20 marzo 2007

Analisi della "teologia" di Eugenio Scalfari


Di seguito vengono pubblicati tre editoriali (due di Eugenio Scalfari e uno di Giuseppe De Rita).
Noterete sicuramente la pacatezza e la grande dimensione intellettuale di De Rita contrapposta alla violenza verbale (quasi stizzita) di Scalfari.
Vorrei, pero', rimarcare il fatto che il fondatore di Repubblica non puo' fare a meno di occuparsi del Papa e della Chiesa. Evidentemente Benedetto XVI l'ha colpito e Scalfari non riesce a non parlarne, di solito per attaccarlo violentemente.
Come, giustamente, rimarca il blog "I segni dei tempi" il fondatore di Repubblica appare un po' nervoso perche' qualcuno ha tentato di contraddirlo. E' cio' che vogliamo fare anche attraverso questo blog :-))
Alla fine del post la mia piccola, insignificante, riflessione.

Raffaella


LA CHIESA DI PASCAL CHE PIACE A NOI LAICI

EUGENIO SCALFARI

LA QUESTIONE è diventata talmente chiara che la stessa Chiesa italiana ha smesso di negarne l´esistenza: esiste uno scontro aperto tra la Conferenza episcopale (cioè il maggior organo pastorale e politico dei cattolici) e lo Stato italiano, la rappresentanza parlamentare, i vari partiti e associazioni democratiche.

Due concezioni si contrastano, due culture ciascuna delle quali deve moltissimo all´altra, si contrappongono e non soltanto sui modi per raggiungere un obiettivo comune, ma sulle finalità stesse che vengono proposte. Gli ultimi due papi scavalcando a piedi pari gran parte delle conclusioni e dello spirito del Vaticano II e di fatto cancellando i due pontificati precedenti, quello di Giovanni XXIII e quello di Paolo VI, hanno fatto dell´accusa di liberalismo e di relativismo un tema centrale e l´hanno usato sistematicamente per sconfessare di fatto l´intero valore della modernità, dal Rinascimento alla libera ricerca, dalla scienza sperimentale allo stoicismo di Montaigne, al "Discorso sul metodo" di Cartesio, all´ "Etica" di Spinoza, all´Illuminismo, alla "Critica della ragion pura" di Kant e infine ai più recenti svolgimenti del pensiero filosofico derivanti da Schopenhauer e da Nietzsche e agli esiti scientifici di Freud, di Einstein e della fisica quantistica.

Tutto questo immenso deposito di pensiero e di sapere è impregnato di relativismo nelle sue diverse varianti metodiche conoscitive ed etiche e tutto, preso nel suo insieme, si è proposto di spodestare la metafisica dal vertice del pensiero filosofico dove si era insediata a partire da Platone. Se dunque Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, pur dotati di diversa portanza e di diverso linguaggio, hanno deciso di eleggere come nemico numero uno della cattolicità il relativismo e l´Illuminismo e lo hanno ripetuto in gran parte delle loro pubbliche allocuzioni e delle più solenni encicliche; e se Ratzinger appena insediato sulla cattedra petrina, nella sua prolusione all´università di Ratisbona ebbe nei confronti del fondamentalismo islamico accenti addirittura meno severi di quelli riservati al pensiero moderno dell´Occidente, non è purtroppo lontano dal vero parlare oggi d´uno scontro in atto tra cattolicesimo e modernità. La Chiesa lo nega tenacemente.

E come potrebbe ammetterlo, visto che la sua missione è quella di stare tra la gente, ascoltarne i dolori e le richieste, darle un progetto di sicurezza e di salvezza senza mai separarsi dai diversi e dai peccatori? La Chiesa tiene ben ferma questa sua missione perché essa costituisce il fondamento del messaggio evangelico e della predicazione del Cristo e dei suoi apostoli. Ma la contraddice tutte le volte in cui fa passare questa missione in seconda fila di fronte ad altre incombenze che ritiene più urgenti per l´affermazione del suo potere.

In realtà nella Chiesa cattolica ci sono due anime. Una è quella dell´Evangelo, dell´amore, della misericordia, della povertà; l´altra è quello del potere, della politica, dell´ "imperium". La prima spesso è perseguitata, sofferente e tuttavia portatrice di salvezza nel regno futuro delle Beatitudini; la seconda si sente forte e fonte unica e legittima d´investitura: investitura di verità e insieme di potere terreno.

Nella Chiesa cattolica questa divisione tra le due anime è stata particolarmente visibile per la struttura stessa della sua organizzazione centrata su un unico personaggio che la rappresenta interamente per il fatto stesso di rappresentare il Cristo incarnato e portare con ciò la presenza del Redentore. Nelle altre chiese cristiane questa unità di comando non esiste e neppure esiste nelle altre religioni monoteistiche: nell´Islam e nell´ebraismo. Probabilmente questa duplicità del cattolicesimo questa sua doppia anima riunificata in una persona è stato uno degli elementi che ne ha esaltato la dinamica e la capacità di comprendere e di aderire ai mutamenti della società. Per capire a fondo le persone, individui e comunità, bisogna avere l´attitudine e l´attrezzatura psicologica per commerciare anche con gli interessi oltre che con i principi le convinzioni e i dogmi. La Chiesa cattolica è stata la sola ad avere questa vocazione e i frutti positivi ne sono stati copiosi per lei e per le popolazioni che ne hanno seguito il messaggio e gli incitamenti.

