24 dicembre 2007

Un uomo isolato, solo nella campagna nebbiosa e fredda. Un piatto in più, messo «per sbaglio» sulla tavola della festa


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IL RACCONTO DI NATALE

Un uomo isolato, solo nella campagna nebbiosa e fredda. Un piatto in più, messo «per sbaglio» sulla tavola della festa.

E l’arrivo di un commensale inatteso: «Buon Natale ­mi dissi - . Non per augurio, ma per risultato»

L’ospite della Vigilia

di Erri De Luca

Fuori c’era una nebbia densa come la polenta. Finita la mungitura mi ero dato da fare in cucina intorno al camino. Mentre s’ammucchiava un po’ di brace, intagliavo la buccia alle castagne per poi metterle su. Al fornello bolliva la minestra.
Se in quella notte di Natale veniva a terra questa nebbia, perdeva la strada pure la stella cometa. Ma ci sono notti prescritte e devono capitare proprio a quel modo, limpide e pizzicate dal ghiaccio di una stella.
Bofonchiavo così mentre mi apparecchiavo il posto a tavola.
Soprapensiero avevo perso dalla dispensa due piatti anziché uno. E questo? Bah, se sei voluto uscire pure tu, stai lì, mi tieni compagnia. Mi capita di parlottare da solo, per sentire una voce. Mi piace dirmi qualcosa di sera.
Non ho la corrente elettrica, ho smesso di pagarla e me l’hanno staccata. Faccio con le candele e col fuoco nel camino. Era Natale, lo sapevo dal calendario, era pure domenica, due feste in una da lasciare correre.
Fuori s’era zittito il mondo. Non veniva nessun suono di motore dalla statale. Ho messo le castagne sulla brace, ho tagliato una cipolla grossa in cima al ciuffo, l’ho svuotata e all’interno ci ho messo un uovo, l’ultimo. Ho coperto con il pezzo tagliato e l’ho messa nel camino, circondata di brace. Ne esce una specialità. Era Natale anche per me.
Mi sono affacciato alla finestra. Bello starsene imbottiti dentro casa e dentro la nebbia. Mi sono strofinato le mani per vedere se mi veniva un poco di allegria.
Invece sono venuti un paio di fari: dalla statale avevano imboccato il mio sentiero. Avanzavano piano. Arrivò al mio cortile e spense il motore. Non successe nient’altro. Dal furgone non uscì nessuno. Mi infilai la giacca e il cappello, accesi la lampada a petrolio e andai a vedere.
Bussai al finestrino. Un uomo sui cinquanta, più o meno la mia età, abbassò il vetro: «Con questa nebbia non riesco a proseguire. Disturbo se resto qui mentre che passa?». La faccia era cordiale, dissi di sì.
«Fuori s’era zittito il mondo. Non veniva nessun suono di motore dalla statale. Mi sono affacciato alla finestra.
Bello starsene imbottiti dentro casa e dentro la nebbia. Mi sono strofinato le mani per vedere se mi veniva un poco di allegria.
Invece sono venuti un paio di fari: dalla statale avevano imboccato il mio sentiero.
Avanzavano piano»
«Sì? Allora disturbo?». Allora dissi no, «Non vuole venire dentro? Qua è freddo e magari la nebbia resta fino a domattina». «Non voglio disturbare, magari state facendo il cenone».
«Macché, sto da solo». Si convinse. Uscì dal furgone, raccattò una borsa e mi seguì. «Qui non c’è corrente, l’hanno staccata».

Seduti innanzi al fuoco gli dissi che per sbaglio quella sera avevo tirato fuori dalla credenza due piatti. Lui tolse dalla borsa un panno in cui era avvolto un salame intero. Poi dalla borsa uscì pure una bottiglia di vino. «È la mia cena, visto che per la nebbia non sono riuscito ad arrivare a casa». Tagliò con un coltello, di quelli a molte lame, sturò il vino. Mancava il secondo bicchiere, presi per me una scodella.
Sollevò la bottiglia, disse: «Alla vita» e versò.
Con la minestra nella scodella cominciò a raccontare.
«Vengo diritto dalla Bosnia. Sono stato a fare un viaggio con altri furgoni a portare «È un po’ di roba che serve più a loro che a noi». Gratis, chiesi. «Sì, da volontari, a spese nostre. Siamo partiti il 19, ritornati oggi». Bella mossa, gli dissi. «Ho da badare alle bestie, se no verrei una volta.
Non sono mie, nemmeno questa casa, nemmeno questo tavolo, la stalla, niente è mio. Sto a salario». Mangiammo la minestra, il salame, gli offrii l’uovo cotto alla brace dentro la cipolla. Restammo a chiacchierare, gli chiesi della guerra.
La nostra specialità di gente umana. È antica quanto noi, non si riesce a stare senza. Non è altro che l’autorizzazione ad ammazzare. Sembra che spunti in ogni generazione. Anche Natale è frutto di una guerra, l’esercito romano che impone in pieno inverno un censimento alla nazione conquistata. E così Maria partorisce lontano da casa.
Natale è una notte di pace in mezzo alla guerra».
«A me – rispondo – dà pace la natura.
Anche quando grandina o c’è nebbia da non vedersi i piedi, mi dà pace. Guardo le montagne e mi ritrovo loro coetaneo, di quando la terra le spingeva in alto. Sono più vicino alle bestie in stalla che agli uomini in città». Sorrise e disse: «Pure il bambinello è venuto al mondo più vicino alle bestie che agli uomini».
Sbucciammo le castagne pronte.
Andavamo dietro ai pensieri, come fa il vento con le nuvole. Sotto le parole si sentiva il brusio del camino e lo scrocchio delle castagne sgusciate dalle dita. Lui disse ancora: «Ho bisogno di avere un po’ di fede, ringraziare qualcuno. Non è opera nostra questo mondo, neanche il fuoco che ci sta scaldando. Chi ha fatto il legno adatto per bruciare? E la nebbia che fa incontrare le persone? Mi serve un po’ di fede, come uno spago per tenere insieme». Aspettai sette respiri prima di rispondere.
Quante parole, venute tutte insieme, mi ballavano a festa dentro le orecchie disabituate. Mi tenevo le nocche in grembo e sorridevo. «Alla fede non arrivo, credo alla pace, alla buona volontà degli uomini, credo che esiste il diritto e una sera come questa in ogni stanza del mondo».
Mi dissi a bassa voce: buon Natale. Non per augurio, ma per risultato: era un buon Natale quello che mi capitava, portato sulla slitta della nebbia. Era cominciato con un piatto in più tirato fuori dalla credenza.
Da allora faccio la stessa mossa ogni Natale, apparecchio per due.

© Copyright Avvenire, 23 dicembre 2007

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