28 ottobre 2008

«Mi chiamerò Giovanni»: 50 anni fa il giorno di Roncalli


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«Mi chiamerò Giovanni» 50 anni fa il giorno di Roncalli

DI MARCO RONCALLI

«Martedì 28 ottobre 1958 rivive nel mio animo in ogni particolare. Alle 6 assistetti il cardinale Roncalli alla sua Messa nella Cappella Matilde; alle 23 mi congedai dalla stessa persona salutandola diversamente dal mattino: 'Buona notte Santo Padre'».
Sono le parole con cui l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, l’ex segretario particolare – oggi novantatreenne – sintetizza in un piccolo testo ma preparato appositamente nella quiete di Sotto il Monte dove vive «quel giorno». Sul filo dei suoi ricordi scorrono ancora nitide le sequenze di cinquant’anni fa, come oggi, sempre un martedì. La mattina in cappella per la Messa: lui, il patriarca di Venezia Roncalli, il cardinale Wyszynski. La sera, invece, migliaia di fedeli, a gremire piazza San Pietro e quel nome, Giovanni XXIII che faceva il giro del mondo. «Alla terza giornata di votazioni, lo stato di febbrile attesa era come attenuato da un incombente silenzio, i cardinali confabulavano tra loro sommessamente; l’uno o l’altro, solo o in compagnia, entrava nella cella di un confratello. Alle 9, squillata la campana, come nei due giorni precedenti del conclave, il sacrista vescovo Pietro van Lierde diede inizio alla Messa, intonando alla fine il Veni Creator. La nona e decima votazione, svoltesi in quaranta minuti, non radunarono su un candidato i due terzi più uno dei voti necessari all’elezione. Ma se il comignolo della Sistina emetteva alle 11,10 la quinta fumata nera, qualcosa, però vibrava nell’aria», continua Capovilla. Che aggiunge: «In realtà nel Palazzo Apostolico faceva caldo.
Nonostante il trattamento accurato e decoroso, cardinali e conclavisti non nascondevano un senso di stanchezza. Da certe occhiate, poi e dalle allusioni di qualche bravo collega, si finì per convincersi che quello sarebbe stato il giorno del gaudium magnum ». E fu così.
Roncalli non scese per il pranzo. L’aiutante di camera Guido Gusso gli portò in cella da mangiare. La refezione durò un quarto d’ora preceduta dalla prece. Poi si accomodò su una poltroncina a riposare.
Un altro quarto d’ora trascorso ed ecco il patriarca di Venezia al tavolo intento a vergare alcune note su tre foglietti. Nella Sala Regia, contemporaneamente i conclavisti a pranzo sussurravano il nome del nuovo pontefice certi dell’imminente elezione. «Stasera avremo Roncalli papa», gridava invece il cardinale Micara abituato a parlare a voce alta per problemi di sordità. Alle 16 i rintocchi della campanella per l’undicesimo scrutinio. Don Loris,sempre rimasto con lui con il cuore in tumulto, accompagnava il «suo» cardinale sino all’ingresso della Sistina. Di lì a poco le schede cadevano nella coppa per l’ultima volta. Trentotto voti, secondo fonti attendibili, per il patriarca di Venezia che, alla domanda del cardinale decano Eugenio Tisserant – «Accetti?», rivoltagli a nome dei porporati riuniti nella Sistina – rispondeva affermativamente: spiegando di vedere nei voti dei cardinali «il segno della volontà di Dio» e di voler chinare «il capo e la schiena al calice dell’amarezza e al giogo della croce». Alla seconda domanda: «Come vuoi essere chiamato?», il nuovo Papa rispondeva invece leggendo i tre foglietti preparati in precedenza, articolando quasi una piccola omelia che iniziava così: « Vocabor Joannes... Mi chiamerò Giovanni».
Alle 18,03 si apriva la grande finestra della Benedizione . Due minuti dopo ecco apparire il cardinale protodiacono Nicola Canali accolto da grida festose. La sua voce, ingigantita dagli altoparlanti, proclamava l’habemus papam. Subito Giovanni XXIII si affacciava alla loggia per la prima benedizione urbi et orbi: abbagliato dai fari delle televisioni e sommerso dall’esplosione di gioia della folla. Proprio così, a sera, Roncalli scriverà sul suo diario quel giorno.
«All’XI scrutinio, eccomi nominato papa. O Gesù anch’io dirò con Pio XII quando riuscì eletto papa Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam. Si direbbe un sogno, ed è prima di morire, la realtà più solenne di tutta la mia povera vita. Eccomi pronto, o Signore, 'ad convivendum et ad commoriendum'. Dal Balcone di San Pietro circa 300 mila persone mi applaudivano. I riflettori mi impedivano di vedere altro che una massa amorfa in agitazione». Si è scritto che anche quel conclave era stato pieno di ciechi, che era stato miope. Di certo chi aveva indicato il suo nome pensando ad un rassicurante Papa di transizione, di lì a poco si sarebbe dovuto ricredere. Ribadita subito, con la presa di possesso del Laterano, la sua volontà di essere il «vescovo di Roma», e partita subito la normalizzazione della curia, ecco già a Natale e a Santo Stefano due episodi inconsueti rimasti nella memoria di una generazione: le visite all’ospedale del Bambin Gesù e al carcere di Regina Coeli. E tuttavia è un’altra, di lì a poco, la decisione papale che spazza via del tutto l’ipotesi del Papa anziano rassicurante, garanzia di una tappa di ordinarietà. Quella del Concilio ecumenico annunciato il 25 gennaio 1959. Ben presto la «transizione di Giovanni XXIII» fu allora reinterpretata in pienezza. Il pastore cresciuto nei solchi della grande tradizione della Chiesa, ma proiettato con fiducia nel futuro, reclamerà con il Vaticano II l’urgenza di un aggiornamento nelle forme dell’annuncio evangelico: dissentendo dai profeti di sventura e cercando un dialogo aperto con il mondo contemporaneo. Detto con le sue parole: «Un robusto programma da svolgere in faccia al mondo intero che guarda e aspetta».

