24 marzo 2007

Aggiornamento rassegna stampa del 24 marzo 2007



Vedi anche "Rassegna stampa del 24 marzo 2007"

LA FORZA DELLE RADICI CRISTIANE

Il riarmo morale dell’Europa e la sua identità cristiana

di JOSÉ MARIA AZNAR

L’EUROPA è qualcosa di più di una semplice espressione geografica: è soprattutto una cultura e un progetto che incarnano una serie di valori e di principi. I valori derivano da una certa idea della persona, intesa come essere libero e responsabile, titolare di diritti fondamentali e, di fronte alla politica, di una precisa dignità. Il potere politico, infatti, deve avere come compito principale quello di garantire a tutte le persone i diritti fondamentali e, come limite insuperabile della propria applicazione, il rispetto e la dignità di ogni essere umano. Questa idea della persona, che nasce dalla tradizione filosofica e culturale giudaicocristiana, è ciò che consente lo svolgersi della democrazia. Non può esistere democrazia che non sia basata su questo principio. che oggi è diventato, per fortuna, un patrimonio universale.
L’Europa è semplicemente inimmaginabile senza le sue radici cristiane. Negare l’eredità cristiana dell’Europa è uno degli elementi che più degli altri contribuisce ad alimentare la confusione intellettuale e morale del nostro tempo, e che ci indebolisce, di conseguenza, nel profondo. L’Europa ha sempre avuto tra i principali segni della propria identità, la ricerca della verità e il senso della tolleranza nei confronti dell’altro, senza però negare se stessa. Anche l’innovazione, lo spirito imprenditoriale e l’iniziativa personale, hanno consentito un progresso economico solido, capace di fornire a molti i mezzi necessari per uscire dalla povertà.Difficile comprendere sino in fondo il concetto di Europa, se non si considera anche l’espansione che ebbe inizio nel Rinascimento e che ha contribuito, di fatto, a dare luogo a quello che oggi conosciamo come Occidente. Per questo, non posso concepire un’altra Europa che non sia quella legata in maniera forte e profonda al mondo atlantico.
Oggi, dentro e fuori le frontiere europee, i valori ed i principi che sono alla base della storia del Vecchio Continente, sono messi in discussione e minacciati da forze potenti, e non è affatto un caso che questa situazione coincida con un’altra realtà: l’Europa è in crisi.
Certo, non è un fatto recente, visto che i mali che ci affliggono e i relativi sintomi non sono cosa nuova. Ma è anche vero che sono peggiorati notevolmente negli ultimi anni e, come se non bastasse, non sembra vicino il momento in cui si deciderà di affrontare le crisi con la necessaria decisione.
L’Europa ha paura e questa paura è il risultato di una perdita di fiducia in se stessa. E nulla è frutto del caso. Per molto tempo, infatti, è stato coltivato il seme della sfiducia e dell’odio, mettendo al contempo in dubbio i principi che danno forma alla nostra identità.
Alcuni in Europa o, per essere giusti, in tutto l’Occidente, si mostrano apatici, rassegnati e votati alla sconfitta, eppure, malgrado ciò, sono convinto che nel nostro continente esistano le ragioni per essere ottimisti. Noi europei possiamo fare più di una cosa per recuperare la speranza e l’illusione. In primo luogo, dobbiamo essere orgogliosi dei nostri valori e dei nostri principi, che sono la base stessa della nostra identità. Sono i valori, del resto, che condividiamo con altri nella realtà che chiamiamo Occidente, che hanno assunto un senso universale e ci distinguono da chi li odia (ragion per cui odiano noi e ci vogliono distruggere). Se decidiamo che non vogliamo essere quello che siamo, se cadiamo nella dittatura del relativismo morale, non faremo che alimentare la sfiducia, la paura nel futuro e nel cambiamento. La tentazione del relativismo radicale è sterile e pericolosa: il relativismo morale radicale porta a ridefinire le istituzioni basilari della nostra cultura, ad esempio la famiglia e il matrimonio. La famiglia e il matrimonio sono un elemento essenziale e basilare della società e, in accordo con la nostra tradizione occidentale, il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna. Se indeboliamo la famiglia, indeboliremo la nostra società nel profondo, mettendo in discussione il miglior canale a nostra disposizione per la trasmissione dei valori che sono alla base della civiltà.
Fuori dalle nostre frontiere europee, la grande sfida è l’estensione della libertà e della democrazia. Tale sfida non è solo un dovere etico, ma anche una scommessa esistenziale, perché diffondere la libertà verso il maggior numero di nazioni è un interesse fondamentale per tutta l’Europa. La libertà, la democrazia, il riconoscimento e la garanzia dei diritti fondamentali sono un vantaggio per tutti: non lo fossero, finirebbero per non esserlo anche per noi.
Un altro grande compito che siamo tenuti ad affrontare è quello di definire i limiti dell’Europa. Non si può negare che il processo europeo, in termini storici, sia stato un successo. Però l’Europa ha la necessità di basarsi su valori definiti e deve essere riconoscibile. Diviene così necessario tracciare un limite, sia perché il progetto stesso di Europa non può consistere in un’espansione perpetua, sia perché i confini dell’Europa non possono essere soltanto geografici, per la semplice ragione che vanno posti limiti anche a quello che l’Europa può e deve fare. In origine il processo di integrazione europea si basò sull’idea di allargamento delle libertà dei cittadini e delle persone, laddove la condizione della libertà è la limitazione del potere. Diviene pertanto fondamentale recuperare l’ispirazione originaria dei padri dell’Europa, procedendo verso un’Europa delle libertà, in un continente che, sull’idea stessa di libertà, deve basarsi.
L’Europa deve anche essere in grado di affrontare la sua debole crescita economica, perché il futuro si può unicamente basare su di un’economia forte, un’economia delle libertà e delle opportunità. Se vogliamo alimentare la fiducia necessaria alla crescita, la soluzione non può essere quella che prevede interventi e protezioni da parte dei governi, bensì quella dell’apertura e della liberalizzazione in un quadro di generale stabilità. La creazione di una grande zona di integrazione economica con gli Stati Uniti, aperta a quei Paesi che vi vogliano aderire, potrebbe essere il motore di una crescita economica importante tanto per l’Europa, quanto per il resto del mondo.
L’Europa deve anche far fronte ai problemi creati dall’immigrazione. Sono convinto che il modello da seguire per ottenere dei risultati, possa essere solo quello di un’integrazione basata sui principi e sui valori della società aperta. Risolvere la questione è urgente: occorre che ogni nuovo immigrato che arriva in Europa, condivida i nostri valori e i nostri principi, integrandosi all’interno delle nazioni che formano l’Europa stessa.
L’Europa non deve rinnegare il concetto di Occidente, né tanto meno la sua proiezione atlantica. Del resto, fu il legame atlantico che preservò la libertà in Europa nel XX secolo, e il futuro della libertà e della democrazia nel Vecchio Continente, come nel resto del mondo, dipende dalla capacità che avremo di rinnovare quel legame vitale.
Quest’anno si celebrerà il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Roma. Sarà l’occasione per rendere il giusto riconoscimento a un successo storico senza precedenti. Ma dovrà essere anche un’opportunità per alimentare la speranza di una realtà che affronti il futuro con ottimismo. L’obiettivo? Lanciare una grande offensiva per il riarmo morale dell’Europa.

