7 dicembre 2007

Ci mancava solo la speranza: lettera aperta di zio Berlicche a Malacoda :-)


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Ci mancava solo la speranza

di Berlicche

Mio caro Malacoda, se c'è una cosa insopportabile a questo mondo è la speranza. Perché nella speranza gli uomini si salvano. Ti scrivo in preda allo sconforto in cui sono sprofondato dopo la lettura dell'ultima fatica di Benedetto XVI, Spe salvi. Con questa enciclica il cristianesimo, che eravamo riusciti a ricacciare nell'eternità, una vaga atemporalità di cui più nessuno si chiedeva il significato, si riappropria del tempo. Noi usavamo e usiamo il tempo per fare prigioniero l'uomo: schiavo del passato che non passa mai e dal quale nessuno può redimersi, illuso di un futuro prefigurato nei suoi progetti o - il che è lo stesso - rassegnato a un domani che non dirà nulla di diverso dall'oggi, e distratto nel presente. Il passato come ricatto, il futuro come sogno che a sua volta ricatta, il presente saltato a piè pari da questo asino di Buridano bloccato al bivio dell'esistenza che è diventato l'uomo nelle nostre mani. Impegnati ad affermare il relativismo (noi che in realtà siamo degli assolutisti), ce lo vediamo scippare da questo Papa che già non ha paura di dirsi razionalista e illuminista: è vero, dice, tutto è relativo, c'è un prima e c'è un dopo rispetto «all'incontro con Cristo».
Prima si viveva «davanti a un futuro oscuro (nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo)», dopo gli uomini sanno di avere un futuro, sanno «che la loro vita non finisce nel vuoto», e «solo quando il futuro è certo come realtà positiva diventa vivibile anche il presente». Insomma, chi ha speranza vive diversamente oggi. La speranza «attira dentro il presente il futuro, così che quest'ultimo non è più il "non ancora". Il fatto che questo futuro esista cambia il presente». Ma fino a qui noi diavoli avremmo ancora lo spazio per l'insinuazione dell'irrealtà del tutto, è quando il Papa introduce il termine "certezza" che ci toglie il terreno sotto i piedi: «Una vita basata sulla certezza della speranza».

Certezza? Sì, «attesa delle cose future a partire da un presente già donato». «Per sperare, bambina mia, bisogna aver ricevuto una grande grazia», diceva Péguy; un bimbo vi è stato donato, ripete oggi Benedetto XVI, e questo fatto accaduto nel tempo ridà significato al tempo, e permette di attraversarlo da protagonisti, non come ingranaggi di un meccanismo chiamato progresso o evoluzione, ma liberi.

Ratzinger ci ha tolto anche quest'arma: la libertà, ne avevamo fatto l'argomento per ogni ribellione lui mostra che all'infuori dell'ipotesi di Dio è come un sacco vuoto, s'affloscia. Ma il colpo più duro per noi è quello sul passato: ciò che è fatto è fatto, mettiamoci un pietra sopra, una pietra tombale a sancire l'eternità e l'irrisarcibilità del male compiuto. Non conviene neanche su questo, è riuscito a trovare un filosofo laico e insospettabile di intelligenza con il Nemico, Adorno, che vuole scoperchiare anche le tombe: la vera giustizia - dice - richiede un mondo in cui la sofferenza presente sia annullata, ma anche revocato ciò che è irrevocabilmente passato, quindi «giustizia non può esservi senza la resurrezione dei morti». Anche noi, in fondo chiediamo solo un po' di giustizia, unicuique suum, a ciascuno il suo. Ma questo sta esagerando. L'accordo era: a voi l'eternità a noi il tempo, a voi i sentimenti a noi la ragione, a voi le regole a noi la libertà, a voi le nuvole a noi il fuoco (s'è ripreso anche il fuoco, dice che è Cristo); pretende che tutto sia suo: il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro. E noi di chi siamo? Riprenditi.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche

© Copyright Tempi num.49 del 06/12/2007

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