© Copyright Avvenire, 28 ottobre 2008

Ritratto di «Papa buono» con testimoni

Presentato domenica a Roma il film dossier di Salvatore Nocita, «Giovanni XXIII Il pensiero e la parola», che Raiuno trasmetterà a Natale

DA ROMA

GIACOMO VALLATI

Tutto cominciò mentre visitava una parrocchia della periferia romana. Su uno striscione, su­bito inquadrato dalle telecamere, spiccava la scritta: «Evviva il Papa buono». Non che i suoi predecessori non lo fossero stati; ma l’evidente, quasi «fisica» disponibilità e l’uma­nissima bonomia furono – da subito – il tratto essenziale della sua im­mensa popolarità. Ed ecco allora, a cinquant’anni dall’elezione al soglio di Pietro di Angelo Roncalli, avvenu­ta il 28 ottobre 1958, un film-dossier che racconta quanto di più ampio, e complesso, e rivoluzionario ci fosse in lui. Giovanni XXIII. Il pensiero e la pa­rola, diretto da Salvatore Nocita con la collaborazione di Marco Roncalli, presentato domenica a Roma nel­l’Auditorium della Conciliazione, è un emozionante, documentato e ri­velatore mix di filmati storici (tratti da archivi Rai e Istituto Luce) e di te­stimonianze illustri, che in onda su Raiuno per il prossimo Natale, sa comporre un ritratto tanto vivo quan­to sfaccettato dell’indimenticabile Pontefice. «Una divina sorpresa», vie­ne definita dal cardinale Roger Et­chegaray l’inattesa elezione di colui che avrebbe dovuto essere solo «un papa di transizione». E che divenne invece il Papa del Concilio («Una ve­ra svolta, una vera innovazione, non una riforma che indulgesse a mo­dernismi », la definisce Massimo Cac­ciari); il Papa del dialogo ecumenico («Il dialogo che lui ha iniziato e por­tato avanti è stato rivoluzionario», se­condo Rita Levi Montalcini; «Pochis­simi di quelli che oggi sono cristiani lo sarebbero senza papa Giovanni», dichiara il professor Alberto Mello­ni); il Papa della Pacem in terris («È stato forse il primo pontefice che ab­bia fatto dell’autentica politica di pa­ce », afferma ancora Cacciari); il Papa dell’aperura all’Est («Si è manifesta­to come padre dell’intera umanità – analizza il vescovo di Bergamo, Ro­berto Amadei –. Tutti lo sentivano pa­dre: cristiani e no, credenti e no»).
Quanto alla bontà, l’ex segretario di Giovanni XXIII l’arcivescovo Loris Ca­povilla rivela: «Non è che non gli co­stasse essere buono. Ma ha voluto es­serlo con tutte le sue forze, ogni gior­no, senza volerlo apparire. Così, in­contrandolo, sentivi che era di carne e d’ossa: che si accostava a te, che non era assiso su un trono isolato e di­stante ». E poi gli aneddoti, i piccoli segreti, i ricordi incancellabili. Come il «dietro le quinte» del celeberrimo «discorso alla luna»: quello della «ca­rezza ai vostri bambini». «Non vole­va affacciarsi, quella sera. Era stanco, aveva già parlato ai fedeli al mattino. Ma era curioso. E quando gli sugge­rii di guardare almeno lo spettacolo offerto dalla piazza, attraverso le tap­parelle chiuse, guardò, si commosse. E non seppe più resistere. Fece apri­re la finestra e parlò».

© Copyright Avvenire, 28 ottobre 2008

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