Il Messaggero, 24 marzo 2007


Il presidente della Cei, Bagnasco: la consapevolezza delle nostre radici non significa negare una sana laicità delle istituzioni

«Dalla Ue troppi attacchi alla Chiesa»

La Santa Sede: «Da Strasburgo criticati 30 volte». Monito sulla Turchia: non si minaccino i nostri valori

di PAOLA OREFICE

ROMA - L’Europa «non può tradire i valori cristiani». Il Vaticano, come aveva già fatto nel corso dei lavori preparatori della nuova Costituzione europea, invita i capi di Stato dell’Ue a non recidere il legame con le radici cristiane dell’Europa che fanno parte dell’identità, non solo religiosa, ma anche culturale, antropologica del continente. Una critica, quella mossa dal ”ministro degli Esteri” vaticano Dominique Mamberti, che arriva nel giorno in cui a palazzo Madama è stato celebrato il cinquantenario del ”Trattato di Roma”. Ma altri sono gli attacchi che arrivano all’Ue da parte della Santa Sede a cominciare dalle «ingiuste» accuse «di indebita ingerenza in campo europeo» che la Chiesa ha dovuto subire da parte del Parlamento europeo per ben «30 volte»; dalle decisioni prese sulla distruzione degli embrioni umani. «Una democrazia - dice il collaboratore del Papa - che anzichè servire la vita umana, la mette ai voti ed appoggia chi la sopprime, sembra preda della prevaricazione e dell'intolleranza». E insiste: «I cristiani impegnati nello spazio pubblico europeo per essere pienamente coerenti con la loro fede, nell'attuale contesto culturale e politico debbono considerare prioritario e qualificante per il loro impegno pubblico, la tutela della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, e della struttura della famiglia, come unione tra un uomo e una donna, fondata sul matrimonio».
Quindi Mamberti ripete che la Santa Sede è contraria ad una politica di allargamento da parte dell’Ue che possa minacciare «la condivisione dei principi e dei valori forgiati dal cristianesimo». E’ evidente il riferimento alla Turchia.
Anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, torna sulla necessità di ricordare le radici cristiane dell’Europa: «Consapevolezza delle proprie radici cristiane non significa in alcun modo negare le esigenze di una giusta e sana laicità, da non confondere con il laicismo ideologico, delle istituzioni europee». Invece, dice Bagnasco, «significa affermare prima di tutto un fatto storico che nessuno può seriamente contestare, perchè il cristianesimo appartiene in modo radicale e determinante ai fondamenti dell'identità europea». E ancora un richiamo all’Unione europea da parte del presidente della Cei che deve «superare l’originaria vocazione economica per aprirsi a una più ampia dimensione politica e istituzionale».

