24 marzo 2008

Magdi Allam battezzato la notte di Pasqua. Quelle svolte di fede tra segreti e paure. L'accusa di apostasia (Corriere)


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Sette gli adulti avviati alla fede cristiana. L'Ucoii: «Libera scelta»
Oltre al battesimo, i sette adulti hanno ricevuto anche i sacramenti della comunione e della cresima


Lorenzo Salvia

ROMA — Per i credenti è il momento più importante dell'anno. La «madre di tutte le veglie », come la chiamava Sant'Agostino e come ricorda anche il libretto sistemato su ogni panca. È piena la Basilica di San Pietro per la veglia di Pasqua celebrata da Benedetto XVI. Fuori nemmeno le suore resistono alla tentazione di scavalcare la fila che da tre ore aspetta sotto la pioggia lungo il colonnato del Bernini.
Ogni anno la veglia del Sabato Santo è l'occasione in cui il Papa battezza un piccolo gruppo di persone che, insieme al battesimo, fanno anche comunione e cresima. Quest'anno sono sette e tra loro c'è anche Magdi Allam, giornalista e scrittore nato in Egitto, vicedirettore ad personam del Corriere della sera, che così si converte al cattolicesimo e prende il nome di Magdi Cristiano Allam. La notizia era stata tenuta riservata fino all'ultimo per motivi di sicurezza. Ma poco prima dell'inizio della veglia, il suo nome comincia a circolare. E allora è padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, a dare l'annuncio ufficiale: «Per la Chiesa cattolica — spiega — ogni persona che chiede di ricevere il battesimo dopo una profonda ricerca personale, una scelta libera e un'adeguata preparazione, ha il diritto di riceverlo ».
L'unica condizione, ricorda ancora padre Lombardi, è «aver compiuto il cammino di preparazione spirituale».
La veglia comincia alle nove in punto. Come sempre la Basilica è completamente al buio, con l'unica eccezione dell'altare. Dietro il baldacchino del Bernini, nella penombra, si intravedono i calici per le ostie: cento perché tanti saranno i sacerdoti che daranno la comunione al termine di quella che per i fedeli è la giornata del silenzio. Le luci tornano dopo l'ingresso del cero pasquale e del Papa, quando tutti i fedeli hanno acceso la candela che hanno in mano. È il simbolo di questa cerimonia, il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita.
Il momento del battesimo arriva alle undici passate, dopo l'omelia. Prima la rinunzia («Rinunziate a Satana, origine di ogni peccato? Rinunzio»), poi la professione di fede. I diaconi versano due brocche d'acqua nella vasca battesimale.
«Ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti»
ripete sette volte Papa Ratzinger mentre il coro canta Isti sunt agni novelli. Magdi Allam, abito scuro, teso, è il secondo. Subito dopo è il momento della cresima con i padrini e le madrine che consegnano ai sette neofiti la veste bianca e il cero. Benedetto XVI, circondato dai 30 cardinali che concelebrano, impone le mani sui cresimandi: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono. Amen». Al termine della veglia, intorno alla mezzanotte, arriva anche la comunione. E il Papa torna a rivolgersi ai sette neofiti in veste bianca: «Il corpo e il sangue di Cristo Signore vi facciano crescere sempre nella sua amicizia e nella comunione con tutta la Chiesa».
Nato al Cairo, Magdi Allam aveva studiato da piccolo in un collegio dei salesiani. Poi aveva deciso di trasferirsi in Italia, dove ha cominciato la sua carriera giornalistica. «Magdi Allam è un uomo adulto libero di fare la sua scelta personale» commenta l'imam Izzedin El Zir, portavoce dell'Ucoii, l'Unione delle comunità islamiche in Italia. «L'importante — aggiunge — è che ogni persona viva la sua religiosità in modo pacifico e rispettando le altre religioni ».
Le critiche di Allam all'Ucoii? «Accettiamo le critiche, non le bugie», si limita a rispondere El Zir. «Rispetto per la scelta» anche da Yahya Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica che però avanza qualche «perplessità » per il momento e il luogo scelto «di così grande valore simbolico».

