25 marzo 2007

Aggiornamento rassegna stampa del 25 marzo 2007 (1)


Leggi anche "Rassegna stampa del 25 marzo 2007"

Seguiranno altri articoli su CL e il discorso del Papa.



Ratzinger profeta: «L'Europa si estinguerà»

di CATERINA MANIACI

ROMA Estinzione, apostasia, egoismo, cinismo pragmatico. Ecco quali sono le realtà, la linea d'orizzonte, la sostanza dell'Europa anno 2007 secondo papa Benedetto XVI. Non affronta il discorso con giri di parole, ma con la sua consueta chiarezza e incisività il Pontefice denuncia i rischi ai quali va incontro l'Europa a 50 anni dai Trattati di Roma. E il tono viene percepito come risoluto, persino duro. Se il suo "ministro degli Esteri", monsignor Dominique Mamberti, venerdì ha denunciato gli «attacchi ingiusti» dell'Europarlamento alla Chiesa cattolica (quasi trenta, ha contato minuziosamente), ora Benedetto XVI si rivolge ai vescovi europei riuniti a Roma in occasione din convegno dedicato proprio all'anniversario dei Trattati di Roma. Disegna uno scenario quasi apocalittico: «Sotto il profilo demografico si deve purtroppo constatare che l'Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia». Eppure, Benedetto XVI continua a desiderare - e chiede ai suoi vescovi di non rinunciare a questa speranza - «una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo». Quel che appare invece davanti ai nostri occhi indifferenti è il panorama di un continente europeo alla deriva, che sta «di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire». A questo si è arrivati perdendo il contatto con le proprie radici. Una «singolare forma di apostasia da se stessa prima ancora che da Dio» caratterizza l'Europa odierna, portandola «a dubitare della propria identità», sottolinea il Papa davanti alla platea di vescovi e ricorda la proposta tante volte avanzata da Giovanni Paolo II e dal cardinale Camillo Ruini: «Non si può pensare di edificare un'autentica casa comune europea trascurando l'identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un'identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica. Un'identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo». Ma quel che forse ha fatto balzare dalle sedie in molti, soprattutto fra i politici, è la "denuncia", da parte di Benedetto XVI, di «quell'atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l'inevitabile accettazione di un presunto male minore». E quando su un simile pragmatismo «si innestano tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d'intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l'accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi». Accuse precise, affondo circostanziati, che evocano le spinose questioni etiche, l'eutanasia, l'aborto, i Dico, e che preparano l'ultimo monito, un tema già lanciato dalla Pontifica accademia Pro vita qualche giorno fa. «Nell'attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano», afferma il Papa, «va salvaguardato il diritto all'obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati». E come risponde il mondo della politica alle nette parole del Papa? Risponde subito il premier Romano Prodi, tentando una sorta di autodifesa: «Mi sono adoperato lungamente e silenziosamente per introdurre il riferimento della radici cristiane nella Costituzione europea. Credo, però che non esserci riuscito non vuol dire che il testo le disconosca». E poi tenta anche una controffensiva: «Questo è un retaggio del passato». Invece, adesso «ciò che mi preoccupa di più è il senso dell'assedio, dell'essere minoranza che vedo anche nel mondo cristiano». Secondo il ministro dell'Interno Giuliano Amato, il Papa «ha ragione», nel senso che «i valori cristiani fanno parte della nostra tradizione e della nostra cultura, e che esiste in Europa un problema di fattori di disgregazione dei tessuti sociali, un problema di fattori costitutivi di identità sbagliate e non di identità positive, mentre i valori cristiani, come in genere i valori religiosi, possano concorrere a rinsaldare il tessuto etico delle società europee». Critica la posizione del ministro per le Politiche comunitarie Emma Bonino: «Il Papa forse ha come modello la politica italiana, dove troppi politici dimentichi della rigorosa, grande tradizione dei cattolici liberali, sono invece usi chinarsi al bacio del santo piede, ma l'Europa è, e deve rimanere, una realtà più complessa e articolata». Per il vicepresidente del Senato leghista Roberto Calderoli c'è una certezza sola: «Peccato, o per fortuna, che stia svolgendo un incarico tanto importante perche' diversamente candiderei Joseph Ratzinger come prossimo presidente del Consiglio di questo Paese perché, con le sue parole, dimostra ogni volta di avere le idee chiare e di saperle esprimere chiaramente».