Ma non è certo un caso se in anni più recenti la sua influenza si è ristretta nel mondo occidentale ed è diventata assai più ampia in Africa e in America Latina. Questo movimento di sgonfiamento e rigonfiamento ha proceduto di pari passo con la secolarizzazione della società moderna l´affermarsi del concetto di laicità nelle nazioni dell´Europa e del nord America. La vocazione missionaria nel senso più ampio del termine della Chiesa cattolica ha finalmente sfondato in quei paesi ancora immersi nella povertà e in mitologie tribali che la Chiesa ha avuto la capacità di trasferire nel messaggio cristiano come del resto già aveva fatto nel momento della evangelizzazione dei popoli germanici alla caduta dell´Impero Romano.

* * * *

Il nemico è insomma il relativismo, la rivendicazione dell´autonomia di ciascuno, la ricerca sperimentale della verità che non esclude neppure l´inesistenza di un´unica verità assoluta. E di conseguenza l´abbandono della trascendenza, antico rifugio contro l´insicurezza del vivere e ultima istanza del giudizio finale tra buoni e cattivi, tra bene e male.

Il pensiero laico è stato lungamente silente su questa diabolizzazione cui la Chiesa l´ha sottoposto. Parlo del pensiero laico e non di quello anticlericale che ne rappresenta una caricatura.

Il pensiero laico non ha mai escluso (e come potrebbe?) il mistero, l´Increato, la necessità di dare un senso al nostro vivere. Si è sempre posto con estrema serietà i problemi della vita e della morte. Non ha mai confuso il complesso delle sue idee e delle sue convinzioni con la secolarizzazione consumista che è fenomeno diverso e per molti aspetti deteriore. Per di più il pensiero laico, anzi il mondo laico, non ha una struttura di potere, non ha associazioni proprie che lo rappresentino, non parla "ex cathedra". Predica libertà, democrazia, tolleranza. Perciò non ha alcuna responsabilità nello scontro che si è determinato con la Chiesa se non per il fatto di opporsi alle pretese ecclesiastiche di voler imporre ad una comunità dove convivono pacificamente cattolici, laici e fedeli di altre religioni, istituti che vietino l´esercizio e il riconoscimento dei diritti. Diritti di minoranze, certo, e proprio per questo ancor più sacri e degni di riconoscimento e tutela.

Ieri si è svolta a Roma una manifestazione in favore del progetto di legge sulle convivenze di fatto, sia eterosessuali sia omosessuali sia affettive tra amici e parenti lontani. Come tutte le proposte, anche queste possono essere migliorate ma non certo abolite. Questa sarebbe infatti una prevaricazione contro una minoranza del tutto inaccettabile per ogni democratico responsabile. Proprio per questo il documento dei sessanta parlamentari cattolici della Margherita in difesa della propria autonomia rispetto alle ingiunzioni dei Vescovi sul voto per le convivenze di fatto ha rappresentato un evento positivo e – senza esagerazione – storico. Non accadeva da mezzo secolo che il laicato cattolico politicamente impegnato prendesse una posizione di questo genere. L´episodio di De Gasperi, quando bocciò la lista clerico-fascista nelle elezioni comunali di Roma, proposta da Sturzo e caldeggiata da papa Pacelli, fu un atto di grande importanza che aveva però come autore un presidente del Consiglio capo e fondatore della Dc. Nel caso dei "sessanta" si è trattato di deputati e senatori per lo più sconosciuti e tuttavia fieri dell´autonomia del loro rango costituzionale e del loro impegno politico.

Gli avversari dei patti sulle convivenze di fatto cercano di dimostrare che quei diritti sono in gran parte già riconosciuti dal codice civile e che quindi una legge in proposito è del tutto inutile. Se la si vuole, la si vuole per dare riconoscimento pubblico a quei diritti e a quelle coppie. L´obiezione è in parte inesistente e in parte sbagliata. Inesistente perché la quasi totalità dei diritti in questione deve essere affermata "erga omnes" cioè nei confronti dei terzi, senza di che quel diritto è di fatto inesistente. Sbagliata perché il riconoscimento pubblico di una situazione è un atto fondamentale che attiene alla dignità delle persone ed alla loro riconoscibilità.

* * * *

Qualche giorno fa si è svolto nel salotto televisivo di Giuliano Ferrara un dibattito di spessore su questo tema. L´ho seguito con interesse; ho apprezzato la prudenza e anche il garbo con il quale ha sostenuto le ragioni della Chiesa il cardinale Barragan, le efficaci stimolazioni del conduttore il quale, per antica vocazione, vorrebbe che i suoi invitati preferiti facessero a pezzi gli avversari e che il suo manicheismo fosse fatto proprio da tutti i partecipanti non concependo lui, nella vita pubblica, altra modalità per regolare i conti tra opposte convinzioni, interessi, poteri. Ma ho soprattutto apprezzato l´intervento finale di Rosy Bindi, coautrice con il ministro Barbara Pollastrini del disegno di legge sulle convivenze di fatto ormai da tempo presentato in Parlamento.

