26 marzo 2007

Ratzinger, con quel volto da fanciullo ottantenne...


Forse il titolo del post e' un po' irriverente visto che si riferisce al Sommo Pontefice, ma, leggendo le riflessioni di Vittorio Messori (che trovate di seguito), non sono proprio riuscita a resistere alla tentazione... :-))
In questa discussione vengono riportati i servizi giornalistici a commento dell'omelia che Benedetto XVI ha tenuto ieri presso la parrocchia di Fidene. Mi sembrano decisamente interessanti per gli spunti, le riflessioni e i rimandi ai libri del teologo-Papa.
Piu' tardi vorrei fare una riflessione sull'omelia di ieri per condividere con voi alcune sensazioni.

Raffaella


FEDE E STORIA

Una realtà sgradevole e misteriosa ma necessaria alla libertà dell'uomo

di VITTORIO MESSORI

«Eminenza, perché i preti nelle loro infinite omelie (più di 25.000 ogni domenica nella sola Italia) non parlano più dell'aldilà e, soprattutto, rifuggono dal pronunciare una parola che è diventata tabù: inferno?». Alla domanda, l'allora Prefetto dell'ex Sant'Uffizio, Joseph cardinal Ratzinger, mi guardò un po' ironico: «Il fatto è che oggi tutti, anche nel clero, ci crediamo talmente buoni da non poter meritare altro che il paradiso. Siamo impregnati di una cultura che, a forza di alibi e di attenuanti, vuol togliere agli uomini il senso della loro colpa, del loro peccato.
Lo osservi: tutte le ideologie della modernità sono unite da un dogma fondamentale.
E, cioè, la negazione di quella realtà che la fede lega all'inferno: il peccato».

Ben consapevole che si tratta di una realtà misteriosa e sgradevole ma non rimovibile (parola di Gesù stesso: «I malvagi se ne andranno all'eterno supplizio») Ratzinger, prima come cardinale e ora come papa, non pratica sconti sul Credo e anche di inferno ha parlato e parla, con quel suo tono didattico e zelante e quel suo volto da fanciullo ottantenne. Lo ha fatto anche ieri nella parrocchia della periferia romana, mettendo in guardia chi amasse il peccato, chi volesse chiudere le porte a Dio. Chi insomma, all'inferno proprio volesse andarci. Perché, in effetti, proprio qui sta il problema: non Dio ci condanna, siamo noi stessi a farlo, a respingere — per qualche autodistruttività enigmatica — il perdono, la salvezza, la gioia.
C'è qualcosa di sospetto nella reazione spesso violenta del «mondo», quando la Chiesa riafferma la sua convinzione dell'esistenza di un realtà che non può rimuovere, essendo su questo troppo recisa e chiara la Scrittura. Per il non credente anche, soprattutto l'inferno dovrebbe rientrare nei miti oscurantisti di una fede da respingere con uno scuotimento di spalle. E, invece, proprio qui certa cultura sembra reagire, come turbata ed inquieta, non con l'ironia ma con l'invettiva. Tanto che in quel Perché non sono cristiano, che è una sorta di summa delle ragioni del rifiuto del moderno Occidente, Bertrand Russell finì col restringersi a uno scandalo supremo, inaccettabile fra tutti: l'inferno, appunto.
Simili reazioni dimenticano che il vangelo si chiama così — «buona notizia » — perché annuncia in Gesù il perdono di Dio, la redenzione, la salvezza. Ciò che la Chiesa predica, sulla scorta di quel vangelo, è il paradiso, è l'eternità di vita, di gioia, di luce in cui il Padre attende ciascuno. L'inferno non è creazione di quel Dio di misericordia, bensì dell'uomo. Dio lo ha forgiato libero, non ha voluto degli schiavi ma dei figli, non impone la Sua presenza proprio per rispettare la loro totale autonomia. La rispetta sino in fondo: sino, dunque, alla possibilità del rifiuto, ostinato e pervicace, della proposta di alleanza e di amore; sino alla possibilità di preferire le tenebre alla luce, il male al bene. Come ha detto qualcuno, con un paradosso non infondato, «senza l'inferno, il paradiso sarebbe un lager». Sarebbe, cioè, un luogo (o, meglio, un misterioso «stato», non essendovi nell'aldilà il tempo e lo spazio), un luogo di destinazione obbligata cui nessuno potrebbe sottrarsi. La vita come una linea ferroviaria con un solo capolinea. Con l'abolizione conseguente della libertà di scegliere in tutta autonomia la propria destinazione. Foss'anche suicida.
A conferma del rispetto del mistero, la Chiesa, facendo beati e santi, impegna la sua autorità nel proclamare che un defunto è certamente in paradiso. Ma mai ha fatto, né mai farà, «canoni», cioè elenchi, di dannati. Certo, malgrado ogni spiegazione, la prospettiva di una punizione eterna, senza riscatto, ha provocato e provoca interrogativi e reazioni nella Chiesa stessa. Qualche teologo ha ipotizzato che l'inferno esista sì, ma che sia vuoto. Eppure, non a torto qualcuno gli ha replicato: «Potrebbe anche essere vuoto. Ma ciò non toglie che proprio tu ed io potremmo essere i primi ad inaugurarlo».