Libero, 25 marzo 2007


Valori cristiani «Se l’Unione li dimentica, rischia un’apostasia da
se stessa, prima ancora che da Dio»


IL J’ACCUSE DI RATZINGER

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’DEL VATICANO
Il grido d’allarme di Benedetto XVI: «L’Europa rischia il congedo dalla storia». La Ue festeggia il suo atto di nascita, ma il Papa la «sgrida», mettendola in guardia dal dimenticare la propria identità cristiana e ammonendola a salvaguardare il diritto all’«obiezione di coscienza» sui diritti fondamentali. Toni netti e preoccupati per scuotere un Vecchio Continente sempre più secolarizzato, insicuro, sordo ai richiami ecclesiali e bersagliato da imponenti migrazioni dal terzo Mondo e dalle terre d’Islam. Il Papa stigmatizza la «singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio» che induce l’Europa a dubitare della sua stessa identità. «Si finisce così per diffondere la convinzione che la “ponderazione dei beni” sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso», afferma Benedetto XVI, secondo cui il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, ma si trasforma in «male comune» ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo.
Joseph Ratzinger vorrebbe, invece, un’Europa «realistica ma non cinica, ricca di ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata al Vangelo». I popoli e i governi europei non dimentichino le radici cristiane, altrimenti sull’Europa incombe l’«apostasia da se stessa». La denatalità ha incamminato l’Ue verso il «congedo dalla storia» e restano tutte da affrontare le sfide della integrazione della solidarietà. Ricevendo i vescovi europei per i 50 anni dei Trattati di Roma, Benedetto XVI si appella al contributo che i cristiani possono dare alla politica europea, purché non si pieghino «alla logica del potere fine a se stesso». Il Papa è in apprensione per l’identità anche cristiana del continente, ma il suo intervento non punta tanto alla citazione delle radici cristiane nella Costituzione europea. Mira piuttosto a richiamare il Vecchio Continente alla propria identità e i governi ad avvicinarsi alle aspirazioni della loro gente. Tanto più che l’Ue, «sotto il profilo demografico» rischia il «congedo dalla storia» e quando cerca il «rispetto dell’ambiente o l’ordinato accesso alle risorse e agli investimenti» fa «fatica» a incentivare la «solidarietà». Inoltre il processo dell’unificazione «si rivela non da tutti condiviso» e sembra che i suoi «capitoli» siano stati scritti «senza tener conto delle attese dei cittadini». Quindi «non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli» che è «un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa». Questa «anima del Continente», deve restare nell’Europa del terzo millennio come «fermento di civiltà».
«Se i governi vogliono avvicinarsi ai cittadini come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea quale è il cristianesimo?», si chiede Benedetto XVI. Anzi, una comunità che «si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano», dimenticando che ogni persona è creata a immagine di Dio, «finisce per non fare il bene di nessuno». Il Papa, perciò, chiede ai cristiani di essere «presenti in modo attivo nel dibattito pubblico» europeo, «consapevoli che esso fa ormai parte di quello nazionale». E non dimentica che i Trattati di Roma erano «una tappa importante per l’Europa stremata dal secondo conflitto mondiale e desiderosa di costruire un futuro di pace e di maggior benessere economico e sociale, senza dissolvere o negare le diverse identità nazionali».
Ora che l’Europa è fatta di 27 Paesi, si pone l’esigenza di «un sano equilibrio tra la dimensione economica e quella sociale» con politiche per «ricchezza e competitività», ma senza dimenticare i «poveri». Giusto un anno fa Benedetto XVI, incontrando una delegazione dei Popolari del Parlamento europeo, enunciava i «principi non negoziabili» per i cattolici: la difesa della vita, la tutela della famiglia, la libertà educativa. Ieri, la sua voce si è levata per aggiungere altri importanti argomenti alla testimonianza autentica dei valori, sollecitando l’attenzione sulla crisi demografica dell’Europa e sulla difesa della dignità umana fondata sull’identità cristiana come momento nel quale non è possibile raggiungere il compromesso con chi non la rispetta.

