6 dicembre 2007

Ritrovato un disegno di Michelangelo per la cupola di San Pietro (Vitale Zanchettin per l'Osservatore Romano)


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Ritrovato un disegno di Michelangelo per la cupola di San Pietro

L'ultimo profilo

Un disegno inedito di Michelangelo sarà presentato lunedì 10 all'Archivio della Fabbrica di San Pietro, alla presenza del cardinale Angelo Comastri e del vescovo Vittorio Lanzani. Scoperto grazie a una ricerca finanziata dalla Alexander von Humboldt Stiftung, il documento diventa ora l'ultimo disegno conosciuto dell'artista.

Vitale Zanchettin

La sicurezza del tratto, la mano esperta e abituata a prendere le decisioni di fronte alla pietra grezza lasciano pochi dubbi: è di Michelangelo lo schizzo che rappresenta una pianta parziale di uno dei pilastri radiali del tamburo della cupola di San Pietro, all'altezza della trabeazione sopra le colonne. Un'ulteriore conferma giunge dal tipo di rappresentazione in pianta, con la caratteristica doppia linea che mette in evidenza diversi livelli dell'oggetto come se la pietra fosse trasparente. Assieme al disegno, realizzato con mano sicura anche se debole, vi sono alcune cifre: 6, 9 e ¾.
Quello appena ritrovato è l'ultimo disegno noto dell'artista, una piccola traccia delle comunicazioni rivolte ai cavatori di pietra, giunta sino a noi in un enigmatico ritaglio di carta con un disegno tracciato con gesso color sanguigna. Probabilmente realizzato in cantiere ai piedi della Basilica in una delle molte officine di tagliapietra a cielo aperto, il disegno fu eseguito nella primavera del 1563, dopo che alcune partite di travertino da Fiano erano state giudicate inadatte ad essere scolpite. Il foglio si salvò dalle distruzioni volute dall'architetto quasi novantenne e fu riutilizzato dopo la sua morte seguendo il proprio destino per giungere fino a noi ad oltre quattro secoli di distanza tra gli atti ufficiali dell'economo.
Certamente il disegno originario mostrava almeno uno sperone completo del tamburo e qualche altro appunto si trovava nelle parti perdute del foglio per stabilire quanto sarebbe bastato agli operai cavatori per predisporre la sbozzatura di alcuni blocchi di pietra.
La sanguigna era lo strumento di disegno più consueto per i tagliapietra e gli scultori. Il suo colore rossastro tra le venature del travertino si riconosce con maggior facilità rispetto alla grafite o al carboncino e d'altro canto la penna e l'inchiostro erano strumenti difficilmente utilizzabili in cantiere. Il disegno, quindi, anche nei mezzi tecnici di espressione sembra parlare la lingua dei tagliapietra. Molti documenti come questo dovevano aver accompagnato capomastri in viaggio verso nord per raggiungere i luoghi di scavo e dopo aver svolto la propria funzione non erano più di alcuna utilità pratica.
I blocchi di pietra, dopo essere stati estratti e sbozzati nelle misure approssimative che dovevano assumere una volta finiti, venivano caricati su carri trainati da bufali, che attraversando proprietà e prati pascolavano e sostavano in virtù di privilegi di cui godeva la Fabbrica di San Pietro. Nonostante esistessero precise disposizioni circa i diritti di attraversamento e fossero previsti rimborsi per chi subiva danni, in alcuni casi i carri erano costretti a fermarsi per l'opposizione di proprietari che impedivano il transito sui propri terreni. Il foglio in questione è giunto sino a noi per motivi legati ad una di queste frequenti vertenze per il passaggio di carrozze provenienti da Fiano Romano.
Il soprastante della Fabbrica, forse trovandosi in cantiere, ritagliò il foglio e ne utilizzò il lato libero dagli schizzi per il travertino per comunicare ai propri superiori i nomi dei responsabili dell'interruzione di un trasporto. Quindi inviò la notizia all'economo della Fabbrica per far valere i diritti dell'istituzione. Su istanza di quest'ultimo fu redatto un ordine scritto per far proseguire il trasporto, che forse ancora per un'accidentale carenza di carta, fu scritto in brutta copia, sul lato apparentemente libero dello stesso foglio, vale a dire sopra il disegno a sanguigna. Questa brutta copia servì da base per la trascrizione dell'ordine in forma ufficiale, mentre il lacerto iniziale venne messo agli atti e raccolto tra le carte dell'economo della Fabbrica, dove è rimasto fino ad oggi con il suo disegno nascosto sotto l'iscrizione a penna.
Nonostante l'entità e l'importanza dei suoi interventi, solo pochissimi disegni autografi per San Pietro si sono conservati poiché l'artista giunto alla fine della propria esistenza decise di distruggere a più riprese gran parte dei fogli che conservava. Sapeva che nessun disegno o modello di presentazione avrebbe potuto fissare definitivamente il suo progetto e decise, forse per questo motivo, di concentrarsi sulla costruzione. È quindi molto probabile che gran parte dei fogli distrutti per sua volontà contenessero disegni di ideazione e fogli destinati alla comunicazione con le maestranze e solo in minima parte rappresentazioni in bella copia di edifici.