Corriere della sera, 26 marzo 2007

Molto bello ed interessante l'articolo di Messori, come molto approfondito e' questo brano di Accattoli:


Benedetto XVI durante la visita a una parrocchia della periferia romana riprende un tema della sua teologia

«L'inferno esiste, ma oggi se ne parla poco»

Il Papa: segna il fallimento totale di chi chiude il cuore all'amore di Dio

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — L'inferno «esiste ed è eterno» e può essere inteso come la condizione di quanti «chiudono il cuore» a Dio, realizzando così il «fallimento» della propria esistenza: l'ha detto il Papa teologo parlando ieri in una parrocchia di Roma e usando un linguaggio semplificato, si direbbe da parroco. Ma nella semplicità ha riassunto tutti i punti della sua riflessione di teologo in tale scottante materia, variamente esposta negli anni in saggi e in interviste.
Ieri Benedetto XVI era in visita a una parrocchia della periferia Nord di Roma, quella di «Santa Felicita e figli martiri». Ha commentato un episodio chiave del Vangelo di Giovanni, quello dell'adultera che Gesù salva dalla lapidazione dicendo «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra». Dall'episodio ha tirato questa «indicazione concreta»: a Gesù non interessa «discutere» con gli scribi e i farisei che gli portano l'adultera, ma il suo «obiettivo» è «salvare un'anima» per la via della misericordia.
Per questo — ha continuato il Papa — il Signore è venuto sulla terra: «È venuto per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l'inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore». Conclusione: «Anche in questo episodio comprendiamo che il vero nostro nemico è l'attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza».
Tutte le volte che nelle sue opere il teologo Ratzinger tratta dell'inferno sempre osserva che è un «articolo di fede» che la teologia moderna tende a «eliminare» perché «ostico» alla nostra «coscienza odierna». E anche ieri l'ha fatto con l'inciso che oggi di inferno «poco» si parla.
Altro elemento ratzingeriano tipico è l'affermazione che l'inferno è destinato a chi «chiude il cuore all'amore» come ha detto ieri, realizzando così un pieno «fallimento dell'esistenza».
Nel volume Introduzione al cristianesimo (Queriniana 1969), questi concetti erano così proposti, nel capitolo sulla «discesa agli inferi»: «ultima solitudine», «abisso del nostro estremo abbandono», «soltanto la chiusura in se stessi voluta di proposito è ora l'inferno».
In quello stesso volume si chiarisce che l'inferno non è un luogo ma una condizione: «Quello stato spaventoso e sinistro che il teologo chiama inferno».
Nel libro intervista Dio e il mondo (San Paolo 2001), il teologo Ratzinger invita a non «risolvere» il «simbolismo biblico» del «mondo superiore e mondo inferiore» in una «visione ingenua» e in un «fisicismo che non aiuta a cogliere l'essenziale». Dunque niente bolgie dantesche e fiamme e ghiacci. Dell'inferno come «grande mare di fuoco» parla anche il «segreto di Fatima», che a suo tempo il cardinale Ratzinger qualificò come «visione privata» esposta in un «linguaggio immaginifico e simbolico» che va «correttamente» interpretato. Liberandolo cioè dal «fisicismo».
Sempre in quel volume il teologo Ratzinger esprimeva l'auspicio che i dannati all'inferno non siano numerosi: «Speriamo siano pochi gli uomini la cui vita è stata un fallimento totale e insanabile».
L'occasione più recente in cui il cardinale Ratzinger si è occupato dell'inferno è stata la preparazione del «compendio» del Catechismo della Chiesa cattolica (2005), che ha redatto da cardinale e promulgato da papa. In esso c'è la domanda «in che cosa consiste l'inferno», seguita da questa risposta: «Consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell'inferno sta nella separazione eterna da Dio».

