26 ottobre 2008

Mons. Forte: "Giovanni XXIII e il concilio della storia" (Osservatore Romano)


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Dal vissuto di Angelo Giuseppe Roncalli la spinta per il rinnovamento della Chiesa

Giovanni XXIII e il concilio della storia

Sabato 18 ottobre si è svolto a Sotto il Monte Giovanni XXIII, in provincia di Bergamo, il convegno su Angelo Giuseppe Roncalli e il concilio Vaticano II intitolato "La memoria e la preghiera". Pubblichiamo qui di seguito ampi stralci di uno degli interventi.

di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

La coniugazione di storia ed eterno, continuamente vissuta, è alla base dell'intuizione che Papa Giovanni XXIII ha del concilio Vaticano II e viene a riflettersi nella struttura fondamentale in base a cui la riflessione conciliare si andrà sviluppando, nella sua triplice articolazione in rapporto al passato, al presente e al futuro della fede. Dalla mente e dal cuore di Angelo Giuseppe Roncalli scaturisce così in maniera peculiare la visione profetica di quel "Concilio della storia", che sarà l'assise da lui voluta e inaugurata.
Il Vaticano II si presenta come concilio della storia anzitutto in quanto ha promosso una rinnovata coscienza del primato della Parola di Dio sulla Chiesa e della decisiva importanza della sua trasmissione viva e vivificante per l'esistenza credente: la Scrittura ispirata vi è colta come forza agente nel vivo delle mediazioni della storia, da accostare con tutto il rispetto per la sua sovranità, ma anche con tutta la verità delle nostre domande perché sia attualizzata nell'oggi. Al processo di recezione della Parola di Dio nella vita e nella storia il concilio ha dato un nuovo, straordinario impulso, che ha fatto forse della Chiesa cattolica - fra tutte le confessioni cristiane - quella in cui oggi la Bibbia è più letta e proclamata: si pensi all'enorme sforzo di traduzione e diffusione del testo delle Sacre Scritture nella Chiesa postconciliare e al grande cantiere dell'esegesi e della teologia biblica al servizio del popolo di Dio. Quella che va nascendo in conseguenza di questo processo è una comunità di cristiani adulti, formata all'ascolto della Parola della rivelazione, una comunità ricca di un sempre nuovo slancio di evangelizzazione.
Alla base di quanto il magistero del concilio ha maturato in questo campo, è possibile cogliere il vissuto del Papa che lo indisse: riferirsi alla rivelazione, contenuta nella Bibbia, continuamente meditata, e alla storia della sua ricezione nella fede della Chiesa, non è mai stato per Roncalli un atto di nostalgia o di rifugio nel passato, ma sempre e intensamente una sorgente di luce e di speranza. Lo attesta lo stesso Giovanni XXIII parlando con Jean Guitton: "Gli astronomi, per guidare gli uomini, si servono di strumenti molto complicati... Io mi accontento, come Abramo, di avanzare nella notte, un passo dopo l'altro, alla luce delle stelle" (525). Come per il "padre dei credenti", la luce cui il Papa si riferisce è quella che viene dall'alto attraverso la Parola del Dio vivo. Scrive al compimento del suo cammino terreno, in riferimento all'enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963): "Sulla fronte dell'Enciclica batte la luce della divina rivelazione che dà la sostanza viva del pensiero" (613). In una lettera alla famiglia, inviata da Roma negli anni della formazione, afferma: "Noi non dobbiamo mai rattristarci delle pessime condizioni in cui ci troviamo, ma avere pazienza, guardare in alto e pensare al paradiso" (56). E guardare in alto è per lui lasciarsi illuminare sempre di nuovo dal messaggio divino contenuto nelle Scritture.
Certo non sono mancati, né potevano mancare, negli anni del post-concilio, passaggi critici come quello che riguarda la dialettica tra gli sviluppi dell'esegesi biblica in senso storico-critico e l'uso ecclesiale della Bibbia, tra la diffusione della Parola di Dio fra il popolo fedele e le ricorrenti resistenze nei confronti dell'esegesi scientifica dei testi sacri. La recezione del concilio è stata ed è in tal senso un cantiere ancora aperto: la sfida a riscoprire e a vivere il mistero della Chiesa come "creatura Verbi", continuamente generata dalla Parola di Dio e chiamata a farsene voce per la salvezza del mondo, è ancora in gran parte aperta. Tuttavia, l'intuizione del Vaticano II, quale è scaturita dalla mente e dal cuore del Papa buono, resta un punto di non ritorno, dal quale partire con sempre rinnovato slancio per il servizio del Vangelo e il bene della Chiesa e dell'intera famiglia umana, a cui nulla di più alto i credenti possono dare che le sorgenti d'acqua viva della Sacra Scrittura e della sua trasmissione testimoniante nella fede del popolo di Dio.
Il Vaticano II si offre come il concilio della storia anche per la vigorosa attenzione al presente, a quel "frattempo" che sta fra il "già" della prima venuta di Cristo e il "non ancora" del suo ritorno: la coscienza dell'oggi ispira l'istanza pastorale che è a fondamento di tutto ciò che il concilio ha detto. Lo dimostra la stessa genesi vivacissima e a volte sofferta dei testi conciliari, in una tensione spesso evidente fra mentalità legate al passato e alla sua conservazione e sensibilità aperte all'oggi di Dio nel tempo e al futuro della Sua promessa. È peraltro lo Spirito, secondo la promessa di Gesù, che introduce la Sua Chiesa alla comprensione della verità tutta intera (cfr. Giovanni, 16, 13): come amava affermare Giovanni XXIII, "le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant'anni, l'approfondimento dottrinale ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove... Non è il Vangelo che cambia; siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. Chi è vissuto più a lungo e s'è trovato agli inizi del secolo in faccia ai compiti nuovi di un'attività sociale che investe tutto l'uomo; chi è stato, come io fui, vent'anni in Oriente, otto in Francia e ha potuto confrontare culture e tradizioni diverse, sa che è giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne l'opportunità e di guardare lontano" (627).
