25 giugno 2007

Pietro De Marco: se alcuni cristiani non sanno affrontare la disapprovazione dell'intelligencija laica, lascino questo confronto a chi ne ha la forza


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Riportiamo un ottimo articolo di Sandro Magister che, a sua volta, cita lo studioso fiorentino Pietro De Marco.
Mi sembra che le riflessioni di quest'ultimo sulla profonda crisi di un certo modo di interpretare il rapporto fra la Chiesa e la modernita' siano molto interessanti e condivisibili.
Occorre dialogare, discutere, polemizzare, con chi pretende di mettere il bavaglio al Papa. Una cosa, a mio avviso, non si puo' fare: cedere sempre e comunque, arrivando a criticare le gerarchie ecclesiastiche, ansiosi di non urtare i moderni conformisti.
Ha ragione De Marco quando afferma che ogni disagio che il cattolico puo' provare dovrebbe indurre all'approfondimento del problema senza cadere nel tranello della facile (e comoda) critica
...
Raffaella


Firenze contro Roma: un cattolicesimo in stato di disagio

Perché a Firenze e in Toscana la Chiesa è più spenta e divisa che nel resto d'Italia? Una "Lettera" di protesta contro le posizioni del papa e della conferenza episcopale. E il commento di uno studioso fiorentino, Pietro De Marco

di Sandro Magister

ROMA, 25 giugno 2007 – Benedetto XVI ha terminato da poco di incontrare a uno a uno i vescovi delle 226 diocesi italiane, recatisi da lui in visita "ad limina".
Dai colloqui ha ricavato la conferma che in Italia la Chiesa cattolica è saldamente presente e vitale. Oggi più di ieri, per alcuni aspetti.
Ma non è ovunque così. Un caso emblematico di cattolicesimo in stato di sofferenza è rappresentato da Firenze e dalla Toscana: una città e una regione tra le più conosciute e ammirate al mondo.


Firenze e la Toscana, nell'Italia dell'ultimo secolo, sono state la culla di una cattolicità straordinariamente viva e multiforme, con personalità di forte spicco.
Era di Firenze lo scrittore Giovanni Papini, un convertito, autore di una celebre vita di Gesù.
Ha vissuto a Firenze Giorgio La Pira, sindaco della città negli anni Cinquanta e Sessanta, instancabile profeta di pace messianica tra le nazioni e le religioni, di cui è in corso il processo di beatificazione.
Apparteneva alla diocesi di Firenze il prete Lorenzo Milani, parroco e maestro in una scuola da lui ideata e creata in un piccolo paese di montagna, Barbiana, autore nel 1967 di un libro, "Lettera a una professoressa", accolto in tutto il mondo come una rivoluzione educativa.
Sono legati a Firenze i nomi di due grandi poeti cristiani: Mario Luzi, più volte candidato al premio Nobel, e David Maria Turoldo.
Fu legato a Firenze anche uno dei più geniali architetti del Novecento, Giovanni Michelucci, autore di chiese che a loro volta esprimevano una visione teologica: di Chiesa non trionfante ma umile pellegrina sulle vie del mondo.
Apparteneva alla diocesi di Firenze il sacerdote Giulio Facibeni, indimenticato apostolo della carità, anch'egli in via di beatificazione.
Era toscano don Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, uno dei più grandi mistici della Chiesa contemporanea.
Era toscano padre Ernesto Balducci, teologo e antropologo dei più ammirati, animatore di una rivista, "Testimonianze", divenuta con il Concilio Vaticano II rivista-guida di una riforma della Chiesa in chiave progressista.
Era fiorentino Mario Gozzini, autore nel 1964, assieme a Giampaolo Meucci e ad altri pensatori cattolici e marxisti, di un libro dal titolo emblematico: "Il dialogo alla prova", poi eletto in parlamento nelle file della sinistra.
Erano di Firenze, del quartiere dell'Isolotto, la comunità e il parroco, Enzo Mazzi, che furono protagonisti, nel 1968, del più clamoroso atto di "dissenso" cattolico dopoconciliare.