La Stampa, 25 marzo 2007


Apostasia

La parola dell’abbandono

Termine tecnico-specialistico. E’ innanzi tutto il ripudio pubblico e solenne della propria religione.
Secondo il diritto canonico, significa l’abbandono totale e deliberato della fede da parte di una persona battezzata.
Nell’uso comune, con valore estensivo, vuol esprimere il ripudio di un’ideologia, di un partito e simili.
Deriva da due parole greche: «apo» (che dà il senso dell’allontanamento) e «stasis» (che significa restare).


La Stampa, 25 marzo 2007


Ed ecco alcune interviste che mi fanno capire quanto il Papa abbia ragione.
Tutti a precisare, a parlare di integrazione, di dialogo (quanto si abusa di questa parola!), di comprensione, di male minore, di elogio del compromesso...tutti discorsi buonisti che non afferrano la verita' di fondo: per dialogare occorre essere consapevoli delle propria identita' e della propria cultura. Il mondo islamico non comprende l'Europa proprio perche' apostata, non perche' cristiana.
Quando lo capiremo?
In merito all'intervista a Predrag Matvejevic, ho alcune osservazioni da fare. Innanzitutto vorrei far notare che ancora una volta si parla del "silenzio della Chiesa". Mi pare, francamente, un discorso discutibilissimo e non corrispondente al vero.
Noto pero' che coloro che accusano la Chiesa di tacere sono gli stessi che hanno insultato, rimproverato, stigmatizzato Benedetto XVI per la lectio magistralis di Ratisbona in cui si affermava l'unione imprescindibile di ragione e fede e si condannava ogni guerra, ogni violenza, compiuta in nome di Dio!
Riconciliamoci con noi stessi: o la Chiesa deve tacere o deve parlare...sempre!

Raffaella


“Non c’è un’agonia
Cominciamo a scrivere una storia migliore”