Sul tema specifico si era già detto tutto e del resto esiste un testo legislativo che non abbisogna di ulteriori spiegazioni. Di che cosa dunque doveva parlare la Bindi a chiusura di quel dibattito? Ha parlato di cristianesimo. Ha detto tre cose che mi hanno molto colpito e che voglio qui riportare con la massima chiarezza così come mi sono arrivate.

Vorrei che la religione si occupasse soprattutto di Dio e di Cristo.

Vorrei una Chiesa pastorale che non solo vivesse tra la gente ma tra i diversi, tra quelli che non la pensano come noi, che noi consideriamo peccatori, ma che sono pur sempre uomini e donne come noi. In loro dobbiamo percepire esaltare aiutare la scintilla divina che anch´essi possiedono al pari di noi. Che cos´altro il Cristo ci esorta a fare? Ma è questo che stiamo facendo?

Tanti uccelli si posano la notte sui rami degli alberi e ne ripartono al mattino. A volte ritornano, altre volte non più. Ma l´albero che li ha ospitati ha comunque dato e ricevuto da ciascuno di essi qualche cosa, qualche insegnamento e comunque la presenza di una vita.

Non so se questa conclusione d´un dibattito che si annunciava ed è stato polemico sia piaciuta al suo turgido conduttore. A me, laico non credente, è piaciuta molto. A me piace la Chiesa di Francesco e anche quella di Agostino, quella di Bernardo, quella di Duns Scoto. Mi piace quella di Pascal e quella di Maritain. Mi piace quella del cardinale Martini. Mentirei se dicessi che mi piace quella di Camillo Ruini. Politicamente sarebbe forse stato un papa migliore di Ratzinger. Ma la Chiesa ha bisogno di un politico sulla sedia di Pietro?

Se è questo di cui ha bisogno, allora è perduta.

Repubblica, 18 marzo 2007


LA LETTERA

Noi cattolici e i falsi profeti della modernità

GIUSEPPE DE RITA

Caro direttore, nelle settimane passate Repubblica ha così duramente denunciato le abissali carenze culturali di noi cattolici da indurre nelle anime semplici come la mia la tentazione alla resa, alla "bandiera bianca", visto che tutto ci manca.
Ci manca in primo luogo la modernità della costruzione della verità nella dinamica del consenso e del numero, fuori da ogni certezza ontologica; ce lo ha spiegato il prof. Zagrebelski qualche settimana fa nel suo solito grande stile. Ci manca in secondo luogo la consapevolezza di quanto il mondo moderno esalti non solo il primato del corpo ma quell´ambiguità patinata dei corpi che permette di usarli - nella virtualità pubblicitaria come nel sesso - con disanimato "nichilismo laico"; ce lo ha spiegato Gad Lerner sabato scorso, con ironica prudenza. Ed infine e specialmente ci manca la modernità come coerenza con la potenza storica della ragione e della scienza; ce lo ha ricordato Eugenio Scalfari domenica, forse volutamente enfatizzando l´inimicizia cattolica verso «l´intero valore della modernità così come è stato costruito dal pensiero del Rinascimento e dell´Illuminismo» e confortandosi con otto citazioni in nove righe: Montaigne, Cartesio, Spinosa, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Einstein e Freud, più la fisica quantistica.

Sfiniti da tanta potenza di fuoco non ci resta che la resa e una umile richiesta (che so di sicuro accoglimento) di un esercizio solo privato della fede. Se noi cattolici non sappiamo capire e gestire la modernità del consenso e del numero, la moderna ambiguità dei corpi ed il loro gaio nichilismo, la modernità della ragione e della scienza, allora che ci stiamo a fare? Scomparire è un dovere, solo una gerarchia ecclesiale intrisa di arroganza e di potere non vuole convenirne.

Giunto a questo passo estremo di rassegnata depressione, il mio cervello ha avuto uno scarto laterale tipico del ricercatore sociale: perché quella triplice iperpotenza della modernità non riesce a chiudere la partita, lasciando che la cultura cattolica, l´antropologia cattolica, la vita quotidiana dei cattolici sopravvivano al bombardamento delle citate fortezze volanti? Devono giocare in proposito motivi più consistenti che non le resistenze intellettuali di un teologo eletto pontefice e le furbizie politiche di un cardinale eletto a "nemico favorito".

Io sarei portato a segnalare che forse la fede quotidiana possiede qualche potenza che la ragione dei bombardieri non sa capire; ma non voglio mettermi a usare la fede come spunto di polemica. Mi sembra più corretto avanzare il sospetto che la citata triplice modernità trasmetta male la sua potenza, non metta su terra la forza dei suoi motori.

- L´errore originario è quello di esprimere una tale "dismisura" di baldanzosa sicurezza da suscitare meccanismi di sospetto, autodifesa e rigetto da parte della gente comune (vale per le citazioni filosofiche come per l´ostentazione dell´ambiguità dei corpi).