Corriere della sera, 26 marzo 2007


IL PAPA: SARÀ PER QUANTI CHIUDONO IL PROPRIO CUORE ALL’AMORE DI DIO

«L’attaccamento al peccato può condurci al fallimento della nostra esistenza»
Ratzinger: l’inferno esiste ed è per sempre

ROMA
Nessuno si illuda di potersela cavare senza rischi in questa come nell’altra vita, inutile e pericoloso rimuovere il problema del peccato, il silenzio non serve: «Se ne parla poco in questo tempo, ma l’Inferno esiste per quanti chiudono il proprio cuore all’amore di Dio». Anche su questo punto Papa Ratzinger non perde occasione di mettere in chiaro la dottrina della Chiesa, un po’ appannata dal facile buonismo degli ultimi decenni.
Un’affermazione dottrinale chiara e pesante, senza appello, pronunciata da Benedetto XVI nell’omelia di ieri mettina durante la messa celebrata in una parrocchia dell’estrema periferia di Roma, la «Santa Felicita e figli martiri» alla Borgata Fidene. La dannazione eterna - ha fatto capire il Papa - non consiste in uno stagno di fuoco o nei tormenti così coreografici immaginati nel corso dei secoli dalla devozione popolare e dagli stessi ecclesiastici: «Il vero nostro nemico - ha spiegato il Pontefice commentando la parabola dell’adultera - è l’attaccamento al peccato che può condurci al fallimento della nostra esistenza». «Solo il perdono divino - ha aggiunto - ci dà la forza di resistere al male e non peccare più. Dio è giustizia ed è soprattutto amore, odia il peccato ma ama ogni persona umana, ognuno di noi e il suo amore è tanto grande da non lasciarsi scoraggiare da nessun rifiuto». Secondo Papa Ratzinger, il modello da seguire è «l’atteggiamento di Gesù e a fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della vita seguendo il sentiero del Vangelo senza esitazione e senza compromessi».
Il Pontefice - che all’Angelus ha ricordato il martirio di mons. Romero, 27 anni fa in Salvador - alla Borgata Fidene era stato accolto dal vicario di Roma ed ex presidente della Cei Camillo Ruini. E subito si era rivolto sorridendo ai fedeli: «È la prima domenica di primavera anche se il tempo non è troppo bello; saluto tutti voi, il cardinale vicario ma soprattutto voi: avete questa bella chiesa parrocchiale, segno visibile che Dio abita con noi». Rispondendo alle manifestazioni di grande entusiasmo, ha sottolineato: «È sempre importante costruire la Chiesa viva e voi, con la vostra fede, con il vostro impegno, giorno per giorno costruite la chiesa viva che dà poi vita anche all’edificio». Benedetto XVI ha poi ricordato che ieri era la festa dell’Annunciazione, che, ha detto, «ci ricorda il sì di Maria che ha aperto i cieli così che Dio è diventato uno di noi, lasciamolo entrare nelle nostre vite».

Il concetto di inferno non è soltanto cristiano. È presente in un gran numero di altre culture e religioni, identificato il più delle volte con un mondo oscuro e sotterraneo dove si realizza la punizione delle colpe umane. Nella civiltà greca e in quella romana, non si parla tanto di "Inferno", quanto di "Inferi", per indicare il sotterraneo "regno dei morti". Ma è nella Bibbia ebraica che L'Inferno passa da semplice luogo "sotterraneo" a fornace ardente dove i malvagi soffrono bruciando. Il cristianesimo riprende il concetto. E Gesù dice: «Gli angeli, raccoglieranno dal Suo Regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità, e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti».

