8 dicembre 2007

Prof. Raynaud (Sorbona): "la Spe salvi è una combinazione di vero pensiero e di vera fede. Rende intelleggibile il Cristianesimo ai non credenti


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Grazie a Elena possiamo leggere questo interessantissimo commento alla "Spe salvi" del professor Raynaud, Preside della facoltà di Scienze Politiche alla Sorbona di Parigi.
E' mai possibile che solo "Il Foglio" ci permetta di edificare la nostra mente? I giornaloni sono in ferie? Strano! L'8 dicembre e' una Festività Cattolica. Per coerenza dovrebbero essere tutti al lavoro
:-)
Raffaella

UN GRANDE PROFESSORE DELLA SORBONA LEGGE LA “SPE SALVI ”

L’agnostico Raynaud sorpreso dalla possibilità della speranza

“QUESTA ENCICLICA È UNA COMBINAZIONE DI VERO PENSIERO E DI VERA FEDE. RENDE INTELLEGIBILE IL CRISTIANESIMO”

Marina Valensise

Anche Philippe Raynaud, in quel deserto degli atei che è la Francia di oggi, saluta la Spe Salvi. “E’ una buona lettura, scritta da un collega di buon livello” dice il preside della facoltà di Scienze Politiche alla Sorbona, specialista di Hume, Weber e Nietzsche e il razionalismo filosofico moderno.

“Certamente un testo interessante”, aggiunge senza scomporsi. La dimensione escatologica della speranza, di cui parla l’enciclica di Ratzinger, infatti, non interessa solo i cristiani: “E’ impressionante – dice Raynaud – perché c’è una combinazione di vero pensiero e vera fede, cosa non molto frequente e per nulla banale. E’ un testo molto denso e anche leggibile da lettori privi di una cultura teologica profonda.

L’aspetto interessante credo stia proprio nel modo in cui il Papa pone lo specifico della speranza cristiana rispetto alla fede, attraverso una distinzione chiara tra le virtù teologali e una rappresentazione oggettiva e non individualistica della concezione cattolica, fortemente comunitaria”.
Abituato all’esegesi, Raynaud vi ha trovato anche una piccola polemica coi protestanti, “presentata in modo molto elegante”.
Parlando della fede, “hypostasis delle cose che si sperano, prova delle cose che non si vedono”, il Papa discute l’interpretazione di Lutero, che intese il termine nel senso soggettivo, come espressione di un atteggiamento interiore, e giudica “insostenibile” la traduzione ecumenica approvata dai vescovi tedeschi, per rettificare il vero senso: “La fede non è solo un personale protendersi verso le cose che devono venire, essa ci dà qualcosa della realtà attesa, e questa realtà costituisce per noi una prova delle cose che ancora non si vedono”. “L’idea che la fede non sia semplicemente una credenza iperbolica, ma sia portatrice di una traformazione sostanziale è interessante” osserva Raynaud.

“C’è un aspetto sociale e politico molto chiaro, e pure la discussione di Marx non è male, anche se resta un po’ nei canoni abituali del discorso cattolico, con l’idea, per me non tanto convincente, che il problema del marxismo sia il materialismo.
Ratzinger insomma concede troppo a Marx ma non gli rende giustizia. Ripropone in fondo quella certa tendenza cattolica che fa come se nella modernità, dall’illuminismo al marxismo, ci fosse un’unità fondamentale nell’orientamento anticristiano, sia cosciente, sia cosciente e deliberato”.
Dunque il professor Ratzinger, secondo il professor Raynaud, procederebbe come se all’interno del pensiero non cristiano fosse logico e inevitabile andare dalla critica della giustizia sociale al marxismo, mentre la cosa non è affatto evidente. “Si può essere riformisti e socialdemocratici – spiega Raynaud – senza essere marxisti, anche se forse lo scopo di un’enciclica non è la conoscenza, ma l’edificazione dei fedeli”.
Poi c’è l’insistenza sulla dimensione comunitaria della speranza cristiana. “Da un lato si riconosce che il dogma dell’inferno è uno scandalo per lo spirito moderno, dall’altro si insiste sul fatto che l’amore di Dio non può annullare la giustizia di Dio e viceversa.

La trovo una rappresentazione sottile e intelligente del mondo cattolico, quanto di meglio si possa offrire per superare la tendenza contemporanea a lasciar stare la questione della salvezza, e la pedagogia della paura che la chiesa ha praticato per decenni, visto che oggi nessuno teme più di andare all’inferno se si comporta male”.

Raynaud non solo è un non credente, ma pensa persino di essere l’uomo più agnostico del mondo.

Eppure, anche lui ammette: “Leggendo questa enciclica capisco che lo si sia. C’è qualcosa di forte che rende il cristianesimo intellegibile anche ai non credenti, con buona disposizione”. E poi ci sono gli scritti di Kant. “Li avevo dimenticati, e il Papa citandoli mi ha davvero sorpreso.

Da razionalista pure io tendo a pensare che la religione universale, se esistesse, andrebbe certamente al di là dell’organizzazione ecclesiale, ma resto convinto che la modernità
superando la religione, anziché portarla a compimento, si lancerebbe in una sorta di negazione violenta e nichilista”. Da laico allora come rispondere alla lezione di Ratzinger? “Esistono almeno due tradizioni di pensiero laico, una atea, per la quale la nozione religiosa della speranza è un’illusione da cui disfarsi, e la missione più nobile dell’uomo è trovare la via verso una moralità dopo che si è rinunciato alla fede nella vita eterna. L’altra considera che la speranza, se esiste, non ha la densità sostanziale che la fede cattolica le riconosce, perché l’unica cosa che un laico non credente può sperare, è che le cose si sistemino da sole.
Il discorso di Ratzinger è teologico, non dimostrativo, non soggioga tutti gli argomenti, ma ha l’effetto di rendere i credenti più intellegibili ai non credenti”.

© Copyright Il Foglio, 7 dicembre 2007

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