Eppure, nonostante questa esuberante fioritura di personalità e di carismi cristiani, Firenze e la Toscana sono oggi una città e una regione nelle quali il cattolicesimo appare più spento e diviso, rispetto al resto d'Italia.
La Pira e Balducci, da posizioni diverse, hanno avuto molti discepoli. Ma, di questi, la gran parte spendono oggi il loro patrimonio ideale sul solo terreno della milizia politica, con i partiti della sinistra. E lo stesso è avvenuto per la rivista "Testimonianze".

Anche gli indicatori classici dell'appartenenza alla Chiesa sono più bassi a Firenze e in Toscana che nel resto d'Italia.
È così per la partecipazione alla messa domenicale, per i matrimoni religiosi, per il sostegno economico alla Chiesa, per la frequenza all'ora di religione nelle scuole.
Perché è avvenuto questo? Per ragioni solo esterne o anche interne alla Chiesa? Risponde a queste domande – di seguito in questa pagina – un cattolico anche lui fiorentino, Pietro De Marco, professore di sociologia della religione all'Università di Firenze e alla Facoltà teologica dell'Italia Centrale.
In parte, l'analisi del professor De Marco è già apparsa su "Toscana Oggi", il settimanale delle diocesi della Toscana, dove è divenuta oggetto di discussione.

Per un'altra parte, De Marco commenta invece una recente "Lettera alla Chiesa Fiorentina" diffusa da cattolici d'area progressista che protestano contro le posizioni assunte dalla Chiesa di Benedetto XVI e del cardinale Camillo Ruini: lettera firmata tra gli altri da Renzo Bonaiuti, Bruno D'Avanzo, Bruna Bocchini, Pier Giorgio Camaiani, Enzo Mazzi, Wilma Occhipinti Gozzini, tutti eredi di quella effervescenza cattolica sopra descritta.


1. Una cattolicità volutamente assente dalla sfera pubblica

di Pietro De Marco

Franco Garelli è forse il sociologo della religione che ha offerto, nell’ultimo quarto di secolo, le letture del cattolicesimo italiano meno ipotecate da conformistiche prognosi di declino.
In un suo saggio del 2006, "L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo", edito dal Mulino, egli ha scritto che nella svolta culturale impressa all'Italia da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e dal cardinale Camillo Ruini hanno un posto centrale “il forte richiamo identitario e la scelta di far leva su quella parte della società che più avverte l’esigenza di riattualizzare nel tempo presente i valori della fede cristiana e i riferimenti etici che da essa derivano”.

Questo slancio, che mobilita minoranze ed è destinato alla “più ampia società”, avrebbe già ottenuto almeno questo effetto:

“L’attuale stagione della Chiesa e del cattolicesimo italiano è profondamente segnata dal richiamo all’identità cristiana e dall’impegno sui valori irrinunciabili”.

Mi chiedo: quanto di ciò è applicabile alle comunità e alle culture cattoliche toscane? Quanto vi è, nella Toscana cattolica, di questa vitalità, di queste effervescenze?

Rispondo: ben poco. Certamente vi sono dei valori nella Toscana cattolica: spiritualità, volontariati, duttilità pastorale. Ma sicuramente non “richiamo identitario”, che è passione solo di minoranze. Azzardo questa opinione sulla scorta di ricerche particolari e di una riflessione personale. E la giustifico con alcune tesi, da verificare.

Una prima tesi. Nelle comunità toscane l’esistenza cattolica – fuori dalle cerchie familiari e parrocchiali o dai numerosi cenacoli spirituali e intellettuali nonché dalle visibilità circoscritte della messa domenicale e dell’attività assistenziale – è prevalentemente una paradossale visibilità dell’assenza.

Tale prevalente assenza è assenza da ciò che si chiama sfera pubblica. Una dominante invisibilità cattolica non può essere surrogata dalle mille attività, pur importanti e generose, nel sociale e nei cosiddetti mondi vitali quotidiani. La sfera pubblica è altra cosa. La dimensione civile del “riattualizzare nel tempo presente i valori della fede cristiana e i riferimenti etici che da essa derivano” (Garelli) non si realizza nelle piccole cose.

