8 dicembre 2007

"Gesù di Nazaret", Card. Ruini: "il Papa porta a Cristo l’uomo di oggi" (Avvenire)


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Ruini: il Papa porta a Cristo l’uomo di oggi

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Il Gesù di Nazaret «non è soltanto un tentativo di mostrare l’identità del Cristo della fede con il Ge­sù della storia».

Il libro di Joseph Rat­zinger- Benedetto XVI, infatti, «è an­che, e non meno, un grande ap­profondimento del significato teolo­gico di Gesù, o più semplicemente del suo significato per la nostra fede, secondo due direttrici: quella della valorizzazione delle ricchezze spiri­tuali della sua figura e del suo mes­saggio, alla luce del Nuovo Testa­mento letto insieme all’Antico e di tutta la grande tradizione cristiana, e quella dell’attualizzazione del messaggio di Gesù in rapporto alla pre­sente situazione storica, con i suoi in­terrogativi e le sue istanze».

Così ieri il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, ha proposto al clero del­la diocesi la propria riflessione su Ge­sù di Nazaret: realtà storica e potenza salvifica. Un approccio teologico al libro di Benedetto XVI.
Parlando nel­l’aula Magna della Pontificia Univer­sità Lateranense, il cardinale ha sotto­lineato in particolare come Ratzinger valorizzi, nel percorso che propone al­la scoperta di che cosa Gesù sia per noi, «le ricchezze spirituali della figu­ra e del messaggio di Gesù e la loro at­tualizzazione in rapporto alla presen­te situazione storica».
«È bene cominciare – ha detto in pro­posito – dalla 'grande domanda' che ricorre più volte nel libro: che cosa Ge­sù ha portato veramente nel mondo, se non ha portato la pace, il benesse­re per tutti, un mondo migliore? La ri­sposta è molto semplice: Dio, Gesù 'ha portato Dio', quel Dio che le genti a­vevano intravisto sotto molteplici om­bre...
In Gesù, attraverso la Chiesa fa­miglia dei suoi discepoli, questo Dio fa conoscere il suo volto ad ogni uomo, e proprio così ci indica la strada che co­me uomini dobbiamo prendere in questo mondo».
La seconda attualizzazione riguarda l’amore del prossimo. Un amore già radicato nell’Antico Testamento, cer­to, ma «con la parabola del buon sa­maritano egli ci mostra però che non si tratta di stabilire chi sia o non sia il mio prossimo: si tratta invece di me stesso, io devo diventare prossimo, co­sì l’altro conta per me come me stes­so ».
«L’attualità della parabola – ha os­servato Ruini – è ovvia. Se l’applichia­mo alle dimensioni della società glo­balizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell’Africa – e non solo dell’Africa – ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vi­cenda storica, con il nostro stile di vi­ta, abbiamo contribuito e tuttora con­tribuiamo a spogliarle e perché, inve­ce di dare loro Dio, il Dio vicino a noi in Gesù Cristo, abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio».
Una terza attualizzazione del messag­gio di Gesù prende infine spunto dal­la critica di quanti sostengono che nes­sun ordine sociale potrebbe essere fondato sul Discorso della montagna. Tuttavia «la mancanza di concreti or­dinamenti sociali nell’annuncio di Ge­sù racchiude un processo che riguar­da la storia universale, e che ha avuto luogo soltanto in ambito culturale cri­stiano: gli ordinamenti politici e so­ciali concreti vengono liberati dal­l’immediata sacralità – da una legisla­zione basata direttamente sul diritto divino – e affidati alla libertà dell’uo­mo che, attraverso Gesù, è radicata nella volontà del Padre e partendo da lui impara a discernere il giusto e il be­ne ». «Questo fondamentale processo – ha spiegato il cardinale – è stato compreso in tutta la sua portata solo nell’età moderna, ma poi è stato subi­to interpretato unilateralmente e fal­sato. La libertà dell’uomo, infatti, è sta­ta interamente sottratta allo sguardo di Dio e alla comunione con Gesù. La li­bertà per l’universalità, e quindi la giu­sta laicità dello Stato, si è trasformata in qualcosa di assolutamente profano, in 'laicismo', per il quale l’oblio di Dio e l’esclusivo orientamento verso il suc­cesso sembrano diventati elementi co­stitutivi. Ma così – ha concluso – la ra­gione dell’uomo perde il suo punto di riferimento, corre sempre il pericolo dell’offuscamento e della cecità».

© Copyright Avvenire, 7 dicembre 2007

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