6 dicembre 2007
Cristo nella Bibbia e nella liturgia secondo sant'Ambrogio (Biffi per l'Osservatore Romano)
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(Michael Pacher, "Sant'Ambrogio" di Milano)
Cristo nella Bibbia e nella liturgia secondo sant'Ambrogio
«La Scrittura divina si beve e si divora»
Inos Biffi
Ambrogio, tra tutti i Padri della Chiesa, è quello nel quale la presenza di Cristo emerge con una intensità e un'ampiezza singolari; Michele Pellegrino ha scritto, al riguardo: "Penso (...) che non sia senza fondamento parlare di novità in sant'Ambrogio".
Ma non si tratta di una presenza semplicemente quantitativa: è il progetto di tutta la realtà che si unifica in Cristo, dal momento che "Cristo è tutto e tutto è in Cristo". Egli si colloca al principio: "Il Principio è Cristo"; "In questo Principio, ossia in Cristo, Dio ha fatto il cielo e la terra"; "Egli è prima di tutti", e come è il Primo, così "è il Compimento di tutte le cose".
Non sorprende allora che sant'Ambrogio avverta con particolare sensibilità la presenza di Cristo, diffusa e prossima: "Se salirai al cielo, Gesù è là; se discenderai nella profondità della terra, lo trovi presente. Oggi, mentre vi sto parlando, egli è con me, qui, in questo punto, in questo momento, e se in Armenia, adesso, c'è un cristiano che parla, là è presente Gesù".
Sarà, questa onnipresenza di Cristo la ragione della sua facile reperibilità da parte di quelli che lo cercano sinceramente: "Tu cominci appena a cercarlo, e Cristo ti è già vicino: egli non può mancare a chi lo desidera, dopo che apparve a coloro che neppure lo sognavano e fu trovato da quelli che non domandavano di lui. Se pensi e parli di lui, egli è già presente"; "Vieni anche tu; non importa se tardi, o se è già notte: in ogni ora troverai Gesù".
Questa sensibilità al primato e alla presenza di Cristo non può, d'altronde, meravigliare, non solo per il clima cristiano della formazione di Ambrogio, ma per la scelta deliberatamente e tenacemente nicena, antiariana sulla divinità di Gesù "consustanziale al Padre", fatta da Ambrogio. Gerolamo, che in seguito non sarà tenero con lui, forse per un preciso risentimento, scriverà: "Dopo Aussenzio, che non si decideva mai a morire, nominato vescovo di Milano Ambrogio, tutta l'Italia si converte alla fede", e Ambrogio stesso: "Dal concilio di Nicea non mi potranno separare né morte né spada".
Se la presenza di Cristo, secondo sant'Ambrogio, è "diffusa e prossima", essa soprattutto risalta nei "misteri celesti". La certezza del vescovo di Milano è limpida e sicura, e la possiamo trovare espressa in due affermazioni. Troviamo la prima sul finire di un suo discorso sull'Esamerone: "Anche per noi canti nel sacro rito questo mistico gallo [cioè Cristo...]. Si affretti la passione del Signore Gesù, che ogni giorno condona le nostre colpe e opera in noi la grazia del perdono (...). Cantiamo i misteri del Signore e presso il corpo del Signore si raccolgano le aquile". La seconda affermazione, esplicita e suggestiva, ricorre nel De apologia David, dove Ambrogio esclama: "Ti mostri a me, o Cristo, non per enigmi come in uno specchio, ma a faccia a faccia; ti possiedo interamente nei tuoi sacramenti". Più analiticamente: la prima forma di presenza di Gesù nella liturgia è quella che avviene attraverso la sua Parola, nella quale già si incomincia a "bere Cristo".
La Scrittura non è primariamente una fonte di concetti, ma luogo di esperienza del Verbo, di Gesù Cristo, d'altra parte sulla base del principio che tutta la Bibbia è attraversata dalla presenza di Gesù. Egli ritiene che il passeggio nel paradiso terrestre significhi la sua presenza "nel corso degli avvenimenti narrati dalle divine scritture, nella quali aleggia la presenza di Dio", così come aleggiava la presenza di Cristo. La loro lettura è così compresa come esperienza e comunione con Cristo. "Io ti attendevo, Signore Gesù - esclama commentando un salmo - e tu finalmente sei giunto; nel vangelo hai indirizzato i miei passi, hai infuso nella mia bocca un canto nuovo: il Nuovo Testamento".