Una seconda tesi. Questa sindrome toscana di un’esistenza cattolica pubblicamente assente si traduce spesso in una presenza dei singoli nella sfera intellettuale o politica. Una presenza che è mimetica. Che significa? Si dà presenza mimetica se si agisce imitando e adottando l’abito e il ruolo di attori già sperimentati e graditi nella sfera pubblica.

Così il cattolico è di volta in volta il tollerante mediatore, il pacifista, il narratore delle glorie fiorentine del Novecento, il critico dell’istituzione ecclesiastica, il difensore a oltranza della Costituzione, il dirigente politico dalla parte del cittadino, il prete dei diseredati (gli altri preti suscitano diffidenza), il volontario per ragioni strettamente umanitarie, il teologo che si presenta come intellettuale di sinistra, ecc. Presenza mimetica, si badi, più spesso per convinzione che per pratica nicodemitica, cioè rivolta a dissimulare la propria identità.

Una terza tesi. Questa invisibilità effettiva fatta di presenza mimetica comporta l’obiettiva separatezza della fede del singolo e della comunità ecclesiale dalla sfera pubblica. Ma nello stesso tempo convive con la ricorrente invocazione ad abbattere gli “storici steccati” tra Chiesa e società civile. Se questa contraddizione è vissuta come pacifica è perché l'invisibilità cattolica toscana e i suoi popolari teoremi hanno un retroterra di teologia debole, che rende spontaneo il far coincidere la condizione del laico cristiano con la laicità dei moderni.

Non mi stupisco. allora, quando vedo la progressiva riduzione dei contenuti di dottrina nella catechesi impartita nelle parrochie, o quando assisto alla manipolazione filantropica e solidaristica delle parole del dogma e della liturgia.

Né mi stupisco della percentuale degli iscritti all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole toscane, i valori percentuali più bassi a livello nazionale, a Firenze addirittura disastrosi. La partecipazione all’ora di religione è responsabilità cattolica pubblica. Ma per l’ethos toscano la presenza cattolica nella scuola è illegittima, comunque mal sopportata. E così anche molte famiglie cattoliche si conformano all’opinione corrente e scelgono quell’assenza pubblica che le rende socialmente accettabili.

Nella stessa logica, come la Toscana esibisce i più elevati standard di esonero dall’insegnamento della religione (attorno al 17 per cento nell'ultimo anno scolastico, ma a Firenze con punte dell'80 per cento nelle medie superiori), così questa regione esibì nel 2005 le percentuali di votanti più alte in Italia (quasi il 40 per cento, contro il 25 della media nazionale) in occasione dei falliti referendum per la fecondazione eterologa e per l'utilizzo degli embrioni: quando l'indicazione dei vescovi italiani era di non votare. Un'indagine in una storica organizzazione del volontariato cattolico fiorentino, le Misericordie, accertò che un associato su tre si era recato alle urne.

Così tutto appare più semplice: il laico senza fede positiva né cittadinanza religiosa non abita, forse, con bella naturalezza la sfera pubblica delle società moderne? Ma questo avviene perché egli l'ha realizzata a propria immagine. Il cristiano, cattolico in particolare, vi abita invece con insuperabile problematicità, poiché la “neutralità” della sfera pubblica agisce come la ben nota “bussola impazzita” e sfida la responsabilità che la "Città di Dio" ha sul fine ultimo della politica. La sfida avviene non su terreni declamatorii, ma su soglie critiche come la vita o la famiglia. Per affrontarle non vi sono modelli laici da imitare, ruoli "corretti" da rivestire. Il cristiano, sia esso prete o comune fedele, deve operare allo scoperto.

Quanta percezione di questa criticità di ogni giorno e di questo dovere vi è nella Toscana cattolica? L'agire prevalente mi pare inconsapevole. E come può un debole sentimento cattolico, senza dottrina, confrontarsi con l’orizzonte delle istituzioni politiche? Il sociologo non è così sprovveduto da ricondurre tutto ciò alla “secolarizzazione”. Sappiamo di numerose minoranze, nel clero e nel laicato, che hanno una posizione critica verso questa Toscana cattolica. E vi si oppongono come possono, con l'organizzazione e lo studio, magari abbonando circoli e parrocchie a qualche periodico di battaglia antimoderna come "Il Timone" o "Radici Cristiane".

