8 marzo 2008

Mons. Angelo Amato: "Non c’è Chiesa senza missione"


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L’INTERVISTA Oggi la Pontificia Università Salesiana ospita una giornata di studio e di riflessione sulla recente «Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione»

Amato: non c’è Chiesa senza missione

«Nell’attività evangelizzatrice stiamo vivendo una stagione di ristagno Ma la promozione umana non basta»

DA ROMA

GIANNI CARDINALE

Questa mattina la Pontificia Università Salesiana ospi­ta una giornata di studio e di riflessione sul tema
«La 'Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione'. Problemi sottesi e ricadute catechistiche». Relatore principale della giornata sarà l’arcivescovo Angelo Amato, il segretario della Congregazione per la dottrina della fede, che, in­sieme al cardinale prefetto William J. Levada, ha firmato la Nota in questione pubblicata alla fine del­lo scorso anno. La giornata, orga­nizzata dall’Istituto di catechetica diretto da don Ubaldo Montisci, viene introdotta dal saluto del ret­tore don Mario Toso e ospita inol­tre le riflessioni dei teologi don Do­nato Valentini, don Guido Gatti e padre Pombo Kipoy, cui segue un dibattito-dialogo con i parteci­panti.

Avvenire ha approfittato di questa occasione per porre alcune do­mande a monsignor Amato, il qua­le è particolarmente onorato dal fatto che la Nota in questione sia stata ripetutamente citata dal Pa­pa nei suoi ultimi interventi.

«È un segno inequivocabile di come il Santo Padre, che ha approvato la Nota prima che venisse pubblica­ta, la ritenga veramente utile e ne­cessaria.
Oggi».

Eccellenza, perché si tratta di una Nota necessaria oggi?

La Nota nasce da alcune doman­de che sono particolarmente sen­tite nell’attuale contesto ecclesia­le. E cioè: in un clima così irenico per quanto riguarda il dialogo in­terreligioso ed ecumenico è anco­ra possibile e legittima l’evange­lizzazione? E se è legittima, è ne­cessaria oggi, dal momento che le religioni vengono considerate tut­te vie salvifiche? Non solo. La Chie­sa cattolica gode anch’essa di li­bertà religiosa, così come ne go­dono i non cristiani e i non catto­lici nei paesi a maggioranza catto­lica? E si può chiamare proseliti­smo l’esercizio e anche la manife­stazione pubblica della propria fe­de? È proprio a questi interrogati­vi che cerca di dare una risposta la Nota.

Sembrano interrogativi che de­notano una certa visione pessimista dell’attuale spinta missio­naria della Chiesa…

Guardi, il Concilio Vaticano II e il magistero successivo non hanno messo tra parentesi la necessità che la Chiesa sia missionaria. Tutt’altro. «È dunque necessario – ci ricorda ad esempio il Concilio – che tutti si convertano a Cristo co­nosciuto attraverso la predicazio­ne della Chiesa, ed a lui e alla Chie­sa, suo corpo, siano incorporati at­traverso il battesimo». Ma ciò no­nostante…

Che è successo?

Nonostante questo chiaro invito alla missione e nonostante la con­statazione che sempre più nume­rose comunità umane sembrano ignorare il Vangelo, oggi l’attività evangelizzatrice subisce un certo ristagno se non una vera e propria crisi. Sembra che si stia attra­versando – so­prattutto da parte degli isti­tuti missionari – un periodo di smarrimento sia teorico sia pratico. Con­cetti come mis­sio ad gentes, e­vangelizzazione, conversione, bat­tesimo, incorporazione alla Chie­sa non appaiono più come tra­guardi di nobili imprese spiritua­li, ma come un attentato alla li­bertà religiosa altrui e soprattutto espressione di colonialismo cri­stiano ormai superato o da supe­rare al più presto.

Eppure di missionari in giro per il mondo ce ne sono ancora tantis­simi…

Sul piano pratico, sembra che, più che la predicazione del Vangelo, sia oggi necessario e sufficiente l’impegno di promozione umana per assolvere al comando missio­nario del Signore Gesù: aiutare il prossimo, mediante iniziative concrete di educazione, di assi­stenza e di promozione della di­gnità umana. Si tratta, cioè, di li­mitarsi a una testimonianza nel sociale. Ma così si mette la sordi­na alla dimensione religiosa del­l’annuncio di Cristo e all’invito al­la conversione e al battesimo!

Come spiega questa svolta?

Teoricamente, questa svolta pra­tica della missione è motivata da precise indicazioni ideologiche, che sostanzialmente ritengono superata e non più praticabile u­na vera e propria missione. Se pri­ma valeva il motto «extra eccle­siam nulla salus», oggi invece – sempre secondo questa corrente i­deologica – sarebbe più adeguato affermare «extra ecclesiam multa salus».