Il Messaggero, 24 marzo 2007


La messa in latino

Atto d'amore verso le nostre radici romane

Marcello Veneziani

Tornano i secoli bui, la controriforma e la santa inquisizione. Così ululano le streghe radical perché il Papa ha riabilitato la messa in latino e tra breve sarà possibile richiederla per elezione democratica: bastano trenta firme di fedeli, i cobas della tradizione, e si potrà avere in Chiesa l'ordo missae. Dov'è lo scandalo, dov'è il ritorno al passato oscurantista? Semmai cresce la libertà dei fedeli, perché si allarga il pluralismo delle scelte e delle lingue. Nessuno infatti impedisce di seguire la messa nella lingua corrente; la messa in latino è una possibilità in più. Semmai questa possibilità arriva in ritardo di quarant'anni. Ci saremmo risparmiati scismi, Lefevbre, sedevacantisti e atroci polemiche, se il Concilio Vaticano II avesse ammesso la messa in lingua corrente senza impedire quella tradizionale. Ratzinger riabilita il passato? Dov'è lo scandalo se un papa difende la millenaria tradizione cattolica? O quando si parla del passato ai papi è consentito solo chiedere scusa per gli errori e gli orrori dei secoli andati? Vi confesso di amare la messa in latino e non per snobismo di letterato o per spirito reazionario.
I silenzi mistici, il mistero di quelle parole, il fascino di alcune espressioni e dei canti gregoriani che davano il senso del sacro e del lontano, il sacerdote rivolto a Dio e non a cercare il consenso dei fedeli, come se la messa fosse un'assemblea condominiale o comiziale. E poi, se permettete, il ritorno del latino è anche un atto d'amore verso le nostre radici romane, verso la nostra cultura classica, ed una valorizzazione dei paesi latini, a cominciare dal nostro, nell'epoca dell'americanizzazione e dell'inglese universale. Quando dirigevo un settimanale uscì una volta con un numero scritto in latino per promuoverne il ritorno, come lingua dotta e universale. E poi, un papa anziché affaticarsi facendo gli auguri in ottanta lingue, può anche parlare nella lingua antica, propria e universale, il latino.
Certo, qualcuno dirà che il greco, l'aramaico sono le lingue originarie; ma non si fa un torto a nessuno se nella Babele poliglotta spunta la lingua di Cicerone. Qualcuno ancora sostiene che l'uso del latino serviva al potere della Chiesa per dominare, facendosi arcane le sue formule al volgo; ma in una società invasa da linguaggi criptici, per addetti ai lavori, usati nelle nuove tecnologie o nelle dichiarazioni tributarie, antiquata è l'obiezione e non il latino. Ite missa est.
Cresce la libertà dei fedeli perché si allarga il pluralismo delle scelte e delle lingue

Gazzetta del sud, 24 marzo 2007

Quoto, riquoto, straquoto!


IL LATINO VAL BENE UNA MESSA
Il suo ritorno nella liturgia, promosso dal Sinodo dei
vescovi, non sarà facile. Ma è un messaggio
che riguarda tutti gli aspetti della vita della Chiesa


Gianni Baget Bozzo

IL documento conciliare sulla liturgia non prevedeva l’abolizione del latino come linguaggio della preghiera della Chiesa e nemmeno una così vasta riforma come quella attuata da Paolo VI. Ma quel documento è il primo documento conciliare promulgato da Giovanni XXIII: non è ancora avvenuta quella vasta rivisitazione del linguaggio e della dottrina della Chiesa che si svolge con Paolo VI. Fu il cambiamento della lingua liturgica e dei testi delle celebrazioni a dare al popolo cristiano il senso di un cambiamento radicale che riproponeva a ciascuno il proprio modo di essere cattolico. Ora la Sacramentum Caritatis, l’esortazione dell’ultimo Sinodo dei vescovi, riporta la Chiesa al testo originale del Concilio e ripropone un ritorno al latino nella liturgia, stabilendo che in lingua parlata debbano essere solo le letture bibliche, l’omelia, la preghiera dei fedeli, tutto il resto potrebbe essere in latino. E l’esortazione invita anche al ritorno al canto gregoriano e che i seminaristi e i fedeli debbano essere educati al gregoriano e alle preghiere in latino.
Una lingua comune ai fedeli nel mondo