Michelangelo lavorò come architetto nella Basilica di San Pietro dal 1547 fino agli ultimi giorni della propria vita, nel febbraio del 1564. Nell'arco di diciassette anni guidò la realizzazione di enormi corpi di fabbrica che fissarono per sempre molti punti vincolanti per gli interventi successivi e che è possibile ancor oggi riconoscere. Sotto la sua guida furono costruite volte e murature perimetrali verso il palazzo papale e fu lui a decidere di realizzare all'esterno un unico sistema di pilastri alti quasi come le navate interne, che furono poi ripetuti con minime mutazioni lungo tutti i fianchi e fino alla facciata. Aveva quasi ottant'anni quando iniziò a costruire al centro della chiesa sopra la tomba di san Pietro, prevedendo di realizzare una cupola ampia quasi come quella del Pantheon ma posta nel punto più alto sopra quattro massicci pilastri. Non ebbe il tempo di vedere la cupola, ma ne realizzò un modello che mostra la sua doppia calotta sopra un alto tamburo cilindrico, che alla sua morte era posto in opera solo in parte e definito nelle masse murarie principali.
Fin dai primi mesi di lavoro in San Pietro dovette confrontarsi con esigenze pratiche legate alla necessità di realizzare grandi corpi di fabbrica in travertino, la pietra più diffusa a Roma sin dall'antichità. Era infatti indispensabile prevedere con largo anticipo le misure dei blocchi che viaggiavano nei mesi estivi da Tivoli e, in quantità più ridotte, da Fiano Romano.
Per questo motivo i capomastri erano spesso costretti a soggiornare presso le cave per pianificare il taglio delle pietre poiché anche un singolo elemento sbagliato poteva precludere la realizzazione di parti considerevoli dell'edificio. Molti documenti dell'Archivio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano - che assieme all'Università di Bonn e alla Bibliotheca Hertziana di Roma hanno facilitato la ricerca - testimoniano questi viaggi di maestranze esperte, che portando con sé qualche appunto riuscivano a stabilire le dimensioni dei blocchi da inviare a Roma. Nel farlo dovevano seguire precise indicazioni concordate con i soprastanti e con l'architetto, che le impartiva attraverso gli schizzi.
I disegni di Michelangelo furono sempre ricercatissimi. Aretino da Venezia gli scrisse parole tanto amare quanto inutili per ottenere qualcosa da lui, il granduca di Toscana arrivò ad estorcere con la forza due piccoli ritratti dei figli della vedova del suo aiutante pur di avere qualcosa. Possiamo forse pensare che, proprio per evitare che si facesse troppa mercanzia, Michelangelo decidesse di bruciare i propri disegni quando sembravano aver perso utilità pratica. Questo foglio sembra dimostrare come fosse più facile per uno scalpellino avere un disegno del vecchio architetto di San Pietro che per chiunque altro.
Tuttavia il valore del piccolo pezzo di carta ritrovato non è legato soltanto alla sua rarità, ma alla sua natura di mezzo di comunicazione diretta tra l'artista e il mondo della costruzione, quel mondo con cui per tutta la vita volle interloquire senza mediatori. Esso dimostra come alle soglie dei novant'anni, pur non potendo essere in cantiere in modo stabile, continuasse a prendere decisioni vincolanti. Questo brandello di frase in gergo da scultore a tagliapietra, conservato grazie a un destino favorevole nell'oceano di documenti in cui è nato, è solo un segno manifesto di una verità più grande. Una delle ultime parole di un discorso durato quasi un secolo tra l'artista e il mondo della costruzione.
Dal suo arrivo a San Pietro Michelangelo aveva sempre tentato di spingere la costruzione verso l'alto. Sapendo che il tempo disponibile non sarebbe bastato a completare l'opera e il momento in cui si sarebbe dovuto fermare non sarebbe dipeso dalla sua volontà. Perciò volle spingersi fino alle cornici più alte perché sulla base del profilo di queste pietre sarebbe stata edificata la chiesa in futuro.
Non si trattava di un problema puramente estetico: nella Basilica Vaticana la pietra non è rivestimento, ma parte integrante del sistema murario di sostegno. E ciò è tanto più vero nei punti più alti dove le murature si restringono fino a divenire sottili diaframmi traforati. Michelangelo aveva intuito fin dal primo giorno che a San Pietro più che in ogni altra fabbrica, chi pensava all'esterno doveva necessariamente pensare anche all'interno.

(©L'Osservatore Romano - 7 dicembre 2007)

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