ALBERTO MATTIOLI

«Premetto che non sono né un ateo né un agnostico militante. Anzi, ho difeso i diritti dei credenti perseguitati nell’Est europeo. E stando là, quando e dove non era facile farlo. Molti dei personaggi di cui ho raccolto le lettere nel mio Epistolario dell’altra Europa, anzi, in Un’Europa maldetta come adesso ha ribattezzato il libro Baldini e Castoldi cui piacciono i titoli forti, erano perseguitati per ragioni religiose». Predrag Matvejevic’, testimone ed esule delle guerre dell’ex Jugoslavia e intellettuale simbolo di tutti i disastri balcanici antichi e recenti, mette le mani avanti.
Non è contro la chiesa. Però?
«Però non sono d’accordo con quel che ha detto ieri il Papa. Non credo che l’Europa stia uscendo dalla storia: al contrario, credo che ne stia costruendo finalmente una migliore, senza le guerre devastanti e fratricide che l’hanno segnata nel secolo scorso. In questo passaggio, è evidente che la fede conserva un ruolo, ma non credo che sia un ruolo politico. Quella dell’Europa di oggi non è l’apostasia della storia, ma la ricerca di una nuova storia».
Benedetto XVI ha lanciato anche l’allarme demografia, dicendo in sostanza che fra poco l’Europa non avrà più un’indentità perché non ci saranno più europei...
«Il problema demografico certamente importante ma, anche in questo caso, non credo che riguardi la fede. È un problema sociale, non religioso. Quindi credo che sia stato sollevato per evocare le polemiche sulla famiglia e sui Dico».
Il problema demografico implica quello dell’immigrazione, specie musulmana.
«Le scritture ci insegnano che bisogna accogliere l’Altro, l’ospite, il migrante. Credo che la chiesa abbia spesso peccato di omissione. Come nelle guerre balcaniche. Lo dico da figlio di padre ortodosso e di madre cattolica, nato in una città a maggioranza musulmana come Mostar. Abbiamo visto 8 mila musulmani massacrati a Srebrenica, quasi tre volte più morti che nelle Torri gemelle, i campi di concentramento, le bombe su Sarajevo. E le chiese hanno taciuto».
Quella cattolica ha condannato la guerra e la violenza.
«Ma in maniera troppo generica. Non ho visto sacerdoti, né cattolici né ortodossi, cercare di interporsi fra gli assassini e le loro vittime. Abbiamo cercato la voce della chiesa, ma non l’abbiamo sentita».
Il Papa non l’ha fatto ieri, ma in passato ha spesso criticato il mancato accenno alle radici cristiane nella costituzione europea.
«La menzione già esistente nel testo che riconosce il contributo dato dalle religioni all’identità europea mi sembra sufficiente. Altrimenti entriamo in un ambito storico, e allora accanto ai valori della tradizione cristiana bisognebbe anche condannare i molti misfatti perpetrati in nome di quei valori, dalle guerre di religione ai roghi e così via. Oggi c’è molta confusione fra una presunta “giusta laicità” e il laicismo. La chiesa in Italia chiama laicismo quel che in Francia, il Paese che l’ha inventata, è molto semplicemente una normale laicità».
Almeno riconoscerà a Giovanni Paolo II l’idea di un’Europa dall’Atlantico agli Urali...
«Per la verità, la frase è di De Gaulle. In ogni caso, sono felicissimo che si stia realizzando. Le chiese hanno fatto gesti positivi, come il reciproco annullamento delle scomuniche fra cattolici e protestanti. Ma non hanno dato risultati significativi. Dal punto di vista religioso, il continente resta diviso. E il processo d’unificazione è tutto politico. Non credo che si possa dire che è il cristianesimo che sta unendo l’Europa».

La Stampa, 25 marzo 2007

Il Cristianesimo ha fatto l'Europa...e' un po' diverso!



“Siamo incapaci di pensare al futuro”

