fede fallace.

Ma, se la Chiesa riconosce che l'ebraismo è la base solida su cui poggia il Cristianesimo, non si può negarle di ritenere che il cristianesimo costituisca un passo in avanti, come non si può negare agli ebrei il diritto di rifiutare tale passo.

Proprio in quanto la questione della divinità di Gesù è il nodo cruciale di divergenza, è su di essa che si misura un dialogo franco e onesto, come quello tra Benedetto XVI e il rabbino Neusner.

Invece, posizioni come quella di Laras servono soltanto a dare argomenti a chi sostiene che le religioni sono intrinsecamente intolleranti e non riescono a parlarsi se non imponendo all'interlocutore di piegarsi al suo punto di vista o, nel migliore dei casi, di tacere le divergenze in quanto offensive.

Dice Laras: cosa succederebbe se gli ebrei trattassero in modo simmetrico la fede cristiana? Lo fanno. Lo facciamo. Non ho bisogno di insegnargli che le preghiere ebraiche sono (inevitabilmente) intrise della convinzione di possedere il vero e la vera elezione. Quanto alla conversione, gli ebrei non la cercano soprattutto per specifiche contingenze storiche. Nel passato vi sono state conversioni anche massicce all'ebraismo, a meno di non credere alla favola che gli ebrei sono i discendenti geneticamente puri dei 600.000 che ricevettero la rivelazione al Sinai.
Tolte le conversioni forzate e l'insegnamento del disprezzo, che danno può venire da una preghiera per la salvezza degli ebrei, se non ispirata da malanimo e accompagnata da coercizione? E perché temere il desiderio di conversione? Mio padre — uomo tanto laico quanto di fede solida — fu invitato da un prete cattolico a un confronto con intento di conversione. Accettò e trascorse due giorni con lui. Poco ci mancava che le cose andassero all'inverso… Una fede sicura e libera da costrizioni non ha bisogno di arroccarsi, come non si ritrassero dal confronto i grandi maestri dell'ebraismo medioevale persino quando i tentativi di conversione erano sostenuti dalla violenza.

L'interruzione del dialogo propugnata dal rabbino Laras è regressiva e pericolosa, e avrebbe senso soltanto per una fede traballante e svuotata. Poiché questo non è il caso è da augurarsi la scelta di un atteggiamento più riflessivo e razionale.

Giorgio Israel

© Copyright Corriere della sera, 10 febbraio 2008

2 commenti:

Luisa ha detto...

Ecco la voce che aspettavo !

La voce di una persona responsabile, razionale che rimette le basi di un vero dialogo. Grazie!

Anonimo ha detto...