Di conseguenza non ci sa­rebbe una necessità impellente dell’attività missionaria e dell’e­vangelizzazione, ma ci si dovreb­be limitare alla testimonianza si­lenziosa e al riconoscimento del­la possibilità di salvezza di ciascu­no nell’ambito della propria reli­gione, dal momento che tutte le credenze sarebbero ugualmente valide. Il piano salvifico di Dio non sarebbe solo quello realizzato nel mistero dell’incarnazione del suo Figlio divino, ma si sarebbe manifesta­to nell’arcobaleno multicolore delle varie religioni del mondo. Il che è francamente inac­cettabile.

Perché?

Quando si perde il senso della missione e si insinua­no teorie ambigue ed erronee, al­lora la fede si indebolisce. Si crea un circuito di confusione. L’evan­gelizzazione non è un problema di sopravvivenza o di supremazia, ma di coerenza con la verità della propria fede. La fede cristiana, in­fatti, ha una intrinseca connessio­ne con la verità. I cristiani hanno la certezza di essere nella verità, che è Cristo in persona. Di qui na­sce l’esigenza della missione e del­la condivisione del grande bene della verità.

Ecco quindi la necessità della No­ta…

La Nota intende rispondere a que­ste difficoltà, nel rispetto della co­scienza e della libertà di ogni per­sona umana. Anzitutto la Nota ri- leva lo stretto legame esistente tra libertà e verità. La libertà umana sganciata dal suo inscindibile ri­ferimento alla verità non è altro che espressione di quel relativi­smo, che non riconosce nessuna verità riducendo tutto a un indif­ferenziato pluralismo. L’evange­lizzazione, anche antropologica­mente parlando, è un dono ine­stimabile che la Chiesa fa nella più assoluta gratuità e libertà, all’u­manità intera, rendendola parte­cipe della propria ricchezza di ve­rità e di grazia. Il movente origi­nario dell’evangelizzazione è in­fatti l’amore di Cristo per la sal­vezza eterna degli uomini.

La Nota ha anche una delicata im­plicazione ecumenica, laddove re­spinge l’accusa di proselitismo che periodicamente la Chiesa cat­tolica subisce so­prattutto da parte della Chiesa orto­dossa russa.

In effetti il nostro documento, pro­ponendo il caso concreto dell’evan­gelizzazione in Paesi di antica tra­dizione cristiana, richiama il ri­spetto che si deve avere per le lo­ro tradizioni e le loro ricchezze spi­rituali. Ma riafferma anche l’ur­genza dell’impegno ecumenico, mediante l’ascolto, la discussione teologica, la testimonianza. A que­sto proposito si ribadisce che, do­vunque si trovi e ogni qualvolta lo voglia, il fedele cattolico ha il di­ritto e il dovere di dare testimo­nianza e di proporre e motivare l’annuncio pieno della propria fe­de. Per questo non si può accusa­re il fedele cattolico di proseliti­smo – nel senso peggiorativo del termine e cioè come indebita pres­sione sull’altrui coscienza – se egli, nella libertà, nel rispetto e nella gratuità della carità, manifesta la propria fede cattolica mediante la parola e la testimonianza.

Quali sono sta­te le reazioni su questo punto?

Migliori del previsto. È stato interessante notare che, ad esempio, nella Chiesa ortodos­sa russa si co­minci a discute­re il principio del territorio canonico che prima era quasi un tabù.

Eccellenza, un’ultima domanda. Come valuta gli ultimi sviluppi del dialogo ecumenico anche alla lu­ce del documento approvato lo scorso ottobre a Ravenna dalla Commissione mista internazio­nale per il dialogo teologico cat­tolico- ortodosso?

Il cosiddetto documento di Ra­venna è un testo provvisorio, non è un testo approvato dalla Chiesa cattolica, ed è arrivato allo studio della nostra Congregazione solo dopo la sua diffusione. Ad un pri­mo sguardo, mi è sembrato usare un linguaggio più vicino alla tra­dizione ecclesiologica ortodossa che a quella cattolica, laddove ad esempio si parla di sinodalità in­vece che di collegialità.

Inoltre non si può dare una precisa identità teologica alla Chiesa universale senza il riferimento al primato di giurisdizione del Papa, successo­re di Pietro. Il primato non è un’ag­giunta opzionale ma un elemento essenziale che qualifica la Chiesa particolare e la Chiesa universale.

© Copyright Avvenire, 8 marzo 2008

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