La Stampa, 26 marzo 2007


IL PAPA E LA SOCIETÀ
Il papa in una parrocchia romana evoca la figura del demonio. Gli scenari delineati nel nuovo Catechismo

"Non se ne parla ma l´Inferno c´è"
Ratzinger: pene eterne per chi pecca e non si pente

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - «L´Inferno esiste ed è eterno, anche se non ne parla quasi più nessuno». Papa Ratzinger torna a rilanciare il luogo della dannazione eterna evocato da secoli dalla tradizione cristiana, declassato, però, negli ultimi tempi ad argomento di serie b nell´immaginario collettivo del popolo dei credenti. Il posto scelto per ribadire l´attuale «pericolosità» di Satana non è la scenografica basilica di San Pietro, ma una anonima parrocchia della periferia romana - la chiesa di Santa Felicita e Figli Martiri della borgata di Fidene - visitata ieri mattina da Benedetto XVI nella sua veste di vescovo di Roma. Nell´omelia, come un vecchio parroco, il pontefice tiene una ferma lezione di teologia partendo dal significato del «perdono cristiano così come ci è stato insegnato nel Vangelo attraverso la parabola dell´adultera», la donna salvata dalla lapidazione dalla famosa frase «chi è senza peccato scagli la prima pietra» rivolta da Gesù ai suoi accusatori. Uno dei più noti episodi evangelici dal quale il Papa parte per mettere in guardia i cattolici dalle «insidie» del demonio «se non si pentiranno dei peccati e non chiederanno il perdono divino».
«La fede cristiana - è il ragionamento di Ratzinger - è un annuncio, una offerta all´uomo, mai una imposizione». Ogni persona - «se vuole», sottolinea il Pontefice - può «accettarla spontaneamente» con «tutta la sua carica salvifica che ci viene da Dio, il nostro Padre misericordioso che è sempre pronto ad aiutarci, ad accoglierci, anche quando sbagliamo». «Perdono e salvezza divina» intesi, quindi, come «doni» che ogni uomo nel corso della sua vita ha la possibilità di accettare, a patto che - avverte Ratzinger - «ammetta le sue colpe e prometta di non peccare più». E quanti continuano a peccare senza mostrare nessuna forma di pentimento? Per questi - rammenta Benedetto XVI - la prospettiva è la dannazione eterna, l´Inferno, perché «l´attaccamento al peccato può condurci al fallimento della nostra esistenza». Tragico destino che spetta a chi «vive nel peccato senza invocare Dio» perché - è la spiegazione del Papa - «solo il perdono divino ci dà la forza di resistere al male e non peccare più». Ecco perché Benedetto XVI ricorda, a conclusione dell´omelia nella parrocchia periferica romana, che «Gesù è venuto per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l´Inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore».
Si tratta - in sostanza - degli stessi scenari previsti nel Compendio del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica alla voce Inferno firmato da Ratzinger poco tempo dopo la sua elezione pontificia. L´Inferno - vi si legge tra l´altro - «consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale» e «la pena principale dell´Inferno sta nella separazione eterna da Dio». Su questo insegnamento si è sempre mosso il teologo Joseph Ratzinger, sia da vescovo che da cardinale. In perfetta sintonia con papa Wojtyla, che durante il suo lungo pontificato in più occasioni ha invitato i cattolici «a pregare Dio perché nessuno sia o vada all´Inferno», spiegando che al luogo della dannazione eterna sono destinati coloro i quali «usano male la libertà offerta loro da Dio». Ma uno dei più grandi teologi del secolo scorso, Urs Hans von Balthasar, ha teorizzato che «l´Inferno c´è, ma potrebbe anche essere vuoto» perché «la misericordia di Dio è infinita come il suo perdono».

Repubblica, 26 marzo 2007


"Ci finisce chi rifiuta Dio"
Il Papa "L´Inferno esiste ed è eterno"