Ritorna così il latino come lingua sacra, distinzione tra il tempo e lo spazio della vita comune e quello del culto che porta il credente nel mistero del Dio fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio. La Chiesa ha sempre avuto il problema di esporre la dimensione d’una realtà altra dal tempo, che però diveniva temporale per introdurre gli abitanti del tempo all’attenzione all’eterno. Non c’era solo l’intenzionalità della parola nell’esperienza liturgica, vi era qualcosa di non detto, che passava nel silenzio tra il cristiano e il suo Dio. La Messa ha due momenti: quello della parola, della lettura della scrittura che si rivolge all’intenzione del credente: e quello del sacrificio che si lega alla sua attenzione interiore che va oltre le parole. La liturgia latina permette che il solo celebrante legga il canone che riguarda il sacrificio introducendo i fedeli a un’attenzione nel silenzio rivolta alla percezione del mistero celebrato. La riforma liturgica di Paolo VI ha messo in luce altri aspetti della Messa, ha inteso sottolineare la comunità celebrante, ma questo è andato a scapito dell’attenzione profonda in cui si esprime la differenza tra il tempo sacro e il tempo storico. Il latino liturgico permetteva di esprimere l’unità e l’universalità della Chiesa, la sua cattolicità per cui ogni cattolico partecipava alla medesima Messa nella medesima lingua in qualunque parte del mondo. L’esortazione del Sinodo vuole ritrovare sia la dimensione dell’attenzione al mistero sia quella della parola nella medesima lingua dei cattolici nel mondo.

Tra logica greca e diritto romano

Papa Benedetto ha sottolineato che la Chiesa ha incorporato in sé stessa la logica greca e il diritto romano. Roma significa l’universalità del diritto perché dall’esperienza dell’impero romano si passò dal potere etnico alla cittadinanza universale. L’idea di una Chiesa che possa separarsi dalla cultura greca e romana vorrebbe dire separarla anche dalla sua sorgente ebraica, fare della Chiesa una parola che assume segni diversi in base alle culture che attraversa, accetta di perdere la sua identità nell’alterità dei popoli a cui si rivolge. È il tema dell’inculturazione della fede che sembra separare la Chiesa dalla sua storia mentre la Chiesa è la sua storia e assume in sé ciò che ha incontrato. La civiltà nata dal Cristianesimo porta in sé l’idea di storia, di un processo umano che si volge identico a sé stesso verso la meta e porta dunque un senso del suo divenire. Il ritorno del latino non sarà facile, ma il fatto che esso sia possibile ha un valore di messaggio che riguarda tutti gli aspetti della vita della Chiesa. Per questo l’esortazione sinodale ha il senso di un messaggio che va oltre il tema che essa tratta.

La Stampa, 23 marzo 2007

2 commenti:

Luisa ha detto...

Ti ringrazio Raffaella di cercare e trovare per noi articoli così interessanti che ci permettono di riflettere, trovare delle risposte e alle volte consolidare le nostre convinzioni.
Per esempio l`articolo di Marcello Veneziani sulla messa in latino così pieno di semplice buon senso e saggezza.È vero in questo mondo dove si ha una sola parola alla bocca" libertà" perchè i soli a dover limitare le proprie libertà dovrebbero essere i cattolici in generale e più in particolare coloro che amano la messa in latino?
Il Santo Padre si è limitato creare uno spazio di più grande libertà ,spazio che non avrebbe mai dovuto essere così ristretto..al punto da far fuggire tanti fedeli.Vorrei tanto vedere questi "cattolici-progressisti" che io preferisco chiamare "modernisti", cessare di essere così intolleranti verso i loro fratelli nalla fede .
Di che cosa hanno paura ...che le chiese dove i fedeli potranno seguire messe in latino e con canti gregoriani conoscano grande affluenza ? Dovrebbero al contrario rallegrarsi , evenualmente rimettere in questione certe loro intransigenze e rivedere i loro giudizi.Io preferisco vedere le nostre chiese piene di persone che pregano e poco importa la lingua usata, da noi il francese, da voi l`italiano e ovunque il latino !

Anonimo ha detto...

Ciao Luisa, sono assolutamente d'accordo.
I mass media agitano lo spauracchio del latino,quasi il Papa volesse sostituirer la Messa conciliare con quella tridentina.
NON E' VERO...BASTA!!!!
Benedetto XVI vuole includere non escludere. Molti fedeli andranno alla Messa tridentina? E allora? Non e' un bene! Con il conformismo non si va da nessuna parte e, a questo punto, mi viene da dire: Viva il Papa anticonformista :-))