Io ho fatto otto figli e ho quattordici nipoti. Sarebbe facile per me dire, tout court, che il Papa ha ragione quando sostiene che l’Europa, sotto il profilo demografico, rischia il congedo dalla storia. Dovrei dire che chi non fa figli non crede nel futuro. E come cristiano sostenere che la spinta a pensare in termini di futuro fa parte dell’impegno a crescere. E che fare figli si identifica con la scommessa sul futuro, portando avanti la benedizione di Abramo. Ma sul partire da questioni demografiche per arrivare a considerazioni sociologiche e culturali sarei molto cauto».
Giuseppe De Rita, 75 anni, segretario generale della fondazione Censis, uno dei più noti sociologi italiani, attento osservatore delle trasformazioni economiche, sociali e istituzionali del nostro Paese, sostiene che Benedetto XVI nel cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma ha senza dubbio messo a fuoco un tema di fondamentale importanza - futuro e ruolo per l’Europa - ma poi ha preferito indulgere verso la reprimenda, piuttosto che nell’invito alla riflessione e all’apertura di un dialogo per affrontare la questione. «Troppo facile fare una lettura del declino europeo basata sul calo delle nascite. Mi sembra che la riflessione di Joseph Ratzinger sia più sottilmente culturale. Il Papa vede una crescita della cultura della soggettività che porta gli europei a ragionare in termini di soggettivismo e, quindi, di egoismo. C’è una sorta di astrazione sia dal passato che dal futuro: quello che conta è il presente, il contesto nel quale mi trovo, ora, a vivere, pensare, agire. Diceva quel simpatico filosofo siciliano di Manlio Sgalambro: “Il passato non ci interessa perché è stato il presente di altri, il futuro non ci interessa perché sarà il presente di altri; a noi interessa solo il nostro presente”».
Un atteggiamento che è figlio del nostro tempo e che non basta liquidare sbrigativamente come “una tendenza a fregarsene degli altri”. Ed è anche comprensibile che Papa Ratzinger si scagli contro questo non credere nel futuro: per lui è inammissibile che un cattolico non abbia come fine la trasmissione della benedizione di Dio di padre in figlio, di generazione in generazione. Il futuro, per chi crede, è progredire verso Dio: quindi negare il progresso significa negare Dio. Ma perché questa tendenza sarebbe più accentuata, come sostiene Benedetto XVI, nella vecchia Europa piuttosto che in altre realtà? «Perché l’Europa - spiega De Rita - è la patria dei valori e dei diritti dell’individuo in quanto tale. Una cultura che ha al centro l’uomo e il valore della persona. Una cultura dove sono evidenti le radici cristiane. Altre realtà sono progredite diversamente. Negli Stati Uniti, che pure culturalmente partono dal vecchio continente, hanno ad esempio più spazio i concetti di comunità e destino. Il risultato è che l’Europa oggi è un insieme di popoli dove il rispetto e la valorizzazione dell’individuo sono valori condivisi».
Tutto giusto e tutto bello, senonché questa situazione ha un rovescio di medaglia. «La spinta esasperata al soggettivismo ha tolto agli europei la capacità di ragionare in termini collettivi. Ma poi, forse sarebbe più giusto chiederci: che cosa è oggi l’Europa? La verità è che non sappiamo dire: “noi europei”. Siamo milioni di individui e non un’identità collettiva. L’allargamento dissennato dell’Unione Europea ci espone a rischi enormi. La vecchia Comunità a sei mi dava un senso di identità che oggi, a ventisei, stento a ritrovare. Chi siamo? Lo ripeto: vedo un presente fatto di soggettivismo e individualismo. Un insieme di persone che non sono in grado di darsi un futuro collettivo».
Ratzinger dixit, sembrerebbe di capire. Ma De Rita non è del tutto d’accordo. Il Papa ha colto il disagio del momento storico attuale, ma poi ha scelto la strada della reprimenda. «Io penso che invece bisognerebbe aprire al dialogo - conclude De Rita - Noi europei siamo fragili. Non basta dire che abbiamo comuni radici cristiane. Per superare l’individualismo e il soggettivismo dobbiamo lanciare un nuovo messaggio collettivo. O, meglio, dobbiamo creare un futuro collettivo. Questo è un tema vero, sul quale discutere e ragionare. E questo, tutto sommato, può essere il frutto maturo di un processo storico che ha terminato la propria corsa».

La Stampa, 25 marzo 2007


“Non possiamo vivere ripiegati su noi stessi”