AUGUSTO PARAVICINI BAGLIANI

IL papa ha ragione. Nella cultura contemporanea, anche cristiana, l´inferno sembra essersi fatto da parte. Eppure la sua esistenza accompagna il Cristianesimo fin dalla sua nascita, con un´evoluzione che non è però affatto lineare. La concezione cristiana dell´Inferno affonda le sue radici nelle antiche civiltà (Egitto, Mesopotamia, Grecia ecc.). Per i Greci il tenebroso Hades, confuso con il sinistro Tartaro, aveva il compito di accogliere tutti gli iniqui. I concetti ebraici di Geenna e Sheol crearono un luogo sotterraneo di tormento, dimora del Diavolo e dei suoi demoni.
L´inferno è già presente nel Nuovo Testamento. Il Vangelo di Matteo (25, 41) menziona «il fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli», ed anche l´Apocalisse (19,20) parla dello «stagno di fuoco, ardente di zolfo».
Ma la credenza all´inferno pose questioni importanti. Le pene erano corporali ed eterne? Su questi aspetti, i Padri della Chiesa non la pensavano allo stesso modo. Per sant´ Ambrogio e san Girolamo (IV secolo), le pene erano di natura spirituale e i cristiani erano salvati dalla virtù del loro battesimo. Agostino dedicò però un intero libro della "Città di Dio" per rifiutare l´idea di un ritorno finale di tutte le creature a Dio e diede così un impulso decisivo alla dottrina della eternità e della corporeità delle pene.
Dal XII secolo in poi, la minaccia della dannazione eterna è sempre più presente nella predicazione e nella pastorale, a tal punto che si è parlato di un "cristianesimo della paura" (J. Delumeau). E´ il periodo in cui nasce anche una vera e propria iconografia dell´inferno. Al nord delle Alpi, l´inferno viene rappresentato come Leviatano, il mostro che divora i dannati. In Italia si impone la rappresentazione dell´inferno come zona di fuoco dove i dannati bruciano intorno a Satana seduto in trono. Dal Trecento in poi (Camposanto di Pisa) i supplizi aumentano sempre di più e si accentua la corrispondenza fra la natura della pena e il genere di peccato: i golosi vengono raffigurati davanti ad una tavola imbandita senza avere la possibilità di mangiare, gli avari vengono ingozzati d´oro, i lussuriosi uniti in un abbraccio eterno. Come nell´Inferno di Dante…
Il XII secolo introduce un´altra grande novità, il purgatorio come luogo geografico. L´idea di un purgatorio è presente nel cristianesimo antico, ma veniva definito con un aggettivo, il "fuoco purgatorio". Intorno al 1100, l´aggettivo si trasforma in sostantivo. Si tratta di una "rivoluzione spirituale" (J. Le Goff). Il purgatorio come luogo spezza il vecchio mondo bipolare dell´alto Medio Evo, e l´aldilà si arricchisce di un luogo che corrisponde ad uno strumento di salvezza. Preghiere e suffragi possono accorciare le pene, per i peccati veniali e per i peccati confessati per i quali la penitenza non è avvenuta.
Le storie dell´inferno e del purgatorio sono inscindibili, anche per quanto riguarda il declino che questi due luoghi della geografia cristiana dell´aldilà hanno subìto da un secolo, in coincidenza con l´affievolimento dell´idea di peccato e della credenza al demonio. Il declino riflette la progressiva scristianizzazione della cultura contemporanea. Ma vi contribuirono anche gli avvenimenti bellici del Novecento: i milioni di morti della prima guerra mondiale hanno preso il posto delle anime del Purgatorio, e gli orrori del nazismo hanno portato l´inferno sulla terra. «L´enfer c´est les autres», dirà Sartre verso la fine del 1943, perchè ogni uomo può essere il giustiziere di un altro uomo e condannarlo, per così dire, a morte…

Repubblica, 26 marzo 2007


Il Papa: «Non peccate troppo l’inferno esiste ed è eterno»

di Andrea Tornielli

L’inferno, «del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno». Lo ha detto Benedetto XVI ieri mattina durante l’omelia della messa che ha celebrato nella parrocchia romana di Santa Felicita e Figli martiri, al quartiere Fidene. Il Vangelo del giorno racconta l’episodio dell’adultera, salvata dalla lapidazione dalle parole di Gesù, il quale si era rivolto agli accusatori della donna dicendo loro «Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra». Dopo la silenziosa fuga della folla di uomini pronti a lapidare la peccatrice, Cristo aveva detto alla donna: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Il Papa ha citato in proposito le parole di Sant’Agostino: «Il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse tollerato il peccato avrebbe detto: “Neppure io ti condanno, va’, vivi come vuoi... per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza”. Ma non disse così».
Benedetto XVI ha quindi spiegato che l’obiettivo di Gesù non è una disputa teorica sulla legge ma la salvezza di un’anima: «Per questo è venuto sulla terra, per questo morirà in croce ed il Padre lo risusciterà il terzo giorno. È venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. Anche in questo episodio, dunque, comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza».
All’Angelus, il Papa ha parlato dei martiri che «vengono uccisi a causa del Vangelo» e ha ricordato «che ieri, 24 marzo, anniversario dell’assassinio di monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, si è celebrata la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri: vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici stroncati nel compimento della loro missione di evangelizzazione e promozione umana». Essi, i missionari martiri, «sono speranza per il mondo, perché testimoniano che l’amore di Cristo è più forte della violenza e dell’odio».

