9 marzo 2008

Bartolomeo sulla via di Benedetto (Enzo Bianchi per "La Stampa")


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Bartolomeo sulla via di Benedetto

Il patriarca di Costantinopoli a Roma

ENZO BIANCHI

Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce»: l’antica sapienza di Lao Tzu è quanto mai attuale nell’oggi dell’informazione. Vi sono eventi che destano clamori spropositati, attirando l’attenzione per alcuni giorni e poi cadono nell’oblio senza edificare alcuna memoria comune e, per contro, vi sono fatti densi di senso che scorrono in sordina e dei quali non si riesce a cogliere né la portata storica né la dimensione potenzialmente universale. E non mi riferisco tanto all’ovvia prassi per cui fa notizia ciò che è fuori dall’ordinario tessuto della vita quotidiana - l’eccezione e non la regola - ma soprattutto al non saper scorgere dietro un evento la fatica, il tempo, la pazienza che sono stati necessari perché si producesse né, al di là di esso, le prospettive che apre a media e lunga scadenza. Si ha a volte l’impressione non solo di vivere appiattiti sul presente - cui si arriva a piegare anche il modo in cui si celebrano gli anniversari del passato - ma di tratteggiarlo a partire da priorità artificiose, dettate da una sorta di tacito «ordine del giorno» con data di scadenza ravvicinatissima.

Così, in questa distorsione prospettica, la recente visita del patriarca di Costantinopoli, in Italia e a Roma è scivolato via in un pressoché totale disinteresse da parte dei media. Così attenti ad evidenziare elementi conflittuali nei pur frequenti interventi di esponenti della gerarchia cattolica nel dibattito mediatico, sembra sfuggita ai mezzi di informazione la portata di un evento come questo. Eppure alcuni elementi lo rendono meritevole di un’attenzione non affrettata.

Non è la prima volta che Bartolomeo I, che gode di un primato d’onore tra i patriarchi delle chiese ortodosse, è invitato a Roma dal Papa o lo riceve a Costantinopoli, ma la visita dei giorni scorsi si ricollegava a due eventi - uno più remoto e l’altro più recente - che possono insegnare molto nella teoria e nella prassi del dialogo tra le chiese cristiane, e non solo. Innanzitutto, l’occasione della visita: il novantesimo anniversario del Pontificio istituto orientale, un ateneo concepito proprio per colmare il deficit di conoscenza dell’occidente cristiano nei confronti dell’oriente. Certo, l’impostazione originaria non poteva non risentire degli orientamenti teologici dell’epoca, quando i non cattolici erano ancora «fratelli separati» da ricondurre possibilmente all’ovile romano, ma proprio l’aver predisposto un qualificato strumento volto alla conoscenza e all’approfondimento non solo dell’altro, ma di ciò che dell’altro appartiene a un patrimonio comune, ha reso possibile sviluppi imprevedibili nell’immediato. Così, novant’anni dopo si è verificato che alcuni dei discorsi commemorativi siano stati tenuti proprio da ex-studenti non cattolici di quell’ateneo, come appunto il patriarca Bartolomeo I.

Credo non sia senza significato anche per i nostri giorni riandare agli anni del concilio e dell’immediato postconcilio, quando, nel clima di «aggiornamento» e di ritorno alle fonti della grande tradizione della chiesa indivisa, a Roma si potevano incontrare per la prima volta nella storia vescovi di cinque continenti e osservatori di chiese non cattoliche definite fino a pochi decenni prima «scismatiche» o «eretiche»; oppure si potevano idealmente - e forse anche materialmente - incrociare un giovane ortodosso turco dottorando in diritto canonico e un affermato teologo tedesco, perito conciliare, che sarebbero divenuti l’uno patriarca di Costantinopoli e l’altro papa di Roma...