E avviene che dove si cerca una visione più rigorosamente e realisticamente cristiana – se necessario conflittuale – dell’agire cattolico pubblico, lì si realizzi anche un più attento sapere della fede.


2. E a proposito della "Lettera alla Chiesa Fiorentina"...

di Pietro De Marco

La remissività cattolica di fronte alla disapprovazione laica – la remissività che sopra ho descritto nel suo esprimersi mimetico – si ritrova nella "Lettera alla Chiesa Fiorentina" che alcuni cattolici, anche miei amici, hanno scritto e diffuso nei mesi scorsi.
Quale disagio ha indotto questi cattolici a esprimere nella "Lettera" la loro protesta? Sicuramente la difficoltà a giustificarsi come membri della Chiesa di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e del cardinale Camillo Ruini di fronte al giudizio ostile degli ambienti di appartenenza e dell'opinione pubblica laica. Un'opinione pubblica che in alcune aree dell'Italia crea l’impressione di essere dominante e con ciò rappresentativa tout court dell’uomo contemporaneo. Un'opinione laica che è da decenni in collisione, su libri e giornali, con il magistero della Chiesa romana.

In effetti l’ansia che questi cattolici denotano di fronte all’istanza giudicante laica è così forte che in nessuna riga della "Lettera" affiora l'idea che i fedeli abbiano anzitutto il dovere di intendere le ragioni e le decisioni dei loro pastori.

Ne hanno d'altronde l'opportunità. Ma quanti leggono e hanno letto – da anni, da decenni – gli atti del magistero della Chiesa, spesso notevolissimi, nella loro interezza e non nei lanci frammentari dei giornali laici? Chi lo facesse non potrebbe supinamente accettare il dispregio che anche tanti “cattolici critici” rivolgono al magistero antropologico di Giovanni Paolo II o al richiamo al Logos e al diritto naturale di Benedetto XVI.

E quanti, tra i firmatari della "Lettera" che siano anche catechisti nelle parrocchie, colgono l’opportunità di formarsi con l’"Introduzione al Cristianesimo" di Joseph Ratzinger?

Si badi: la fecondità dell’ascoltare la Chiesa – quella Chiesa che continua a riflettere ed operare secondo responsabilità – vale anche per i casi disciplinari.

Ma quanti dei cattolici che si dicono “in stato di disagio” si sono preoccupati di capire i motivi della decisione del vicariato di Roma di negare i funerali religiosi a Piergiorgio Welby, l'uomo gravemente ammalato che lo scorso inverno volle e ottenne di porre fine anticipatamente alla propria vita? Qualcuno ricorda che esiste una distinzione tra foro interno e foro esterno, e una peculiare gerarchia tra giustizia e carità? Sarebbe stata una buona occasione per apprendere. E non si ricava questo necessario sapere dai giornali d'opinione che traducono a loro modo i documenti romani.

Non risulta che qualcuno impedisca al laicato cattolico di parlare. Il punto è che i cattolici della protesta hanno poco da dire, e quel poco è di ostacolo a un autonomo, adeguato giudicare cattolico.

Poco ha da dire anche questa "Lettera", un testo che – salvo un paio di riferimenti all'oggi – avrebbe potuto essere scritto indifferentemente dieci, venti, trenta anni fa.

Da decenni le citazioni del Concilio Vaticano II sono sempre le stesse, immancabilmente appaiate agli insegnamenti dei "maestri laici". A Firenze, inoltre, si riascoltano di continuo le tesi di padre Ernesto Balducci, approdato alla fine a un vero e proprio culto dell'uomo moderno. Chiedo: si può davvero credere che la retorica sull’uomo moderno, retorica costitutivamente ostile a ogni Chiesa che eserciti mandato e potestà di guida, sia all’altezza della svolta del terzo millennio, dopo che la visione novecentesca e progressista della modernità è stata travolta? A parte il fatto che l'uomo moderno è stato e resta, nel discorso progressista, un paradigma di comodo. Lo si può esaltare e scagliare contro la Chiesa docente, a uso interno; e rigettarlo poi come feticcio dell’Occidente, se si parla dell’Altro e del sud del mondo.

