7 dicembre 2007
"Spe salvi": Lucetta Scaraffia (Avvenire) risponde a Luisa Muraro (Il Manifesto)
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Grazie alla segnalazione di Eufemia possiamo leggere questo editoriale di "Avvenire" in cui Lucetta Scaraffia risponde all'articolo di Luisa Muraro per "Il Manifesto":
EDITORIALE
ENCICLICA, IL CORTOCIRCUITO DEI LAICI
LUCETTA SCARAFFIA
«Nella logica di questo mondo così come funziona di suo, la verità non dà titoli di credito a chi la dice»: con queste parole Luisa Muraro, in un articolo apparso ieri su «Il Manifesto», in un certo senso limita drasticamente la portata e l’interesse dell’ultima enciclica di Benedetto XVI, se pure al termine di una disamina interessante e portatrice di spunti interessanti. Che certo non si può definire antipatizzante in modo pregiudiziale. Con questa frase, però, con la quale la filosofa spiega la cattiva comprensione dell’enciclica ad opera di molti giornalisti, ella ne svuota in profondo l’autorevolezza, e quindi l’opportunità.
E in fondo il senso stesso dell’esistenza della Chiesa e del papa, che è quello di testimoniare e di trasmettere la verità nel tempo e nella storia, anche – se non soprattutto – attraverso le encicliche.
Anche se, poche righe prima, il suo commento è fitto di riconoscimenti alla forza di pensiero del papa e alla sua lucidità nel descrivere la condizione dell’essere umano contemporaneo, rimane il rifiuto del suo diritto a proporsi come maestro in campo umano e spirituale: se il papa viene liquidato come «uno che pretende di parlare di Dio credendo di sapere quello che dice, che pretende di avere la verità in tasca» non ci rimane che un orizzonte piatto di nichilismo. Ma poi tanto condivide le tesi di Benedetto XVI da vederne le radici nel pensiero femminista che lei rappresenta: sia per quanto riguarda «la separazione fra la
ricerca personale della salvezza e quella politica» – che il papa in realtà definisce come comunitaria – che per l’attenzione alla dimensione simbolica dell’agire politico.
Per questo lamenta però che il papa non faccia riferimento al «sapere delle donne» e a quella «pratica dell’autocoscienza, pratica di parola in relazione che trasforma il rapporto che abbiamo con il mondo, e perciò il mondo stesso». In questa paradossale critica della Muraro manca la consapevolezza di due dimensioni fondamentali del femminismo: la prima è che l’idea di partire da se stessi per cambiare il mondo è un’idea che, molto prima del femminismo, hanno diffuso e praticato i cristiani, come del resto scrive lei stessa, quando dice che il vangelo e san
Paolo «hanno cambiato il mondo agendo dall’interno dell’essere umano».
Non sarà per caso il contrario, e cioè che una parte del movimento femminista, quella che lei rappresenta, ripropone questa antica pratica rivoluzionaria senza rivendicarne le fonti originarie? E dimenticando che l’emancipazione delle donne nasce e si afferma solo all’interno delle società cristiane? Luisa Muraro tende poi a identificare il pensiero delle donne con il suo, e a dimenticare che nelle società contemporanee invece il femminismo ha preso delle forme molto diverse da quelle da lei proposte: prevale cio la dimensione individuale su quella comunitraria, e soprattutto i cambiamenti sociali si muovono nel senso di cancellare quella specificità femminile capace di amore disinteressato e di cura che Benedetto XVI indica come condizione base per tutti perché sia mantenuta in vita la speranza.
© Copyright Avvenire, 7 dicembre 2007
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