La frequenza, l’intensità e la forza degli interventi di Benedetto XVI sembrano fatti apposta per spiazzare cattolici democratici come Rosy Bindi, ma il ministro per la Famiglia non si scompone: «Certamente la preoccupazione di Benedetto XVI sui tassi di natalità e sull’invecchiamento della società è assolutamente condivisibile ed è una delle preoccupazione forti dell’Unione europea e anche del governo italiano, visto che assieme al Giappone siamo il Paese col tasso di natalità più basso. Ma ci sono vari modi di rispondere al problema...».
Difficile ricominciare a far figli per editto o per decreto...
«Le politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia non sono la stessa cosa: in Francia è quasi raddoppiata la natalità ma si sono dimezzate le famiglie nel senso che la metà dei nuovi nati vive con un solo genitore. Quindi servono politiche a sostegno della genitorialità per favorire la nascita di più figli, che però possano vivere in una famiglia».
Ministro, l’allarme demografico del Papa non è permeato da un profondo pessimismo?
«Ci sono tanti modi con i quali nei secoli si è risposto al problema demografico. Ora per l’Europa si apre una doppia sfida: non separarsi da sé stessa e dalla proprie origini, ma anche accettare che la propria crescita si contamini nella sfida della società multietnica e multireligiosa. Se l’Europa riuscirà ad integrare i propri valori con le novità che premono, sarà anche in grado di competere con il resto del mondo: è questa la sfida del meticciato».
La sfida più grossa arriva da Paesi come la Cina, l’India, il Brasile che sono delle potenze demografiche...
«Verissimo. Ma quella sfida si vince non diminuendo il rispetto della coesione sociale che c’è in Europa, ma allargandola al resto del mondo, senza chiudersi in una una etnia continentale di famiglie europee, autoctone. E facendo diventare europee tante altre famiglie: questa è la sfida dell’integrazione. In fondo i processi migratori sono stati all’origine di grandi mutamenti storici, nei quali ognuno ha costruito una identità nuova: l’Europa di oggi è il risultato delle integrazioni che ha saputo compiere nella sua lunga storia».
Ma non le pare che il pontefice tedesco, tralasciando la vocazione universalistica iniziata col Concilio, esprima una concezione molto eurocentrica?
«Intendiamoci: qui in Europa è nato il concetto del primato della persona umana, si è dato un grande contributo al tema dei diritti umani, la democrazia non è stata soltanto un dato formale grazie al Welfare, qui è nato il concetto più raffinato di mercato e di libertà religiosa. Per tutto questo il Papa ha ragione: l’Europa non può separarsi da se stessa. Però la forza di questi valori sta nel sapersi confrontare con altre culture e religioni».
E invece sembra affiorare l’idea di una identificazione tra cristianesimo e civiltà: questo non è pericoloso?
«Non c’è dubbio che il cristianesimo abbia ispirato la cultura europea ma non si po’ pensare che il cristianesimo si chiuda nella cultura europea ed occidentale. Il cristianesimo ha una sua portata universalistica e non teme l’integrazione con nessun altra cultura».
Molto controverso è il passaggio che riguarda il «compromesso» che «si trasforma in male comune ogni volta che comporti accordi lesivi della natura dell’uomo». Non è la negazione del dialogo tra cattolici non clericali e laici non laicisti? Indirettamente non si nega alla radice un progetto come quello del partito democratico?
«Qui riecheggia la “Centesimus annus”, per cui il bene comune non è la sommatoria di beni particolari e comporta una gerarchia dei valori nel rispetto della persona umana. Il dialogo è assolutamente indispensabile e questo ce lo insegna la storia della Chiesa: non c’è un tempo ideale, una razza ideale, una cultura ideale. Il cristiano deve vivere nel mondo e naturalmente - il Papa ha ragione - non può mai svendere i valori».
La storia italiana dimostra che i cattolici hanno sempre perso quando si sono arroccati...
«Indubbiamente. Anche l’Europa se pensasse di chiudersi nella ricchezza e nella cultura raggiunta, sarebbe una fortezza facilmente espugnabile».
Non le pare che la marcia del 12 maggio possa assumere toni da crociata?
«Mi auguro che non sia così e se così fosse sarebbe un tradimento della forza che la Chiesa e i cattolici possono avere, Mi auguro una piazza propositiva, non una minoranza agguerrita».

La Stampa, 25 marzo 2007


Chi vuole deliziarsi con accuse infondate al Papa da parte di chi, probabilmente, non ha nemmeno letto il discorso di ieri, puo' cliccare qui

Ed ecco chi non e' credente ma pretende di dare lezioni evangeliche al Papa.
Mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse il concetto di modernita' e come mai si offende il Papa continuando a chiamarlo reazionario.


L´INTERVISTA/1

Massimo Cacciari: al mondo contemporaneo si deve parlare in un altro modo

"Sono solo prediche nostalgiche così dimostra la sua debolezza"