Per i cattolici della "Lettera" la Chiesa è "autentica" quando riconosce il “genuinamente umano”, quando accetta le libertà dei moderni come dato indiscusso, quando esibisce la propria incompetenza nell’ordine morale-sociale. Una Chiesa disseminata, microcomunitaria, coscienziale. A questa visione oppongo ancora due notazioni.

La prima.

Se alcuni cristiani non sanno affrontare la disapprovazione dell'intelligencija laica, lascino questo confronto a chi ne ha la forza e il mandato, senza pretendere di frenarne l’azione. A mio avviso, oggi, l'opposizione della Chiesa alla modernità non ricaverebbe alcun aiuto da procedure di tipo sinodale. Né in linea di dottrina, né secondo la logica dell’agire carismatico l’esercizio dell'autorità dei pastori può essere ridotto a registrazione di un punto d’equilibrio tra gruppi ecclesiali di opinione e pressione. La "sacra potestas" non è pratica notarile.

La seconda.

Se il cattolicesimo non è riducibile a una morale, come legittimamente sostiene la "Lettera", ha però una morale. È uno straordinario ordinatore umano-divino del senso del nostro operare. Quindi è più che mai necessario proporre pubblicamente i comandamenti della legge cristiana. Essi celebrano il Dio creatore e proteggono la creatura. Il cosiddetto uomo contemporaneo non ha bisogno, e non chiede, di essere blandito o confermato, ma di essere avvertito, frenato, ostacolato, nelle proprie derive. Questo è esercizio di "agape" ed è il compito originario e non modificabile della "Città di Dio".


La "Lettera" discussa da Pietro De Marco, con l'elenco dei cattolici che l'hanno firmata:

> Lettera alla Chiesa Fiorentina

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4 commenti:

francesco ha detto...

confermo... magister è geniale e pessimo
geniale perché ha così conoscenza del sostrato cattolico da individuare alcuni punti nevralgici dell'orbe...
pessimo perché il suo scopo non è di costruzione del popolo cristiano, ma di attacco ora a questo ora a quello... una tattica che definirei diabolica e che mi inquieta non poco...
sulla rilettura di de marco... è una rilettura retorica che parte dal presupposto che il "cattolicesimo di sinistra" produce cattivi frutti...
ora se voi andate a firenze voi trovate non tanto una "chiesa di sinistra", ma una fortissima "chiesa di destra"... una chiesa fortemente polarizzata c'è il prete con la bandiera della pace all'ambone e la comunità tradizionalista di gricigliano...
estremismi pericolosi entrambi...
se però voi andate sempre a firenze la presenza della massoneria è tra le più forti d'italia (a me, quando ci abitavo, una donnina, sulla cui buona fede era davvero impossibile dubitare, disse "padre, è dura!!! qui siete circondati da massoni")...
e allora io non leggerei le cose alla "de marco", ma alla luce della strenua lotta tra la spirito, che ha fornito firenze e la toscana di figure di chiarissima bellezza cristiana e l'azione corrodente della massoneria che vuole invalidare questa straordinaria messe di grazia...
io direi: riappropriamoci di don bensi, di don milani, di balducci, perfino dell'isolotto (se possibile... qui la vedo dura!!!) non lasciamoli ai manifesti dei partiti o alle critiche immotivate...
e preoccupiamoci meno dei numeri che sono una tentazione costante...
altrove le persone che si avvalgono dell'ora di religione sono di più, ma... è solo fumo, niente arrosto...
qui però apriremmo un altro capitolo... che sarebbe pure cruciale

francesco

mariateresa ha detto...

