7 dicembre 2007

Padre Cantalamessa all'Osservatore Romano: "Dio continua a parlare all'uomo di oggi"


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Padre Cantalamessa anticipa i temi della predica d'Avvento

Dio continua a parlare all'uomo di oggi

Nicola Gori

Dio ha parlato una volta per tutte per mezzo del Figlio e continua a farlo anche ai nostri giorni, cioè fin quando esisterà la Chiesa. Così padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, sintetizza il tema delle prediche di Avvento 2007, che hanno inizio venerdì 7 dicembre, nella cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, alla presenza del Papa. In questa intervista all'"Osservatore Romano" il religioso cappuccino anticipa le linee essenziali delle sue riflessioni e spiega il significato di questo appuntamento spirituale.

"Ha parlato a noi per mezzo del Figlio" è il tema delle prediche di Avvento di quest'anno, tratto dalla lettera agli Ebrei. Può spiegarci questa scelta?

C'è in quel testo un'ammirabile sintesi di tutta la storia della salvezza, suddivisa in due parti: il tempo in cui Dio parlava attraverso i profeti e il tempo in cui Dio parla nel Figlio, cioè di persona, perché il Figlio è la sua stessa sostanza. Già lo scorso anno avevo deciso di riflettere in modo particolare su questo testo per renderlo vivo oggi, per rimetterlo in circolazione nel pensiero cristiano. Poi, col passare del tempo, ho compreso che quelle parole erano anche una risposta al dibattito recente sulla figura di Gesù. Così ho deciso di proporre al Papa questo programma di riflessione. Io parto da questo testo e, lasciandomi ispirare un po' anche dalle tematiche toccate da Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazaret, amplio il discorso per cercare di renderlo accessibile a tutti, in un certo senso di veicolarlo anche ad un pubblico più vasto. Il mio desiderio è che l'opera del Papa non passi inosservata, né resti un arricchimento solo per chi ha potuto leggerla e studiarla, ma diventi, diciamo, parte della vita della Chiesa.

Quali segni riconosce come messaggio di Dio all'uomo contemporaneo?

È noto il testo in cui san Giovanni della Croce - la cui festa liturgica cade proprio il venerdì della II settimana di Avvento - dice che Dio è diventato muto dopo aver parlato attraverso il Figlio e a chi lo interroga su nuove rivelazioni risponde: ascoltate Lui. Dio continua a ripetere quello che disse sul Tabor: ascoltate Lui. Ciò non significa che il Padre tace, non parla più; ma che continua a parlare dicendo quello che ha detto nel Figlio. La rivelazione, dunque, è chiusa ma allo stesso tempo rimane sempre aperta, vivificante, "lievitante". Nella misura in cui gli uomini continuano a porre domande alla rivelazione, la Parola di Dio parla, dà risposte. Quindi oggi c'è spazio per Dio: Egli parla non meno che ai tempi della lettera agli Ebrei.
D'altra parte è interessante quello che si legge nella lettera paolina: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi... per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio". Si sa che quell'ora, quei giorni a cui si riferisce il testo dureranno finché dura la Chiesa. Non è un oggi temporale. Infatti la Lettera dice: "esortatevi... finché dura quest'oggi" Perché quest'oggi durerà sempre. Siamo sempre negli "ultimi giorni", nella pienezza dei tempi inaugurata da Gesù. E allora quelli che oggi permettono alla voce di Dio di continuare a risuonare nel mondo sono i messaggeri del Vangelo, sono i profeti, sono i dottori, i maestri.

Come si svolge la predica di Avvento?

La predicazione avrà, come sempre, una parte dottrinale, in questo caso piuttosto storica, e un parte parenetica: non dimentichiamo che queste sono prediche di Avvento, non sono conferenze. Ci sarà un parte tutta pratica che, partendo dal testo paolino, cercherà di avvicinarlo alla vita di oggi. Si vedrà così che esso tocca problemi molto attuali, diciamo quasi quotidiani. La prima predica è sulla personalità di Gesù come spicca nei confronti dei profeti, la seconda sarà sulla personalità di Gesù come risalta dal confronto con Giovanni Battista. La terza sarà incentrata sul Figlio. Quindi i profeti, Giovanni Battista e il Figlio. Per quanto riguarda Giovanni Battista avrò l'occasione di mettere in luce il fatto che egli inaugura una nuova profezia, che consiste nell'abitare un presente, non nell'annunciare un futuro, nell'indicare una presenza, ma una presenza nascosta.

Questo ci riporta all'attualità. Esistono ancora i profeti che richiamano all'amicizia con Dio?

Sì, a patto di non restringere la categoria dei profeti solo a quelli che usano come mezzo il linguaggio, la parola. Ci possono anche essere delle vite profetiche: quella della Madonna, per esempio, è una vita profetica. Ella è profeta in tutta la sua persona, come Abramo. Così ci sono nel mondo di oggi, nella Chiesa, tante persone che sono profetiche, nel senso che rivelano la presenza nascosta di Cristo in mezzo a noi. Di solito i profeti sono riconosciuti soltanto dopo. E forse è giusto che sia così. La loro voce però non si spegne con la loro vita, anzi, continua più a lungo dell'esistenza terrena.

Da quanti anni lei è predicatore della Casa Pontificia?

Da ventisette anni. Questo è il ventisettesimo Avvento che predico, prima a Giovanni Paolo II e poi a Benedetto XVI. Ma, in realtà, posso dire di aver parlato sempre ad entrambi, perché anche durante il pontificato di Papa Wojtyla il cardinale Ratzinger ha partecipato assiduamente alle prediche. Devo dire che per me è stata una grazia straordinaria poter fare questa esperienza accanto a due personalità così grandi. È una grazia grandissima, che rafforza in me la coscienza del senso della Chiesa. Posso dire di aver imparato tante cose. Di Giovanni Paolo II mi è rimasto impresso soprattutto il suo spirito di preghiera, di raccoglimento. Ricordo che arrivava alle prediche sempre con il rosario tra le mani. Da lui ho imparato anche la pazienza. Era un uomo divorato da Dio, che però aveva lo sguardo su tutto il mondo. Sembrava non avere mai fretta. Dava il suo tempo a ogni persona che gli stava davanti, come se in quel momento per lui non ci fosse altro. Per me è stato un esempio grandioso.
Certo, è una grazia ma anche un impegno. Quando nel 1979 ho lasciato l'insegnamento all'università avevo deciso di smettere con la ricerca, con lo studio. Invece ho dovuto continuare, sia pure in maniera diversa, meno accademica ma sicuramente più proficua, perché mi costringe ad andare all'essenza del messaggio cristiano: per esempio, a vedere che cosa veramente stava a cuore ai padri della Chiesa e non soltanto quello che interessa ai grandi studiosi di oggi. Noi siamo chiamati raccogliere non i dettagli, ma il loro autentico pensiero, per poi trasfonderlo nella chiesa del nostro tempo.

Quanto incide nella predicazione la sua specifica vocazione di frate minore cappuccino?

Io credo che l'abito che portiamo sia già in se stesso un messaggio. Esso infatti rievoca una presenza nella Chiesa, quella di Francesco, nella sua dimensione carismatica o anche semplicemente evangelica. Questa presenza dà un tono alla predicazione, che non resta quindi un'esperienza dotta, basata solo sui libri, ma diventa un vero e proprio stile di vita. Credo che l'abito incida più negli ascoltatori che nel predicatore: è evidente che l'abito è già un messaggio, perché chi ascolta vi riconosce immediatamente una presenza, quella di Francesco d'Assisi.

(©L'Osservatore Romano - 7 dicembre 2007)

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