MILANO - Il monito di Ratzinger? «Niente di nuovo né originale». Rimanda, semmai, a una «concezione reazionaria» attraverso la quale, da tempo, la Chiesa «cerca di contrastare il processo di secolarizzazione della società». Una società che non è più fondata sulle gerarchie e i valori della «res pubblica cristiana-medievale». Per questo, più che di «prediche nostalgico moraliste», più che auspicare un «ritorno a un mondo che non esiste più», ci sarebbe bisogno di una «Chiesa autorevole che sappia parlare alla gente». Senza «insistere» e «bacchettare» sull´identità cristiana, che è «un concetto in continua trasformazione».
Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, laico, che impressione le hanno fatto le parole del Papa sull´apostasia dell´Europa?
«Non sono una novità. Ratzinger paragona l´Europa a Giuliano l´apostata. Ma è da anni che la Chiesa denuncia questo processo di allontanamento dai valori cristiani. Perché, invece, non si pone il problema di come predicare al mondo contemporaneo? L´identità cristiana si è intricata e trasformata, e per questo vive. Stesso discorso per le radici: sono portanti solo se ne alimentano di nuove. Di questo dovrebbe tenere conto la Chiesa. E dire al suo popolo: parliamone, confrontiamoci. Ma senza predicozze».
Il Papa dice che c´è bisogno di un equilibrio tra economia e società. Produrre ricchezza, sì, ma senza trascurare i poveri e gli emarginati.
«Su questo ha ragione da vendere. Questa Europa, sia cristiana che laica, è una miseria politica e culturale. Non c´è più nessuno autorevole. L´unica cosa autorevole è il denaro».
Nemmeno il Papa e la Chiesa hanno autorevolezza?
«Nemmeno loro. Da non credente, in un momento di grande difficoltà della cultura laica, la progressiva debolezza della Chiesa mi preoccupa».
A proposito. Secondo Ratzinger ci sono correnti laicistiche che negano la parola ai cristiani.
«E´ un´accusa priva di fondatezza che fa apparire debole chi la pronuncia. A parte che i cristiani hanno tutti gli spazi di parola che vogliono, e, anzi, secondo me dovrebbero utilizzarli meglio. Ma in ogni caso, se le argomentazioni sono così deboli, significa che il Papa è senza voce. Una Chiesa afona e culturalmente fiacca, indebolisce anche l´Europa».
Altro invito del Pontefice: i cristiani devono partecipare alla politica per una nuova Unione europea. Però - sottolinea - senza piegarsi alla logica del potere fine a se stesso.
«Si avanza la pretesa che soltanto aderendo ai valori predicati dalla Chiesa si può avere un atteggiamento coerente, rigoroso e disinteressato a tutto ciò che non rientri nell´interesse dei cittadini. Io, da laico, faccio politica, e credo di operare nell´interesse dei cittadini senza asservirmi al potere».
Sui Dico i vescovi europei ribadiscono: la famiglia non si tocca.
«Gesù diceva: amatevi come io vi ho amato. La Chiesa dovrebbe partire da qui, dalla famiglia fondata sull´amore. Altro che essere sessuofoba. Non c´è nessuna legge in grado di indagare nell´anima di due persone dello stesso sesso. Di misurare i loro sentimenti. Se si amano si amano, e basta. Come gli etero».

Repubblica, 25 marzo 2007


L´INTERVISTA/2

Tina Anselmi, che oggi compie 80 anni: non penso che si voglia tornare indietro

"Ma una politica poco laica è un male anche per la Chiesa"