- Ma la dismisura diventa ancor più sospetta e inaccettabile quando è esercitata non dalle élites ma da militanti di piazza e compagni di strada un po´ terra terra. La dismisura di Scalfari ti impegna a confrontarti con essa, la dismisura di Piazza Farnese senti che non ha effetti reali. Non a caso Pannella, uscendone ha notato che "in piazza non c´era il movimento", non c´erano cioè le condizioni per tramutare le emozioni in forza sociale e politica.

- E di conseguenza non si formano leadership riconosciute. Le piazze infatti, fisiche o virtuali che siano, producono più masanielli che leader, essendo strutturalmente prigioniere delle parole d´ordine, delle minoranze più minoritarie, del facile giuoco della contrapposizione personalistica ai personaggi eletti a spregevoli nemici.

Il mondo della modernità dovrebbe riflettere con calma su queste sue carenze: di misura, di condensazione sociale, di leadership. Se non convince è anche colpa sua, per essersi calato nella cultura collettiva in termini lontani dalle sue elaborazioni di élite, e lontani dalla concreta antropologia del Paese, dove il mondo cattolico, da sempre ben insediato nel quotidiano e sul territorio, ha qualche vantaggio. E forse non è fuori luogo la recente notazione del Cardinale Ruini sul fatto che la Chiesa (nella porosità delle decine di migliaia di parrocchie) conosce la realtà delle unioni di fatto più di quanto la conoscano gli esponenti delle tante sigle che convocano la piazza.

La modernità eviti allora la piazza, non porta che regressione e rafforza l´avversario. E fa pensare che alcuni profeti della modernità comincino a dimostrare un po´ di attenzione verso gli eremiti della coscienza e della fede personale, quelli non impiccati al consenso dei numeri, al nichilismo gaio dei corpi, al primato della ragione e della scienza.

All´articolo di De Rita risponderà Eugenio Scalfari

Repubblica, 17 marzo 2007


SE I LAICI PORGONO L´ALTRA GUANCIA

EUGENIO SCALFARI

NELL´ATTESA sempre più speranzosa ma anche tremula d´avere notizie definitivamente positive sul nostro Daniele Mastrogiacomo, temevo che mi toccasse in sorte di occuparmi oggi per obbligo di attualità dell´immonda suburra denominata Vallettopoli. Argomento nient´affatto banale che peraltro accompagna la nostra vita di relazione – sia pure con forme diverse ma analoga sostanza, da almeno duemilacinquecento anni, ché tanti ne sono passati dalla morte di Socrate ai giorni nostri.

Dico la verità: passare un pomeriggio a riflettere di simili bassezze e futilità mi sembrava al limite della sopportazione che il nostro mestiere di giornalisti a volte ci impone, a meno di non essere un Platone o un Senofonte e di avere come oggetto di osservazione colui che fondò la filosofia greca, la sua metafisica, la sua morale e, partendo dall´accusa di corrompere i giovani che gli veniva contestata per ragioni più politiche che etiche, riuscì a lasciare un segno indelebile sul modo di affrontare la morte pur di obbedire ad una legge ingiusta e ad una fattispecie non provata. Esempio fondante della civiltà occidentale allora appena al suo inizio e impensabile oggidì, dove quasi tutto è mediocre e inteso all´utile proprio e al danno altrui.

Dicevo dunque dei miei disagi di commentatore di professione quando per mia fortuna è venuto a trarmi di imbarazzo Giuseppe De Rita con una sua argomentata lettera pubblicata ieri sul nostro giornale dal titolo «Noi cattolici e i falsi profeti della modernità», nella quale si rivolge direttamente a me per un mio intervento "laico" di domenica scorsa, oltreché agli amici Gustavo Zagrebelsky e Gad Lerner che pure avevano affrontato il tema da diversi punti di vista.

Conosco De Rita da una vita e ne stimo l´intelligenza e la finezza intellettuale. Ne stimo meno l´arroganza di ritenersi quasi sempre nel vero, non tanto nelle questioni attinenti alla fede delle quali si è occupato di rado, quanto in quelle che concernono la sua professione di sociologo nelle quali ha preso talvolta qualche cantonata, come quella d´aver inventato lo slogan «piccolo è bello» con il quale ci ha trastullato per circa vent´anni individuando un fenomeno reale ma dandogli valore positivo mentre ne aveva soprattutto uno negativo derivante dal familismo italiano e dal nanismo aziendale entro le cui maglie tuttora ci dibattiamo.

Non toglie che le capacità intellettuali di De Rita siano state di eccezionale perspicuità e che il suo annuale rapporto Censis abbia fornito alla pubblica opinione qualificata le tavole di giudizio sulle quali valutare i risultati economici, l´affermarsi di nuove costumanze nel bene e nel male e insomma l´evolversi (o l´involversi) della nostra società alla luce d´un criterio morale spesso implicito ma sempre presente, che riscalda le sue conclusioni statistiche e ne fa strumento di educazione civile.