Ma Gesù è presente in tutta la Scrittura, compreso l'Antico Testamento, che non solo lo raffigura, ma già realmente lo anticipa, con una profezia reale. Gesù agisce e parla nei grandi eventi e protagonisti dell'attesa. In esso - secondo la lettura che è comune ai Padri ma con un tono e un sentimento tutto santambrosiano - è soprattutto Gesù che si riscontra, che viene preveduto ed è motivo della speranza del perdono: Davide "aveva sete del sangue di Cristo (...), aveva sete del sacrificio di Cristo (...), in cui sarebbe avvenuta la remissione dei peccati"; i suoi occhi in pianto prevedevano lui; se i suoi occhi erano sempre volti al Signore, vuol dire che "era sempre sotto lo sguardo di Cristo"; se pianse a lungo è perché rimase a lungo "sotto lo sguardo del Signore", "arbitro del perdono".
C'è, tra le opere di sant'Ambrogio, specialmente una pagina, che illustra questa presenza di Cristo nella Scrittura, quella dove scrive: "Bevi per prima cosa l'Antico Testamento, per bere poi anche il Nuovo Testamento (...). Bevi tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. Bevi Cristo, che è la vite; bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l'acqua. Bevi Cristo che è la fontana di vita; bevi Cristo, che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio; bevi Cristo che è la pace; bevi Cristo, che è il ventre da cui sgorgano vene d'acqua viva: bevi Cristo, per bere il suo discorso. Il suo discorso è l'Antico Testamento, il suo discorso è il Nuovo Testamento. La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima".
Un secondo livello di presenza di Cristo, sant'Ambrogio lo trova nei sacramenti, prima di tutto in quelli della iniziazione cristiana, di cui ci ha lasciato la teologia e la pastorale nel De sacramentis e nel De mysteriis. Tutti i suoi riti e i suoi richiami, largamente attinti all'Antico Testamento, già contenevano un'intenzione e un senso cristico; gli avvenimenti antichi - Naaman e la sua purificazione, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di luce, il diluvio - erano "figura di nostro Signore Gesù Cristo che sarebbe venuto", "annunciatori di verità" e dell'opera dello Spirito, operanti in attualità nei sacramenti cristiani, nei "sacramenta caelestia".
Nel battesimo si vede sì il levita, "ma è ministro di Cristo"; "Cristo battezza nella Chiesa".
Così, e soprattutto, nell'Eucaristia: "Abbiamo visto il principe dei sacerdoti venire a noi, l'abbiamo visto e udito offrire per noi il suo sangue. Noi sacerdoti lo seguiamo come ci è possibile, al fine di offrire il sacrificio per il popolo: indubbiamente poveri quanto al merito e tuttavia onorevoli a motivo del sacrificio. Infatti, anche se ora non sembra che sia Cristo a compiere l'offerta, dal momento che è il corpo di Cristo che viene offerto, è lui personalmente a essere offerto sulla terra. Anzi, è chiaro come sia lui stesso a compiere l'offerta in noi, visto che a santificare il sacrificio che viene offerto è la sua parola".
Allo stesso modo, Cristo in persona opera la consacrazione: "Agiscono le parole stesse del Signore (...). Lo stesso Signore Gesù proclama: "Questo è il mio corpo" (...); lui stesso dichiara che è il suo sangue"; e, infatti, "Chi è l'autore dei sacramenti, se non il Signore Gesù?", che "ti segnò col suo sigillo".
Ma in un altro sacramento Ambrogio esalta la presenza di Gesù Cristo: il sacramento della riconciliazione. In esso egli è presente a rinnovare e, più ancora, a compiere nella sua intenzione profonda il miracolo della risurrezione di Lazzaro: "Cristo verrà alla tua tomba, e se vedrà piangere per te Marta, donna impegnata in un premuroso servizio, piangere Maria, che ascoltava attentamente la parola di Dio come la santa Chiesa, che ha scelto per sé la parte migliore, sarà mosso dalla compassione (...). Verrà, dunque, e ordinerà di togliere la pietra che la caduta ha posto sul collo dei peccatori (...). Spetta a noi rimuovere il carico, spetta a lui risuscitare, a lui trarre dalla tomba quelli che sono stati liberati dai loro legami. Vedendo il grave carico dei peccatori, Gesù piange; non permette che pianga soltanto la Chiesa, condivide la sofferenza della sua amata e dice al morto: Vieni fuori".