Giorgio Israel sbaglia completamente in merito alla “teologia della sostituzione”, che non può essere, teologicamente, valutata per le errate prassi pastorali del passato ma, da un punto di vista cristiano, solo per i suoi intrinseci contenuti. Un cardinale "ecumenicamente corretto" come Kasper in occasione delle proteste ebraiche per la preghiera pro judaeis, benché riformulata, ha riaffermato il neo-credo postconciliare sulla presunta validità ancora attuale del Patto di Dio con il Vecchio Israele. Se così fosse si deve però spiegare perché mai al momento della morte di Nostro Signore il velo del Tempio si squarciò ovvero perché, questo significava lo squarciamento del velo, la Sekinah di Dio abbia abbandonato quel luogo. Bisogna intendere molto bene i contenuti della “teologia della sostituzione”, che sono assolutamente evangelici (“Vi sarà tolto il Regno e sarà dato ad un altro popolo che lo farà fruttificare”: parole di Cristo rivolte ai sinedriti) e, sulla stessa base evangelica, paolini (Lettera ai Romani ma anche Lettera agli Ebrei, nella quale ultima si ricorda che quello di Cristo è il Sacerdozio Universale al modo di Melchisedeq superiore a quello levitico: nel Genesi Abramo paga la decima a Melchisedeq re di Salem e depositario della Rivelazione primordiale Adamitica). E bisogna intendere molto bene anche il fatto che persino il più recente magistero, quello di Giovanni Paolo II, quello dell’“Alleanza non revocata”, a ben guardare, è assolutamente in linea, al di là della forma terminologica, con la tradizionale teologia della sostituzione. La Vecchia Alleanza non è stata, certamente, revocata ma solo nell’esclusivo senso che essa è stata, come il contratto preliminare con il contratto definitivo, superata, adempiuta e continuata in Cristo, nella Nuova Eterna Alleanza. Lo dice, appunto, san Paolo nella Lettera ai romani: gli israeliti che non hanno riconosciuto il Messia in Cristo sono "rami tagliati" dall'Olivo che è Israele intendendo per tale non il sangue, non la razza, ma la Fede di Abramo. I rami tagliati saranno un giorno reinnestati per i meriti dei loro padri (e nostri padri nella fede) ma al momento sono e restano rami tagliati. E’ una questione teologica sulla quale si gioca il futuro stesso della fede cristiana e della Chiesa. Certamente nel passato i cristiani hanno spesso dimenticato quanto altro diceva san Paolo nella medesima Lettera ai romani ossia di usare carità e misericordia verso i suoi fratelli nella carne per i quali egli avrebbe dato persino la vita purché conoscessero Cristo e la Verità. Ma, la problematica è stata appunto squisitamente pastorale e legata quasi sempre a problemi di ordine politico-economico, nei quali si tiravano abusivamente in ballo questioni teologiche, e non primariamente dottrinali. Se, pertanto, la problematica era in una passata cattiva prassi pastorale, la risposta ecclesiale avrebbe dovuto essere, per l’appunto, esclusivamente pastorale, senza intaccare il livello dottrinale e teologico. Ora, invece, è accaduto che la Nostra Aetate, che doveva essere, come lo stesso Concilio Vaticano II, solo un documento "pastorale", ha finito, forse contro la volontà dei suoi stessi estensori (in parte ne dubito visto l'influsso sul cardinale Agostino Bea e su Giovanni XXIII esercitato da Jules Isaac), per diventare, nell'esegesi postconciliare, un documento del magistero mediante cui si è preteso, con quali danni per la fede del popolo cristiano è diventato ora drammaticamente evidente, di rompere con la tradizionale teologia della sostituzione che era stata, per l'appunto, iniziata, su base evangelica, proprio da san Paolo, ebreo, fariseo e cittadino romano, quando diceva ai cristiani provenienti dal paganesimo che essi erano i rami selvatici innestati sull'Olivo santo AL POSTO dei rami tagliati, ossia al posto degli israeliti. Rimando, in proposito, a Francesco Spadafora "Cristianesimo e Giudaismo" Edizioni Krinon, Caltanissetta, 1987. Il genocidio degli ebrei è stato un fatto atroce. Gli storici discutono sul numero delle vittime: ma non è il numero che conta. Fossero state anche di più o di meno, nulla cambierebbe circa l'atrocità dell'evento. Tuttavia è, cristianamente, inaccettabile la "sacralizzazione" dell'evento che è diventato un Unicum Metafisico sin dal titolo di "Olocausto". Inacccettabile perché presuppone l'attribuire a quell'evento (non unico, la storia è piena di orrendi genocidi, né metafisico) un significato "salvifico" e dunque teologico. Come cristiano non posso riconoscere un altro Olocausto Salvifico diverso da quello della Croce. La sofferenza umana, di tutti gli uomini, dunque anche quella degli ebrei nei lager, acquista significato solo alla Luce del Sacrificio di Nostro Signore sul Calvario. Dopo di esso nessuno può ergersi ad "Olocausto" alternativo, aggiuntivo, sostitutivo. Cerchiamo, lo dico ai cattolici, di non farci irretire dalla mistificante "teologia dell'Olocausto" e dalla sua annuale liturgia pubblica del 27 gennaio (il che non significa affatto sminuire l'orrore del genocidio ebraico, come di ogni altro genocidio, però!). Tutto il clamore suscitato dalla cretinata di un perfetto imbecille ed idiota, come quella della presunta lista di proscrizione, non si spiega senza quella "teologia" (vera apostasia per un cristiano) che è diventata, lo dice Giuliano Amato (il dottor sottile, in odore di "fratellanza"), la vera "teologia civile dell'Occidente". Rimando al bell’articolo "Continua a credersi il popolo eletto" su www.papanews.it. La "scomunica", l’incomposta reazione, dei rabbini Di Segni e Laras si spiega con il fatto che, avendo Benedetto XVI riproposto la preghiera tradizionale pro judaeis del Venerdì Santo senza più aggettivi "pesanti", il Papa ha costretto la comunità ebraica a venire allo scoperto e dichiarare coram populo che le vere motivazioni per le quali l'estate scorsa essa chiese l'abrogazione dell'intera preghiera in questione consistono nel rifiuto non degli aggettivi "perfidis" o "accecati" ma del fatto stesso che i cristiani possano pregare per la conversione degli ebrei. Questo perché secondo la loro fede il popolo ebreo, e solo esso, è l’"eletto", il “messia collettivo”, con un ruolo guida unico e speciale nella storia umana, anche dopo Cristo, sicché gli ebrei, per la loro salvezza, non hanno bisogno del Messia Crocifisso. Israele è il vero messia collettivo che porterà la Pace universale al genere umano! Dunque Cristo può andar bene per i goym come sotto surrogato messianico ma non per essi, gli "eletti" (ed infatti dal punto di vista talmudico il Cristianesimo è una eresia ebraica, laddove invece il Cristianesimo, incardinato nel Sacerdozio di Cristo che è Sacerdozio Universale al modo di Melchisedeq, è anteriore all’ebraismo come Cristo stesso è anteriore ad Abramo: “Prima che Abramo fosse, Io sono”, Gv. 8,58). Qui si tratta di chiarire, innanzitutto fra noi cristiani, se Cristo è il Salvatore Unico ed Universale di tutta l'umanità o se qualcuno, i "fratelli maggiori", resta fuori dal raggio di azione di Cristo. Se si accetta, come fanno molti teologi modernisti, questa seconda opzione, magari indorandola con disquisizioni "filosofiche" o diplomatiche, sulla scia dell' "ecumenicamente corretto", siamo evidentemente fuori dalla Fede cattolica. "Il vostro parlare sia Si Si No No". Il tema della giusta teologia cristiana sul popolo ebreo è cruciale per noi cristiani e, purtroppo, bisogna constatare che in ambito ecclesiale si registra attualmente una totale assenza di attenzione a quanto, di inquietante, sotto il profilo teologico, è accaduto e sta accadendo nei rapporti ebraico-cristiani. Molti cristiani oggi dormono il "beato" sonno che Cristo ha rimproverato alle vergini stolte della parabola: il rischio è quello di sostituire Auschwitz al Calvario.
Saluti.

Luigi Copertino