Dunque risponderei qui alle reprimende e alle domande dell´amico De Rita non senza osservare l´immotivata brutalità del titolo del suo articolo. So bene che di solito i titoli non li fa l´autore ma il redattore titolista, il quale tuttavia in questo caso non ha responsabilità in quanto si è limitato a dar voce al testo. Dunque «Noi cattolici e i falsi profeti della morale». Starei molto attento, caro De Rita, a far proprio un concetto così azzardato da parte di chi per oltre un secolo non volle arrendersi ai principi della moderna astronomia sol perché avrebbero messo in questione la centralità della nostra specie nonché la leggenda della creazione e – scendendo giù per li rami – avrebbe forgiato una teoria fasulla del libero arbitrio e su di essa eretto il predominio assoluto dell´intermediazione e dell´interpretazione del rapporto tra Dio e l´uomo, affidato in via esclusiva alla gerarchia ecclesiastica: esempio unico rispetto a tutte le altre confessioni cristiane e a tutte le altre religioni monoteistiche dove non esiste un clero che abbia il potere di sciogliere e di legare («Ciò che tu, Pietro, legherai sarà legato per sempre e ciò che scioglierai sarà sciolto»).

Alla luce di questa aberrante teoria potrei ben titolare «Noi laici e i falsi profeti della religione», ma me ne guardo bene; ho troppo rispetto per la predicazione di Gesù di Nazareth e sento così profondamente dentro di me il suo insegnamento di umanità e di amor per profittare degli errori e dell´arroganza di molti tra i suoi seguaci.

* * *

Andiamo al sodo. Mi chiede De Rita: in otto righe hai elencato ben nove filosofi, pensatori, scienziati con i quali la Chiesa sarebbe in rotta di collisione rifiutando per conseguenza in blocco l´intera modernità. È esatto – tu mi domandi – questo giudizio?

A me par di sì e non perché lo dico io ma perché è la storia delle idee e dei fatti a darcene contezza. Naturalmente avrei potuto (dovuto?) far seguire ad ogni nome citato una breve scheda illustrativa ma ho pensato che fosse inutile: i lettori di "Repubblica" conoscono bene il pensiero degli illuministi, di Spinosa, di Kant, di Einstein, per aver bisogno di un «bignamino» rammemorativo.

Del resto le otto righe avrebbero potuto allungarsi di molto e altrettanto i nomi citati se avessi avuto lo scrupolo della completezza anziché quello dell´esemplificazione. Mi è parso inutile – ma forse ho sbagliato – citare la sciagurata sorte di Tommaso Campanella e quella sciaguratissima di Giordano Bruno, non soltanto torturati nella persona ma cancellati nel pensiero. Né ho citato i 27mila morti nell´efferata notte di San Bartolomeo o i milioni di contadini periti nella guerra dei trent´anni scatenata dalla lotta delle religioni, né i massacri delle crociate e della Reconquista, né la segregazione degli ebrei della diaspora, né le stragi di Sassonia perpetrate da Carlo Magno per mandato del Papa. Non ho citato Fichte e venendo a tempi più vicini a noi non ho fatto menzione di Jaspers, Bertrand Russel, Heidegger e infiniti altri pensatori che nel loro complesso hanno costituito un immenso e fertile deposito di libero pensiero.

De Rita sostiene che la Chiesa non ha rotto con quel deposito di modernità, ma soltanto con alcune parti di esso. Mi piacerebbe saperne di più. Forse ne sarei confortato.

Certo la Chiesa è maestra nel sostenere che la fede sia sempre d´accordo con la ragione e che la fede e la ragione insieme siano due facce della stessa medaglia purché, come ha notato Severino, sia la ragione a seguire i passi della fede. Ove mai li precedesse arrivando a conclusioni difformi, l´anatema non tarderebbe come non ha mai tardato.

Perfino al proprio interno, quando la gerarchia distrusse anche fisicamente il cristianesimo modernista servendosi del braccio secolare fascista per escluderlo dalle scuole e dalle Università e poi, con papa Wojtyla, quando fece tabula rasa delle teologie tedesca, olandese, sudamericana; quando lasciò solo l´arcivescovo Romero che fu massacrato sull´altare dagli squadroni della morte dei «terratenientes» e quando infine divelse in blocco tutto il gruppo dirigente dell´Ordine dei gesuiti, reo di non essersi allineato alle prescrizioni d´una gerarchia più preoccupata del consenso di massa che della meditazione cristologica e del riscatto sociale.

Se il laicato cattolico è poco sensibile a questi temi non è cosa che ci riguardi, ma come osservatori abbiamo dovere di esprimerci.

* * *

Toccherò ora un altro tema connesso con questo. Durante il declino dei partiti della prima repubblica e la corruttela diffusa che aveva inquinato le fibre stesse del sistema e principalmente quelle del partito cattolico, non abbiamo ascoltato una sola reprimenda da parte dell´episcopato italiano sullo scempio di moralità pubblica che era sciaguratamente in atto. Così come nulla si è percepito sul paganesimo dilagante nei recessi del potere, nell´uso delle prevaricazioni, nell´ideale della forza, del successo, del denaro che costituiscono gran parte della società di questi anni. Recriminazioni generiche quanto inutili, questo sì; pattuizioni politiche altrettanto.

Gli dèi pagani furono a loro modo una religione civica molto seria. Ma qui non si stabiliscono i criteri d´una religiosità civile bensì si negoziano gli interessi travestendoli da ideali.