Il Giornale, marzo 2007


L’abbraccio di Fidene al Papa

La visita di Benedetto XVI alla parrocchia di Santa Felicita e Figli martiri, nel settore Nord della diocesi di Roma

di Graziella Melina

25 marzo. È domenica mattina, non sono ancora neanche le otto, eppure davanti alla parrocchia di Santa Felicita e Figli Martiri, a Fidene, c'è già una gran folla. Nella chiesa, ormai affollata, non c'è più spazio per nessuno. Fuori, sul sagrato, c'è chi cerca di avvicinarsi il più possibile alle transenne. Che provano a contenere il flusso della gente che continua ad arrivare. Davanti a tutti, c’è pure un gruppo di bambini di Montecchio (Reggio Emilia). In gita a Roma per qualche giorno, si sono svegliati prestissimo pur di essere lì alla buon’ora. Anche loro aspettano a lungo con entusiasmo. Ed ecco premiata la loro attesa: poco prima delle 9 e mezza, papa Benedetto XVI arriva a Fidene, per visitare la parrocchia, affidata ai padri vocazionisti.

Ad accoglierlo, tra gli applausi della gente, il cardinale vicario Camillo Ruini, monsignor Enzo Dieci, vescovo ausiliare di settore, il superiore dei vocazionisti, padre Ludovico Caputo, e il parroco don Eusebio Mosca. Dopo aver salutato e ringraziato tutti quelli che «offrono il loro contributo alle molteplici attività della parrocchia», formata da «persone che provengono da tanti Paesi del mondo», Benedetto XVI ha spiegato ai fedeli: «Qui come altrove non mancano situazioni di disagio». Ma «l'amore di Dio abbraccia in modo concreto tutti senza distinzione di razza e cultura». Ha poi ricordato la missione di ogni parrocchia, «che è chiamata a diffondere il Vangelo». «L'amore di Dio ci trasforma - ha proseguito - e ci rende capaci di seguirlo fedelmente», «ci libera dal peccato e dalla radice di ogni male». E ancora: «l'attaccamento al peccato - ha detto - può condurci al fallimento della nostra esistenza». Di qui l'incoraggiamento a «seguire il Vangelo senza esitazione».

Alla fine della messa Benedetto XVI ha incontrato un gruppo di fedeli della comunità parrocchiale. Con loro, in particolare, si è soffermato sul ruolo del laicato adulto nella costruzione della parrocchia e nella formazione della società di oggi. «Una società nella quale la coscienza cristiana non vive più - ha detto loro -, perde la direzione, non sa più dove andare, finisce nel vuoto, fallisce. Solo se la coscienza viva della fede - ha proseguito - illumina i nostri cuori, possiamo costruire una società giusta».

Il parroco a nome di tutta la comunità ha ringraziato il Papa, per «il dono della Sua presenza». «Noi seguiamo con attenzione quanto Lei va ribadendo con costanza e fermezza in questi giorni circa il supremo valore dell'unità e santità della famiglia - ha detto don Eusebio salutando il Pontefice -, soprattutto in vista dei beni dei figli. La società ha bisogno di una gioventù sana e protesa alla conquista dei valori della vita - ha aggiunto -. E perciò ci stiamo impegnando con maggior entusiasmo a seguire le Sue direttive con varie iniziative in questo settore».

«È stato un bellissimo evento. Speriamo che porti in tutti un rinnovamento nella fede e nell'entusiasmo», ha commentato, alla fine della celebrazione, Annamaria, da 20 anni catechista. «È stata un'esperienza molto bella - racconta poi Anna, anche lei catechista -. Avvicina la gente alla vita della Chiesa». Per Fabio, del coro parrocchiale, la visita del papa è stata senz’altro «un grandissimo dono per la comunità». Tanta la commozione, anche tra i giovani. «È la prima volta che vedo il Papa - ammette Valerio -. È stato emozionante». E Paola poi aggiunge «anni fa speravamo che venisse Giovanni Paolo II. Oggi per la parrocchia e per tutta la comunità è stato un grande evento». «Quando è venuto Paolo VI ero giovane, appena sposato - racconta poi Vincenzo -, non ce l'aspettavamo questa visita. È stata un'emozione grandissima: a 70 anni non speravo più di vedere di nuovo il Papa a Fidene».

Roma sette, 26 marzo 2007

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