© Copyright Corriere della sera, 23 marzo 2008


Religione e società

Quelle svolte di fede tra segreti e paure
L'accusa di apostasia


Cecilia Zecchinelli

Ci sono i casi celebri. Pochi e (tristemente) celebri. L'afghano Abdul Rahman, convertito al cristianesimo e denunciato dalla famiglia nel 2006, condannato a morte a Kabul, salvato con una fuga rocambolesca da italiani e americani con il tacito appoggio del governo Karzai. La malese Lina Joy (nata Azlina Jailani, musulmana), battezzatasi nel 1998, da allora in guerra con le autorità per vedere riconosciuto il cambio di fede e potersi cristianamente sposare, minacciata, costretta a nascondersi, ormai un simbolo. O più recentemente Muhammad Hegazi, il primo egiziano a denunciare legalmente lo Stato per il mancato riconoscimento della sua nuova fede (cristiana copta), impegnato in una battaglia che finora l'ha visto sconfitto: l'ultimo no dei tribunali del Cairo è arrivato in febbraio.
Ma ci sono centinaia, migliaia di casi segreti, anonimi, comunque non pubblicizzati. Le conversioni dall'islam al cristianesimo (come quelle in senso contrario) — in questa complicata epoca di globalizzazione, emigrazioni di massa, società disgregate, media che parlano a tutti di tutto — sono in crescita ovunque. Dalle banlieue di Parigi alle metropoli d'Africa, dall'Anatolia al Bangladesh. «Cercare numeri è impossibile, non esistono statistiche nazionali né internazionali per ovvi motivi di sicurezza — ci dice padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere —. E questo vale per il mondo islamico dove ad eccezione forse del Libano la conversione è considerata apostasia, spesso punibile con la morte anche per le posizioni assunte da Al Azhar. Ma vale pure in Europa, dove abbandonare l'islam è "sedizione" e i convertiti sono perlomeno emarginati».
Anche limitandoci all'Italia i numeri restano infatti un mistero. «Qualcuno parla di cifre più importanti, ma a noi risulta che siano meno di mille», sostiene Giorgio Paolucci, autore con il libanese Camille Eid di I cristiani venuti dall'Islam (Piemme). «Secondo la Cei, dei 900 adulti battezzati ogni anno solo 30 provengono dall'islam. Comunque, i numeri sono esigui. E se episodi di violenza qui non risultano, minacce e paure sono diffuse, la discrezione delle Chiese e dei convertiti è quasi assoluta. Trovare testimonianze per il nostro libro non è stato facile».
Tra le tante storie non tutte raccontano drammi. «Qualcuno vive la nuova fede alla luce del sole — continua Paolucci —. Come Roberto, pachistano di Trapani che ha scelto di battezzarsi dopo un viaggio nella terra d'origine, la scoperta di una società a lui lontana. La maggior parte non esibisce la conversione, spesso compiuta col coniuge e questo aiuta. Qualcuno infine è terrorizzato: Antonio, ad esempio, algerino stanco della guerra che ha scoperto Gesù sulle onde di Radio Maria e oggi vive in Toscana nella paura di essere ucciso». Le stesse differenze valgono nel resto d'Europa: se le stime parlano di 200mila convertiti nel Regno Unito e di almeno 10mila in Francia, solo una minima parte è stata oggetto di violenze. I più scelgono il basso profilo, l'anonimato delle città. E solo recentemente, con il diffondersi (non in Italia) delle più aggressive Chiese evangeliche, alcuni gruppi di ex musulmani iniziano a uscire allo scoperto. Come i fedeli di padre Amor Boauziz, banlieue parigina, finiti su molte tv nazionali (e su YouTube), con volti e nomi. Ma altra cosa è in terra d'islam. Dalla fine dell'epoca d'oro, ancor più dalla recente svolta integralista, essere cristiano qui è spesso difficile. Convertito quasi impossibile. «Gran parte dell'opinione pubblica musulmana ritiene che l'apostata vada ucciso, e nei secoli tale convinzione si è radicata al punto che per giustificare l'eliminazione di qualcuno lo si può accusare di apostasia — spiega Samir Khalil, noto gesuita egiziano — E oggi i radicali chiedono la pena capitale per chiunque si converta, o "rinneghi" la fede». Come Salman Rushdie, non convertito ma «anti-islamico», oggetto della celebre fatwa di Khomeini. O come decine di sconosciuti neocristiani uccisi (in Iraq, India, Bangladesh...), accanto a religiosi stranieri accusati di proselitismo (un caso su tutti: padre Santoro in Turchia).
In tutti i Paesi islamici, se scoperto, il convertito può perdere lavoro, figli, eredità. Finire in carcere. In sette Stati (Arabia, Qatar, Iran, Sudan, Afghanistan, Yemen, Mauritania) è punibile con la morte. «Eppure — continua Khalil — la pena capitale dell'apostata non trova fondamento nel Corano, né nella vita o nei detti di Maometto. È un'invenzione dei giuristi musulmani, promossa per motivi politici e come problema politico andrebbe trattato». La discussione su questo punto, contrariamente a quanto molti pensano in Occidente, è oggi accesa tra giuristi e teologi musulmani. E contro la morte per i convertiti si sono schierati nomi non scontati: l'ex delfino di Khomeini Grande Ayatollah Ali Montazeri, il Grande Mufti del Cairo Ali Gomaa, il fratello del fondatore dei Fratelli Musulmani e teologo Gamal Al Banna.
Un dibattito acceso, complesso, delicato, che ha sullo sfondo le grandi questioni irrisolte dell'islam: il rapporto tra Stato e Chiesa; la mancanza di un'autorità docente che possa attualizzarne le norme; lo scontro interno tra conservatori e riformisti; quello esterno, pur negato nel nome, con l'Occidente. In mezzo a tutto questo, milioni di musulmani. E centinaia, migliaia di persone che lo sono stati e hanno deciso di cambiare fede.

© Copyright Corriere della sera, 23 marzo 2008

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