* * *

Un´accusa fastidiosamente ritornante imputa ai laici di voler togliere la parola e lo spazio pubblico ai cattolici in genere e alla gerarchia ecclesiastica in particolare. Anche De Rita indulge a questa leggenda metropolitana, il che mi stupisce assai. Personalmente, in numerosa e prestigiosa compagnia, ho sempre affermato che il Papa e i suoi vescovi hanno piena disponibilità dello spazio pubblico e possono dire ciò che vogliono e come vogliono. Salvo un punto: le pattuizioni dei Trattati lateranensi che come tutti i trattati contengono diritti e doveri per le parti contraenti.

Io sarei felice per la Chiesa se quei Trattati fossero aboliti: ne guadagnerebbe in libertà ed estensione del suo spazio pubblico. Ma non sembra che la Chiesa abbia questa intenzione: non ha più obblighi da osservare e conserva tutti i diritti e i privilegi pattuiti.

Va dunque bene così. Ma pongo ora a De Rita una domanda che ho già formulato tempo fa senza avere alcuna risposta. La domanda è questa: esiste un atto, un comportamento, un documento che possa configurare un´ingerenza da parte della Chiesa nella sovranità dello Stato? Di ingerenze vietate allo Stato dai Trattati del Laterano ce n´è a bizzeffe e lo Stato si è ben guardato dal cadere in fallo. Ma il viceversa qual è? Che cosa non può fare la Chiesa in forza dei Trattati? Stando a quel che vediamo la Chiesa può far tutto. Dunque il Concordato non prevede limiti, è un colabrodo. È possibile configurare un´ingerenza, tanto per sapere? De Rita ci può aiutare? L´arcivescovo Bagnasco può indicare un limite del quale abbiamo del tutto smarrito l´esistenza? O debbono intervenire i pretori e adire la Corte quando un prete in pulpito prescrive ai fedeli come votare? E non temete per lo spazio pubblico: quello ve lo concesse lo Stato italiano fin dal 1871 con la legge delle Guarentigie senza bisogno di alcun Concordato.

* * *

Ma, incalza De Rita, le dotte (bontà sua) elucubrazioni filosofiche dei laici sono lontane le mille miglia dalle tradizioni religiose degli italiani. Perciò non hanno presa. Tutt´al più possono riempire qualche piazza di omosessuali, ma di lì non nasce alcuna classe dirigente e alcun pensiero forte. Perciò non incoraggiate le piazze se volete un disinteressato consiglio.

D´accordo. Le piazze sono comunque minoranze. Recarsi in piazza è un diritto costituzionalmente garantito ma, per il pochissimo che mi riguarda, non ne sento alcuna nostalgia.

Sempre che questa "lontananza" sia reciproca. Pare che milioni di cattolici si preparino a scendere in piazza. Per loro è ammesso e consigliato e per i froci (ma sì, chiamiamoli così) è sconsigliabile? Curioso modo di intendere la democrazia.

L´altro tema è più serio: pensiero elitario contro tradizioni popolari, evidentemente non c´è gara.

Certo che non c´è gara e infatti non esiste laico che si rispetti che si ponga l´ipotesi di estirpare la religione dall´animo non degli italiani ma delle persone ovunque nate e residenti. La ragione è semplice e la ricaverò da una citazione dello "Jacopo Ortis" fatta da monsignor Ravasi in uno degli ultimi numeri dell´"Avvenire": «Io non so perché venni al mondo né come: né cosa sia il mondo né cosa io stesso mi sia».

Questa è la citazione e ricorda uno dei Pensieri di Pascal. Di qui nasce la religione, quale che sia: dalla mancanza di senso e dall´angoscia che ne deriva. La religione è una delle risposte pacificanti. L´altra è la ricerca dell´autonomia della coscienza e del senso come suo proprio fondamento.

Non mi sognerei perciò di irridere il credente che trova il senso costruendo un dio e un processo di salvezza. Allo stesso modo giudico grossolana la tesi di chi contrappone le «elucubrazioni filosofiche» alle tradizioni religiose.

Sì, lo trovo molto grossolano e aggiungo: se siete, voi cattolici, così sicuri del vostro seguito, di che cosa vi preoccupate? Forse avete capito che sotto a molte di quelle tradizioni c´è solo il potere e nient´altro?

Post scriptum. Mi era molto presente una recente dichiarazione della Rosy Bindi in favore d´una Chiesa che pensi di più a Dio e al prossimo e ne ho dato conto in una recente segnalazione giornalistica. Ma poi la Bindi ha fatto retromarcia. Ha detto «meglio un bambino che resti in Africa piuttosto che sia adottato da una coppia omosessuale».

Brutta dichiarazione da parte di chi ha meritatamente contribuito alla stesura del testo di legge sulle coppie di fatto il quale, tra l´altro, non contempla alcuna proposta di adozione da parte di coppie omosessuali.

Poiché la Bindi è donna coerente, qui la coerenza manca del tutto. Tuttavia quella sua dichiarazione è agli atti e non c´è stata alcuna smentita. Poiché la stimo e spesso la lodo pubblicamente mi permetto di reclamare una sua spiegazione.