GIOVANNA CASADIO

ROMA - «Ci vuole più laicità: questa carenza nella politica italiana è negativa per tutti, anche per la stessa Chiesa». Tina Anselmi oggi compie 80 anni. Nella villetta di Castelfranco Veneto, la vigilia di compleanno è un viavai di visite, telefonate, e «la Tina» ha poco tempo per le riflessioni politiche. Ma sul monito del Papa e il richiamo ai valori cattolici le preme dire che «tutti devono riflettere», tenendo però ben distinte «le responsabilità dei laici da quelle della Chiesa». Prodi le ha inviato un telegramma che lei, quasi sottovoce, rilegge: «Carissima Tina un grande grazie a te che hai contribuito a rendere più forte la democrazia con il coraggio morale chiesto ai liberi e forti e l´intelligenza politica... sostieni ancora il nostro impegno per l´Italia e l´Europa». E quindi, la Anselmi che per 50 anni, «tutta la Prima Repubblica», ha attraversato la vita politica italiana dalla lotta partigiana alla presidenza della Commissione P2, battendosi nella Dc per una politica «non fatta dai portaborse, ma da persone che credono nei valori» (come scrive nel libro a quattro mani con Anna Vinci "Storia di una passione politica"), rivendica «la distinzione importante tra Chiesa e laicato».
Tina Anselmi, i politici cattolici oggi sono più proni al Vaticano?
«Credo che ciascuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Anche dal punto di vista della Chiesa, non è giusto caricarla dei problemi e degli oneri di una società in cui quando i laici nicchiano o non ritengano conveniente prendersi le responsabilità, ecco che scatta la delega».
Però Cossiga ha detto: mi inginocchierò sempre davanti al Papa.
«Lasciamo perdere. Ciò che è della Chiesa non può essere assunto "sic et simpliciter" dal laicato che ha le sue organizzazioni, i suoi strumenti. Non penso che si voglia tornare indietro. Mi preoccupa la carenza di laicità. Non si governa se non c´è una classe dirigente competente, autonoma, che abbia senso di responsabilità. Più mancano questi riferimenti più la vita politica diventa povera. E poi, vanno valorizzate le donne, le loro capacità».
C´è una forte contrarietà dei vescovi sui Dico, la legge sui diritti dei conviventi. Lei cosa ne pensa?
«Non è un problema da poco. Tutto sta nel definire i diritti dei conviventi, ci sono quelli già acquisiti e altri che devono esserlo: la società cambia».
La Cei ha annunciato una nota vincolante sui Dico. Questo metterà in imbarazzo i politici cattolici?
«Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta. Bisogna vederla».
Intanto si prepara un raduno dei cattolici in Piazza San Giovanni. Ricorda mobilitazioni di questo tipo?
«Quando tentarono di varare la "lista per Roma", per le amministrative e Pio XII auspicava un´unità che arrivasse fino ai fascisti, che De Gasperi bloccò, ci furono mobilitazioni, cortei».
Questo del 12 maggio è un Family day, una festa della famiglia.
«Bene, conviene che sia per la famiglia e non contro il governo».
Ci crede in un Partito democratico che unisca gli ex dc e i post comunisti?
«Posso sperarlo. Fatemelo vedere, realisticamente è un passaggio molto difficile».

Repubblica, 25 marzo 2007

Faccio una considerazione: il Papa ha ragione quando afferma che c'e' una corrente laicista che mira a togliere la parola ai cattolici. Sapete da che cosa lo si nota? Mini articolini per citare (spesso in modo grossolano) le parole del Papa ed interviste su interviste che tentano di screditarlo.
Basta leggere gli articoli sopra citati per rendersene conto. Questa e' liberta' di espressione? Questa e' la laicita'?

Raffaella

Seguiranno altri articoli...

2 commenti:

gemma ha detto...

Forse è un problema che le generazioni future riusciranno a superare ma di fatto, oggi nessuno si sente europeo. Questa Europa è vissuta da tutti come un’entità astratta, imposta dall’alto, eterogenea, con pochissimi sentimenti comuni, se si escludono il progresso e una tanto sbandierata cultura più impegnata ed efficace nel confutare il passato che non nel gettare le basi per il futuro. Una cultura che vuole dialogare dalla mattina alla sera ma solo con chi gli è estraneo per integrarsi con esso ma senza chiedere altrettanto all’altro e senza evitare di perdersi, aperta agli altri ma oscurantista verso se stessa . Mi ricorda tanto un’entità priva di anima

Anonimo ha detto...

Cara Gemma, la penso esattamente come te. Purtroppo gli Europei non si sentono tali perche' persistono i nazionalismi particolari. Questo non e' un male perche' ciascun popolo ha la sua storia, la sua cultura e la sua lingua. Non sara' facile costruire l'unione europea e ci vorranno decenni affinche' i cittadini accettino l'idea di un grande ente sovranazionale.
Ha ragione l'ex presidente Scalfaro: la costituzione europea ha tutti i crismi giuridici per essere tale, ma le manda l'anima, l'amore, la passione.
Che cosa abbiamo in comune? Partiamo dall'inizio: le nostre radici. Non riconoscere questa verita' elementare azzoppa fin dall'inizio l'integrazione futura.