Per quello che mi riguarda trovo i commenti di De Marco parecchio sensati. Non conosco la specifica realtà della Chiesa in Toscana ma avverto, in generale, che questo disagio dei cosiddetti cattolici progressisti deriva proprio dal timore della mancanza "dell'approvazione sociale". E' così, e davvero ci vuole parecchia determinazione per sostenere la Chiesa in certe circostanze e in certi contesti. Gli argomenti che ci si trova di fronte, lo dico per esperienza personale, sono gli stessi dei giornali di riferimento , senza cambiare una virgola, senza un nanogrammo di originalità. I militanti sono così, quelli che simpatizzano e tirano a campare anche. Non che sia impossibile dialogare, ma è difficile, ci vuole tempo e a volte si perde la pazienza. Io almeno la perdo, anche se è peccato.
Ed è anche vero come dice De Marco che gli argomenti sono gli stessi di dieci, venti, trenta anni fa.I politici di sinistra certe analisi non le fanno più come allora, almeno pubblicamente, il cattolico di sinistra impegnato in politica li fa ancora tali e quali. E' possibile che senta in questo modo un maggiore senso di appartenenza alla società e al sentire comune e , nello stesso tempo, si senta un po' migliore nella massa per la dimensione di "coscienza" che gli deriva dall'essere cristiano.
Credo che siano comunque in atto dei cambiamenti di cui chissà quando vedremo l'esito.
Il mondo è cambiato anche per loro, che lo vogliano o no.
Non giudico naturalmente la profondità delle loro convinzioni ma anch'io non posso fare a meno di avere una sensazione di "vecchio" quando leggo di certe prese di posizione. Alla manifestazione contro Bush, fallita, a Roma, ho notato che erano presenti "I Beati costruttori di pace" che sembravano dei sopravvissuti, ne conosco qualcuno, magari sono ottime persone ma sembrano avere inghiottito un'annata del Manifesto e non avere mangiato altro da allora. Facevano quasi tenerezza.
Quello che auspico di cuore è che le categorie di "destra" e "sinistra" non si usino più nelle questioni religiose.
Forse è un'ingenuità, ma varrebbe la pena tutti di farci una pensatina. E credo che sia una cosa che sta sommamente a cuore a papa Benedetto.

Anonimo ha detto...

Io sono di un'altro avviso: i buoni frutti li può portare solo la Chiesa intesa come corpo mistico di Cristo infatti, la Chiesa non deve essere ne di destra ne di sinistra!!!! Gli insegnamenti della chiesa non possono e non devono avere colore politico visto che, la Chiesa che poi è formata anche da noi, ha il compito di diffondere gli insegnamenti di Gesù e come si può dare agli insegnamenti di Cristo un colore politico?????? Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita quindi non è ne di destra ne di sinistra. Diciamo piuttosto, che di questi tempi ed anche in passato, per comodità umane, sociali e politiche, ci siamo sempre ostinati a dare una valenza politica alla Chiesa ma, la Chiesa ribadisco non può e non deve averne!!!!!!!!!

Anonimo ha detto...

Grazie per i vostri commenti. Io toglierei le categorie di destra e di sinistra anche perche' la Chiesa non puo' essere assimilata a questa o a quella categoria.
Mi fanno ridere quelli che chiamano Papa Benedetto "consevatore", cioe' di destra. In realta' il pensiero di Ratzinger e' molto articolato. Se prendiamo i temi sociali (ecologia, rifiuto delle tangenti, rispetto per i rifugiati, globalizzazione), il Papa e' molto piu' progressista di tanti politici di casa nostra.
Esistono pero' cattolici che si trovano a disagio perche' non sopportano le tensioni con la mentalita' conformistica odierna. Non discutono, ma danno ragione a chi da' la colpa alla Chiesa per l'imbrattamento delle cattedrali e per il rovinoso declino di certi partiti.
Ogni attrito, ogni tensione, dovrebbe essere l'occasione per porsi delle domande, per approfondire certi argomenti. Per me e' stato cosi' per il rifiuto di celebrare i funerali a Welby. Anche io, all'inizio, non capivo, ma poi sono andata a leggere il Catechismo ed ho compreso questa scelta, tanto sofferta per il Vicariato di Roma.
L'uso politico strumentale di tutta la vicenda, mirante all'accettazione tacita dell'eutanasia, mi ha poi confermato che tale rifiuto, seppur doloroso, non aveva alternative.
Raffaella