È dunque ancora una volta nel vissuto di Papa Giovanni che si radica l'intuizione conciliare di questa percezione illuminante della presenza di Dio nell'oggi della storia, che aiuta a riconoscere i tratti della missione della Chiesa "nel mondo contemporaneo" ("De Ecclesia in mundo huius temporis", come recita il titolo finale della Costituzione pastorale). In generale, è nella luce della fede che Roncalli valuta i rapporti storici, a cominciare da quello delicatissimo fra la responsabilità dei Pastori e la politica. Da Papa scrive nelle Sue note personali (citando ampiamente Rosmini): "Il compito... del Papa per tutta la Chiesa e dei vescovi per le diocesi di ciascuno, è predicare il Vangelo, condurre gli uomini alla salute eterna, con la cautela di adoperarsi perché nessun altro affare terreno impedisca, o intralci, o disturbi questo primo ministero... Al di sopra di tutte le opinioni e i partiti che si agitano e travagliano la società e l'umanità intera, è il Vangelo che si leva. Il Papa lo legge, e coi vescovi lo commenta; l'uno e gli altri, non come partecipanti agli interessi mondani di chicchessia, ma come "viventi di quella città della pace, imperturbata e felice", da cui scende la regola divina, che può ben dirigere la città terrestre e il mondo intero..." (519).
Misurare tutto su Dio e la Sua volontà, in un orizzonte di fede e di speranza, fa nascere in Angelo Giuseppe Roncalli una valutazione anche delle urgenze ecclesiali quanto mai libera e aperta, a cominciare dall'atteggiamento convinto in favore della ricerca dell'unità fra i cristiani divisi. Scrive al tempo in cui era Delegato apostolico in Bulgaria: "I Cattolici e gli Ortodossi non sono dei nemici, ma dei fratelli. Abbiamo la stessa fede; partecipiamo agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima Eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche contese, e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi" (197). È l'ecumenismo della carità, che segnerà una delle grandi svolte operate dal pontificato di Giovanni XXIII. A esso corrisponde il desiderio di dialogo con tutti, a tutti aprendo il cuore ed offrendo con umiltà la propria identità nel rispetto di quella dell'altro: il motto cui ispirarsi è "se regarder sans se défier" (303), guardarsi negli occhi con fiducia. L'insistenza che ne deriva è a considerare "non ciò che divide gli animi, ma ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima" (Ad Petri Cathedram, 465).
Nella luce di questo sguardo fiducioso - ben radicato nella fedeltà al dono di Dio - si delineano i tratti del rinnovamento necessario alla Chiesa, che dall'intuizione del Papa passa nei testi del concilio: "Altra è la sostanza dell'antica dottrina del deposito della fede e altra è la formulazione del suo rivestimento. Al giorno d'oggi, la Sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con la condanna" (Discorso di apertura del concilio, 569). Da questa visione sono scaturite nel post-concilio esperienze e riflessioni critiche della fede, nonché opzioni teologiche e pastorali, nate nelle diverse situazioni culturali, che hanno inteso porsi come sviluppo - più o meno coerente - dell'eredità del Vaticano II. Certamente, questo processo non è stato privo di difficoltà: al tempo del "rinnovamento", legato alla primavera conciliare, ha fatto seguito una condizione di "spiazzamento", frutto della nuova consapevolezza del pluralismo delle culture, delle urgenze storico-politiche, dei bisogni e delle espressioni spirituali e religiose. Lo "spiazzamento" si è delineato in particolare nel profilarsi di nuovi luoghi geografici di elaborazione teologica (America Latina, Africa, Asia) accanto al monopolio europeo tradizionale, di nuovi protagonismi (in primo luogo quello dei laici e delle donne), di nuovi metodi, in rapporto specialmente all'emergere della rilevanza della prassi per il pensiero della fede. Su tutto resta però come motivo ispirante l'intuizione di Giovanni XXIII sul primato della misericordia e del dialogo della carità per la risoluzione delle tensioni e dei conflitti possibili.

Le celebrazioni per il 50° anniversario dell'elezione

Roma, 25. Guidato dal vescovo Roberto Amadei, è cominciato a Roma il pellegrinaggio della diocesi di Bergamo in occasione del cinquantesimo anniversario dell'elezione al pontificato del beato Giovanni XXIII. Le celebrazioni inizieranno domani alle 9 con una messa in San Giovanni in Laterano e proseguiranno lunedì a Santa Maria Maggiore e a San Paolo fuori le Mura.

Il 28, giorno dell'elezione, sarà aperto dalle lodi in Santa Maria al Monte Santo, mentre alle 17 avrà luogo in San Pietro la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, al termine della quale Benedetto XVI impartirà la benedizione apostolica.

Il giorno dopo i pellegrini bergamaschi parteciperanno all'udienza generale del Papa. Il 4 novembre, a San Carlo al Corso, messa conclusiva celebrata dal cardinale Giovanni Battista Re.

(©L'Osservatore Romano - 26 ottobre 2008)

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