25 ottobre 2008

Intervista all'arcivescovo di Parigi alla vigilia della visita in Russia dove incontrerà Alessio II (Osservatore Romano)


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Intervista all'arcivescovo di Parigi alla vigilia della visita in Russia

Per favorire la fiducia tra le Chiese il cardinale Vingt-Trois incontrerà Alessio II

di Giovanni Zavatta

Dal 26 al 30 ottobre il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, sarà in Russia su invito del patriarca di Mosca, Alessio II.
"L'occasione - si legge nel comunicato dell'arcidiocesi - per rendere omaggio al martirio della Chiesa ortodossa durante il periodo sovietico e all'azione di questa Chiesa nella società post comunista".
Il porporato ricambia così la visita compiuta in Francia un anno fa dal primate della Chiesa russa (il 3 ottobre 2007 Vingt-Trois e Alessio II pregarono insieme nella cattedrale di Notre-Dame davanti alla reliquia della Corona di spine del Signore). Durante il suo soggiorno in Russia, il cardinale avrà contatti anche con la comunità cattolica incontrerà l'arcivescovo Antonio Mennini, nunzio apostolico e l'arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, Paolo Pezzi.

I cristiani ortodossi pregano regolarmente a Notre-Dame. E Alessio II ha parlato di una presenza dalla particolare ricchezza. A Mosca una delle due chiese cattoliche è Saint-Louis des Français dove le messe sono celebrate in una dozzina di lingue. Quando si sono sviluppati e che livello hanno raggiunto i legami fra la Chiesa russa e i cattolici di Francia?

Possiamo individuare principalmente due periodi di questo fenomeno. Il primo è quello dell'immigrazione dopo la Rivoluzione del 1917 che ha portato a creare in Francia delle parrocchie russe, addirittura delle cattedrali russe, come quella in via Daru a Parigi. E questa immigrazione è proseguita attraverso le generazioni costituendo una fonte di pensiero, di preghiera, di tradizione ortodossi. Nella capitale ad esempio esiste l'Institut Saint-Serge che è un importante centro di teologia ortodossa. Il secondo periodo è quello successivo alla caduta del comunismo e alla disgregazione dell'Unione Sovietica, quando la Chiesa russa ha preso nuovo vigore. Fino ad allora i contatti erano stati condizionati dal regime politico che impediva di intrattenere delle vere e proprie relazioni esterne. Qualche rapporto c'era stato solo grazie ad alcuni gruppi cattolici recatisi a Mosca per incontrare i fratelli ortodossi. Questi ultimi ricambiarono le visite, venendo a Parigi, ed è stato così che ha preso corpo e consistenza la comunità russa che oggi dipende direttamente dal patriarca Alessio II e che ha un arcivescovo residente a Parigi nella persona di Innocent de Chersonèse. Esiste poi una serie di comunità ortodosse del patriarcato di Costantinopoli con le quali abbiamo rapporti abituali e fraterni. I vescovi ortodossi sono rappresentati da una sorta di Conferenza episcopale e partecipano regolarmente al Consiglio delle Chiese cristiane in Francia. Oltre che con Alessio II e Bartolomeo i frequenti sono i contatti con Kyrill, metropolita di Smolensk e Kaliningrad e presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca. È in questo quadro che Alessio II ha compiuto numerosi viaggi all'estero e nell'ottobre 2007 è stato invitato dal Consiglio d'Europa a Strasburgo e da me a Parigi. E rientrano in questo quadro la mia visita nel febbraio scorso a Istanbul da Bartolomeo i e il pellegrinaggio nei prossimi giorni in Russia. Un'altra tessera nel mosaico dell'unità.

Fra le tappe del viaggio figurano le Isole Solovki e il suo monastero, divenuto campo di concentramento e luogo di martirio per numerosi sacerdoti e vescovi dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917. Che significato ha questo omaggio?

Questo antico monastero, risalente al medioevo, centro importante della vita monastica della Chiesa russa, si trasformò tragicamente nel primo gulag. Si può dire che a Solovki fu rodato il "sistema". In questo primo campo di concentramento, statisticamente, la proporzione di vescovi, sacerdoti e religiosi ortodossi era considerevole così come di sacerdoti, religiosi e religiose cattolici, i quali si sono ritrovati non solo nello stesso stato di prigionieri ma all'interno della stessa persecuzione. Non si trattò di una carcerazione "amministrativa", di arresti domiciliari, che colpirono numerosi ecclesiastici in altri Paesi del blocco sovietico. Fu una vera prigione, con campi di lavoro forzato che condussero allo sterminio, poiché i maltrattamenti e la malnutrizione provocarono la morte di un alto numero di prigionieri. È quindi importante che le relazioni con la Chiesa ortodossa russa riconoscano e manifestino questa dimensione fondamentale di martirio. Lo statuto della fede ortodossa sotto il regime comunista fu uno statuto di martirio. Fede e testimonianza di persecuzione. Mi recherò a Solovki per rendere omaggio, per riconoscere la "promessa ecumenica" di un martirio, lo stesso martirio, subito dagli ortodossi e dai cattolici.

Il suo viaggio segue i pellegrinaggi in terra russa dell'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, e dell'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, latore di un messaggio autografo di Benedetto XVI ad Alessio II e tramite della lettera di risposta al Papa da parte del patriarca di Mosca. È l'inizio di una nuova, feconda stagione di dialogo con il mondo ortodosso?