L’altro evento significativo nel confronto tra oriente e occidente cristiano è la ripresa del dialogo teologico tra le delegazioni ufficiali della chiesa cattolica e dell’ortodossia, riavviato nell’ottobre scorso a Ravenna dopo anni di raffreddamento. Pur segnate da tensioni intra-ortodosse e dalla conseguente defezione della delegazione del patriarcato di Mosca, le giornate ravennati hanno potuto beneficiare non solo dell’elevata competenza teologica dei partecipanti, ma anche - e forse soprattutto - del loro decennale impegno in campo ecumenico, della conoscenza reciproca sapientemente coltivata, dei rapporti fraterni da tempo creatisi tra molti di loro, della perseveranza nella ricerca comune di come testimoniare oggi la fede cristiana. Tutto questo ha rimesso in luce le grandi opportunità che esistono per proseguire con convinzione la strada verso l’unità visibile dei cristiani, in una comunione plurale e una sapiente articolazione tra chiesa locale, ministero di unità e presidenza nella carità.

Non può sfuggire come questi eventi siano anche la conferma di una precisa volontà di Benedetto XVI, del suo fermo desiderio - affermato fin dal suo primo discorso dopo l’elezione - non solo di proseguire nell’impegno ecumenico, ma di viverlo come responsabilità peculiare del suo ministero papale e di tradurlo anche in gesti concreti: come non ricordare che Benedetto XVI aveva allora affermato di assumersi «come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Questa è l’ambizione del successore di Pietro, questo il suo impellente dovere».

Non erano parole di circostanza, soprattutto se accostate al contestuale giudizio sulla necessità del dialogo teologico e sull’urgenza cogente della «purificazione della memoria... che sola può disporre gli animi ad accogliere la piena verità di Cristo».

Sì, sovente il dialogo, quello autentico, parte da lontano, presuppone la lungimiranza di alcuni, la paziente sofferenza di altri, la fraterna condivisione di speranze e preoccupazioni, la tenace attesa di chi sa che ferite secolari non si possono sanare con entusiasmi di un momento. Se le radici affondano in un terreno dissodato e il seme è gettato con fiduciosa abbondanza, allora il confronto potrà anche conoscere l’alternarsi di stagioni invernali e primaverili, ma sarà sempre in grado di cogliere lo spuntare di nuovi germogli, il subitaneo sbocciare dei fiori, il lento maturare dei frutti...

Allora si saprà dare un peso adeguato anche alla prospettiva, inimmaginabile ancora poco tempo fa, che al prossimo sinodo della chiesa cattolica dedicato alla parola di Dio possa essere presente, su invito di papa Benedetto XVI proprio nella scia dello «spirito di Ravenna», lo stesso patriarca ecumenico Bartolomeo I.

Sì, senza troppo rumore, la foresta cresce, e non sarebbe male se ogni tanto qualcuno lasciasse perdere il frastuono di qualche albero che cade e si fermasse ad ascoltare la silenziosa armonia del dialogo che avanza.

© Copyright La Stampa, 9 marzo 2008 consultabile online anche qui.

2 commenti:

euge ha detto...

Chi semina raccoglie...... dice un proverbio! Benedetto XVI sotto gli occhi di tutti anche di quelli che per odio personale oppure per cecità dettata dall'indottrinamento politico o dai pregiudizi, sta seminando e sta seminando bene; senza bisogno degli strilloni mediatici e senza che la platea dei ben pensanti ( così si credono loro ), lo approvi. Una semina che ha già portato dei frutti per tutti coloro che hanno imparato a conoscerlo e ad amarlo indipendentemente dai giudizi mediatici e di certi giornali a binario chiuso. Una semina che sicuramente porterà frutti bellissimi e insperati come il bellissimo incontro con Alessio II.
Preghiamo per il nostro Papa Benedetto XVI affinchè il Signore lo guidi sempre con tutto il suo amore, la sua luce e la sua protezione, verso tutti quei traguardi importanti e necessari per l'unità della chiesa e dei cristiani.
Eugenia

mariateresa ha detto...

Mi associo di cuore all'invito di Euge per la preghiera. E sono veramente felice di questo bell'articolo di Enzo Bianchi.
Molto significativo anche il riferimento allo strabismo dei media.
Fa piacere, soprattutto se a dirlo è proprio Enzo Bianchi.