Aggiunge Ambrogio: "[Cristo] torna a visitare premurosamente colui che è risuscitato, partecipa lieto alla cena che gli ha preparato la sua Chiesa, nella quale chi era morto si ritrova con i convitati insieme con Cristo", e proseguirà dicendo: "Possa tu degnarti di venire a questa mia tomba, di lavarmi con le tue lacrime (...). Se piangerai con me, sarò salvo. Se sarò degno delle tue lacrime, cancellerò il fetore di tutti i miei peccati".
Cristo, inoltre, non manca negli incontri quotidiani. Tempo privilegiato per l'incontro con Cristo, e quindi luogo della sua presenza, è il tempo della giornata impreziosito e in certo modo redento dalla preghiera. Cristo è da sant'Ambrogio definito il "Creatore di tutte le cose": "Signore, tu hai creato il mondo".
Egli non fatica quindi a trasfigurare in poesia le immagini e i ritmi della natura e a porli come metafore di Cristo e vedere nel corso del giorno e delle sue ore, consacrate dall'orazione, il convenire di Cristo e della storia della salvezza. Il tempo e il mondo sono per Ambrogio una chiara cifra del Signore che si tratta di riconoscere. Egli lo ha fatto nei suoi Inni, composti con genio e abilità in modo tale che la fede dei suoi milanesi divenisse una canora confessio, nella quale in particolare cantare Gesù Cristo e professarlo come vero Dio.
Pensiamo agli inni della giornata, dove gli eventi salvifici riassumono la loro presenza e la loro efficacia: ritorna il gallo di Pietro (che diventa poi la stessa voce sonora di Cristo), lo sguardo di Cristo, che, nuovamente posandosi sui peccatori, li scioglie in un pianto salutare; ritorna la luce, che è ancora una volta il Signore, che "rifulge ai sensi", che "dissipa il sonno dell'anima", e al quale canta "la primizia della voce".
Soprattutto la luce dell'aurora e l'aurora stessa sono per Ambrogio dense di richiamo e di suggestione cristologica: quell'ora di prima mattina ha ispirato la grande teologia poetica, o poesia teologica, dello Splendor paternae gloriae. Oltre che luce, Gesù Cristo è il viatico, quasi il rifornimento per la giornata: "Il Cristo ci sia cibo, bevanda sia la fede; lieti la sobria ebbrezza beviamo dello Spirito".
L'aurora meteorologica non è per Ambrogio quella vera: quella vera che avanza è "il Tutto-Aurora", che tutto è nel Padre, mentre il Padre è tutto in lui.
Anche l'ora di Terza è tutta cristologica: tutta segnata dalla memoria viva del Cristo "che ascese la croce", dando inizio a un'"era felice": l'era della grazia.
Ancora appuntamento alla Luce, che specialmente si accende con la fede, al rinchiudersi del giorno "nell'ombra oscura di una notte fonda", sarà la preghiera innalzata "nell'ora dell'accensione".
Potremmo continuare e vedere la presenza di Cristo nelle festività dell'anno liturgico, per le quali Ambrogio ha composto inni che sono una cristologia nella forma dell'orazione e della poesia, e che nascono dalla convinzione che in tali memorie e celebrazioni a essere presente è Cristo nella operosità dei suoi misteri.
Pensiamo all'inno di Natale, Intende qui regis Israele, a quello della Epifania, Illuminans altissimus, e alla grande sinfonia della redenzione, l'inno Hic est dies verus Dei, composto per la Pasqua. In tutto questo sant'Ambrogio traduceva la sua persuasione che "Cristo è il seme di tutto"; "è un albero che ricopre il mondo con la sua ombra".
(©L'Osservatore Romano - 7 dicembre 2007)
Domani celebreremo la Festa Liturgica di Sant'Ambrogio, Patrono di Milano.
R.
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