Mi vengono in mente i «bravi» di Don Rodrigo quando imposero a Don Abbondio che quel matrimonio tra Renzo e Lucia non si doveva fare. Siamo a questo, onorevole Bindi?

Repubblica, 18 marzo 2007


Forse non dovrei rispondere ad una mente illuminata come quella di Scalfari. Del resto, chi sono io per osare dire la mia riguardo ad argomentazioni cosi' pacate, convincenti e soprattutto non offensive verso il Papa e la Chiesa?
Di fronte ad una simile teologia una come me, che non ha studiato questa materia, dovrebbe inchinarsi di fronte a cotanta esibizione di intelligenza e chiudersi nel silenzio e tacere.
Eh si', Scalfari dixit e gli altri non possono permettersi di contraddirlo. Ci ha provato De Rita, ma e' stato subito stigmatizzato perche' ritiene di essere sempre nel giusto, tentazione nella quale, ovviamente, Scalfari non cade mai (e' evidente leggendo i suoi sermoni domenicali...).
Caro Scalfari, sa perche' la Chiesa Cattolica e' l'unica fra le confessioni cristiane (e qui dovremmo distinguere fra confessione e Chiesa) ad avere un Papa che ha il potere di legare o sciogliere? Semplice! E' Gesù in persona che ha conferito a Pietro questo potere. Legga con me, caro Scalfari: "E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,13-19).
Il Papa e' successore di Pietro e, quindi, "eredita" dal Principe degli Apostoli lo stesso potere conferitogli da Cristo. Non a caso, il Papa e' proprio il Vicario di Cristo.
Vorrei, caro Scalfari, che la smettesse di considerare Benedetto XVI e Giovanni Paolo II come i grandi restauratori della tradizione ecclesiastica, perche', in questo modo, non fa un torto agli ultimi due Pontefici ma proprio a Roncalli e a Montini, che certamente non sono stati dei rivoluzionari, perche' per il cattolico "la vera rivoluzione e' la croce" (Benedetto XVI).
E qui veniamo alla teologia della liberazione. Sa perche' viene stigmatizzata dalla Chiesa? Semplice! Essa presenta un Cristo "rivoluzionario e molto umano". C'e' il rischio, quindi, che si privilegi l'aspetto puramente terreno di Gesu' a discapito di quello divino (certamente piu' importante).
E' curioso come certi intellettuali esaltino i teologi della liberazione perche' sembrano in linea con una certa idea politica e disprezzino gli altri perche' dogmatici.
Due pesi e due misure? Come al solito, caro Scalfari!
E veniamo ai Patti Lateranensi ed al Concordato che i laicisti sbandierano ogni volta che la Chiesa e il Papa si permettono di non conformarsi alla mentalitita' di questo secolo (San Paolo, Lettera ai Romani).
Caro Scalfari, il Concordato e' un compromesso fra lo Stato e la Chiesa. Ha anche una funzione risarcitoria perche', come certamente Lei sapra', lo Stato italiano si e' formato inglobando con la forza i territori del Papa (allora Pio IX).
La breccia di Porta Pia viene considerata un "bene" dalla Chiesa perche', da allora, i Papi si sono concentrati solo sulla missione pastorale e spirituale e non anche su quella temporale.
Nel 1929 si pose fine al conflitto con un compromesso.
Non mi pare che in esso ci sia scritto che il Papa e i Vescovi devono tenere la bocca chiusa, pena l'abolizione dell'accordo. C'e' forse scritta una cosa del genere (che sarebbe, fra l'altro, incostituzionale), caro Scalfari? La sfido a trovare il brano!
E, comunque, lancio una provocazione: se il Papa deve tacere, e' ragionevole o no che io chieda che si astengano dagli attacchi alla Chiesa personaggi come Pippo Baudo, Luciana Litizzetto (che domenica ha fatto un comizio e non un intervento comico), Maurizio Crozza, Gene Gnocchi e tanti altri predicatori televisivi che vorrebbero imporci un certo conformismo?

Ma ora calo il mio asso nella manica.
Caro Scalfari, le consiglio la lettura della catechesi di questa udienza generale.
Notiamo che in essa vengono denunciati il relativismo, la disgregazione del Corpo Mistico di Cristo, la tendenza a criticare e mettere in dubbio sempre e comunque il Magistero!
Che cosa c'e' di strano in questa udienza generale, caro Scalfari?
Essa e' stata concessa ai fedeli il 28 gennaio 1976 da PAPA PAOLO VI non da Benedetto XVI!!!!
Stiamo, quindi, attenti a non interpretare i due ultimi pontificati come divergenti da quelli di Roncalli e Montini.
Ratzinger ha di fronte la stessa drammatica situazione denunciata da Paolo VI. Basta con inutili confronti e interpretazioni del Concilio che nulla hanno a che fare con la realta' storica.

Mi scusi se mi sono permessa di rivolgermi a Lei, dottor Scalfari, ma ho l'abitudine di non subire passivamente cio' che leggo...
Raffaella

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6 commenti:

gemma ha detto...