Già il fatto di avere la possibilità di vivere degli incontri relativamente regolari è importante per accrescere le relazioni con il patriarcato di Mosca e rapporti ecumenici che non esistevano prima. Credo di interpretare il desiderio, la volontà di Alessio II di entrare in relazione più aperta con la Chiesa cattolica. Siamo in grado di incontrarci fraternamente, di parlarci e di darci fiducia. Nel progresso dell'unità dei cristiani la questione della fiducia è fondamentale: se non esiste la fiducia reciproca, l'unità non può progredire. Anche se i contatti sono episodici e brevi, anche se non affrontano le questioni di fondo causa della nostra divisione, tuttavia sono tali da aiutare la Commissione teologica cattolica-ortodossa che da qualche tempo ha ripreso il lavoro in un clima diverso, decisamente migliorato rispetto a dieci-quindici anni fa.

La Francia, più di altre nazioni europee, mostra come sia possibile la convivenza tra persone di razze, culture, religioni diverse. Sono numerose le associazioni che riuniscono cristiani, musulmani ed ebrei e non mancano esempi concreti di collaborazione. Ciò vale anche per la conoscenza e la lettura dei sacri testi?

Sono tre situazioni completamente diverse fra loro. Da una parte abbiamo le relazioni fra cristiani che in Francia hanno consentito, parecchi anni fa, di arrivare alla pubblicazione di una traduzione ecumenica della Bibbia e dunque di vedere in che modo le tradizioni teologiche delle differenti comunità ecclesiali proponevano interpretazioni differenti di certi passaggi delle Sacre Scritture. Si è riusciti allo stesso modo a metterci d'accordo sui testi e sulle note. Questo lavoro considerevole, cominciato almeno quarant'anni fa, è avanzato e prosegue. Nel modo di intendere e di accogliere le Scritture i cristiani sono progrediti nella capacità di unità. Altra cosa sono le relazioni con gli ebrei ovvero con chi condividiamo una parte importante delle Scritture. Non siamo degli estranei, con dei corpus senza comunicazione. Che gli ebrei non riconoscano l'interpretazione cristiana delle Scritture è una cosa, ma non si può dire che siamo estranei in rapporto all'Antico Testamento. Condividiamo una stessa adesione agli stessi testi. Con i musulmani è assai diverso. Non abbiamo le stesse Scritture. Il Corano non è la Bibbia e la Bibbia non è il Corano. Possiamo discutere, lavorare insieme, confrontare la lettura della Bibbia e del Corano, accrescere una reciproca conoscenza, ma non si ha oggi, nell'islam, l'equivalente dell'opera interpretativa che è stata fatta dai cristiani e dagli ebrei. E l'idea che il Corano possa essere interpretato è relativamente nuova e non condivisa da tutti.

Quali sono i punti fermi, l'unità d'intenti raggiunti dai padri sinodali riuniti fino a domenica in Vaticano?

Due gli aspetti che vorrei sottolineare. Ci siamo chiesti come tradurre la nostra convinzione che la Parola di Dio - la quale rappresenta più della Bibbia - è il cuore della rivelazione cristiana e deve dunque essere il cuore dell'animazione della vita ecclesiale e dell'attività pastorale. Esiste perciò la necessità di far progredire una visione biblica della pastorale e di avere non semplicemente dei gruppi biblici particolari ma un'animazione della pastorale da e attraverso la Parola di Dio. Abbiamo inoltre raggiunto la convinzione che gli elementi strutturali dell'analisi biblica che sono stati messi in evidenza, più di quarant'anni fa, dalla Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (Dei Verbum), hanno ancora bisogno di un investimento di lavoro per essere messi in opera concretamente. Va poi considerato come l'apporto dell'esegesi storico-critica sia legato alla dimensione teologica dell'esegesi, vale a dire con l'interpretazione credente del testo biblico, che non è semplicemente un'interpretazione storico-critica ma anche teologica. E come l'esegesi storico-critica, che ha permesso di progredire così tanto nella comprensione del testo biblico, sia realmente integrata nel procedimento teologico che è il vero procedimento dell'esegesi.

Cosa è rimasto della recente visita di Benedetto XVI in Francia? Tra i fedeli cosa è cambiato?

Restano alcuni elementi visibili. Innanzitutto la vitalità della Chiesa che si è mobilitata, la composizione delle assemblee che si sono riunite attorno al Papa, essenzialmente formate da giovani: studenti, professionisti, giovani famiglie con bambini che hanno mostrato una visione della Chiesa completamente diversa da quella che viene descritta abitualmente. Assemblee entusiaste, assemblee in raccoglimento.
Il contenuto dei discorsi del Santo Padre è stato non solo ascoltato ma ripreso e fatto proprio dai gruppi di lavoro che si sono già riuniti nelle parrocchie. Discorsi che hanno ribadito concetti molto importanti riguardo la condizione dei cristiani nel mondo moderno e dunque destinati a servire, a chiarire l'impegno dei cattolici nella società. Tutti questi elementi hanno ridinamizzato la nostra comunità in Francia, fornendo ulteriori motivazioni e una forza nuova.

(©L'Osservatore Romano - 26 ottobre 2008)

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