Grazie Raffaella per il tuo continuo impegno contro questa distorsione mediatica da parte di presunti custodi dell’ortodossia filosofica e teologica che si servono del nome di chi non c’è più per attaccare chi ne ribadisce nel presente gli stessi concetti.
Aggiungerei che forse siamo un po’ stanchi di sentirci dire da chi in Cristo non crede come dovrebbe essere la sua Chiesa e come dovrebbe essere considerata la sua figura, come e quando si dovrebbe parlare di di Dio e come e quando no. Chi può farlo senza essere tacciato di ingerenza e chi no. Chi deve rispettare la laicità e chi può oltraggiare il Papa, la Chiesa e i suoi principi. Chi deve scusarsi e chi no. Aggiungerei che è molto meglio scatenare le nostre reazioni appassionate piuttosto che provocarci indifferenza e, in questo senso, sia Scalfari che il Papa mi paiono più complementari di quanto non credano.
Peccato che l’uno non possa rispondere alla violenza verbale dell’altro perché ad un dibattito in diretta vi assisterei volentieri. Così è soliloquio rancoroso con l’uso e abuso di volta in volta del filosofo o del teologo di turno o del Papa che, naturalmente, non c’è più.
Ma non ce lo vedo proprio Scalfari a scrivere consensi su un Papa regnante e lui stesso, probabilmente, sarebbe il primo ad annoiarsi e ad ignorare un confronto che non lo appassionerebbe certo in questo modo.

Anonimo ha detto...

Ciao Gemma, condivido il tuo pensiero e lo sottoscrivo.
Effettivamente tutti noi siamo un po' stufi di sentirci dire che Gesu' e' cosi' piuttosto che cosa', che dovremmo ragionare con la nostra testa e disinteressarci della Chiesa perche', in fondo, e' solo un centro di potere. Basta!
La Chiesa e' di Cristo, non e' un ente mondano, magari benefico, da approvare ed esaltare solo quando parla di poverta', solidarieta' e perdono. Certo! La Chiesa deve esprimersi (e si esprime) anche in questi termini, ma ha anche l'obbligo di illuminare le nostre coscienze sui temi etici e non solo su quelli sociali.
Non ti nascondo, cara Gemma, che vorrei anch'io assistere ad un bel dibattito fra Ratzinger e Scalfari. Sono sicuro che quest'ultimo ne uscirebbe diverso, sicuramente meno rancoroso.
Ciao
Raffaella

Luisa ha detto...

Come Gemma sono sempre stupita di vedere coloro che non sono credenti darci lezioni di come dovrebbe essere la Chiesa, hanno idee su tutto, sugli omosessuali, sui preti sposati, sul divorzio, sulle donne sacerdoti, sul latino e la liturgia, loro sanno meglio di chiunque ...ma non sono cattolici. Allora che si astengano, non sono semplicemente implicati. Una cosa è sempre più chiara : la fermezza e direi la superiorità intellettuale di Benedetto XVI, ne destabilizza più di uno, che come sola arma a disposizione hanno di poter riempire pagine di contro-verità, se non insulti, sapendo che il Papa non potrà rispondere, che coraggio ! Perchè immagino facilmente certi intellettuali presuntuosi diventare muti, dopo aver ascoltato il Papa che, con la sua calma proverbiale, avrebbe risposto loro punto dopo punto. Purtoppo, o per fortuna, non assisteremo mai a un tale dialogo. Continueremo dunque a subire i monologhi avvelenati di Scalfari e compagnia....anche se a dir vero....nessuno ci obbliga a leggerli !

Anonimo ha detto...

Ciao Luisa, a volte il Papa lascia riaffiorare la vis polemica tipica dei grandi teologi. Ricordo ancora le parole di un'udienza generale dello scorso anno, quando ci mise in guardia da coloro che sostengono "Gesu' si', Chiesa no" (quanto e' attuale questa frase!). Solo domenica scorsa Benedetto ha lanciato una "frecciatina" alle malevole interpretazioni dell'Esortazione Apostolica. Non a caso, le sue provocazioni non vengono mai accolte. Come si risponde a verita' cosi' cristalline?
Ciao

Luisa ha detto...

Hai ragione, Raffaella, era più che visibile che durante l`Angelus di domenica scorsa Benedetto XVI , era rattristato da certe reazioni all`Esortazione post sinodale. Ha sentito il bisogno di ridire che essa è collegata alla sua Enciclica, che è il frutto di una lunga riflessione sua e dei vescovi, e ha aggiunto che ritornerà a parlarne. Non deve essere facile per lui non potere reagire a tanta malafede e malevolenza. Mi ricordo che l`Enciclica ce l`aveva introdotta lui stesso durante un`udienza, spero che potrà presto riprendere l`Esortazione e rispondere alle critiche.

Anonimo ha detto...

Si', Luisa, spero anche io che il Papa possa spiegare direttamente il significato autentico dell'Esortazione Apostolica e anche del suo libro su Gesu' che verra' sicuramente bersagliato ed osteggiato dai mass media.
Le parole del cardinale Bertone di stasera mi fanno molto riflettere: sono sicura che il Papa e' al corrente del "linciaggio" mediatico a cui e' sottoposto. Spero che non ne soffra eccessivamente e, in ogni caso, preghiamo tutti per lui.
Ciao
Raffaella