22 gennaio 2008

IL PATRIARCA ALESSIO II A 30GIORNI: "BENEDETTO XVI MEDIATORE TRA PLURISECOLARISMO E ESIGENZE ODIERNE"


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«La tua risurrezione, o Cristo, ci ha salvato»

30Giorni ha incontrato a Mosca il patriarca Alessio II. I suoi primi passi nella fede e nella vita sacerdotale, la rinascita della Chiesa ortodossa russa dopo l’epoca sovietica, l’amicizia con il presidente Vladimir V. Putin e i rapporti con la Chiesa cattolica

Intervista con il patriarca Alessio II di Giovanni Cubeddu e Fabio Pet

Alessio II, al secolo Alexei Michailovich Ridiger, nato a Tallinn, in Estonia, nel 1929, è salito al trono patriarcale di Mosca il 10 giugno del 1990, tre giorni dopo la sua elezione. All’epoca esisteva ancora l’Unione Sovietica, e quello che è accaduto in seguito lo sappiamo tutti. Ma il presente sta restituendo alla Russia il senso della propria dignità e un ruolo forte da spendere nella comunità internazionale. Ciò si rispecchia limpidamente nelle parole che il patriarca Alessio II ci ha rivolto. A ogni passaggio importante, inoltre, il Patriarca non ha mai mancato di ricordare a 30Giorni l’armonia oggi vigente in Russia tra Chiesa e Stato, ringraziandone cordialmente il presidente Vladimir Vladimirovich Putin.
30Giorni ha incontrato Alessio II nel piccolo monastero della Misericordia delle Sante Marta e Maria, un antico ostello dei poveri a due passi dal Cremlino, il giorno seguente una sua visita alla lavra della Santa Trinità e di San Sergio di Radonezh, l’antico monastero splendido cuore spirituale della Chiesa ortodossa russa.
Queste sono le risposte che Alessio II ci ha consegnato, in un’intervista esclusiva a 30Giorni, realizzata in collaborazione con il World Public Forum di Mosca, che sinceramente ringraziamo.

Santità, il Signore ha chiesto ai suoi di essere una cosa sola. A che punto siamo, secondo lei, nel cammino storico verso questa unità, dopo che a Ravenna si è tenuta la nuova sessione del dialogo tra Chiesa cattolica e Ortodossia?

ALESSIO II: Indubbiamente il comandamento del Signore «che tutti siano uno» (Gv 17, 21) rimane attuale anche per noi. Tuttavia, non bisogna dimenticare che ogni divisione nell’ambito ecclesiale è frutto della volontà umana peccatrice, mentre l’unità è dono dello Spirito Santo. Come mostra l’esperienza della vita, il processo di ricostruzione dell’unità richiede tempi lunghi e un impegno serio, e ciò vale anche per coloro che condividono la stessa fede, come nel caso della Chiesa ortodossa russa all’estero, riunitasi con noi dopo oltre ottant’anni di separazione. Nel caso cui facevate riferimento, si tratta poi di una divisione millenaria…

La testimonianza viva dei padri della Chiesa unisce Mosca e Roma. Quanto e come la Tradizione, che è nel cuore di Mosca quanto in quello di Roma, può oggi incontrare la modernità?

ALESSIO II: Sono profondamente convinto che la fedeltà all’antica tradizione apostolica e all’eredità patristica possa diventare il fondamento della collaborazione tra la Chiesa romano-cattolica e quella ortodossa nella loro testimonianza dei valori del Vangelo di fronte al mondo contemporaneo. Che ciò sia necessario è evidente, in quanto la cultura del relativismo morale imposta alla società, il consumismo, la tendenza irrefrenabile al benessere e ai piaceri non sono in grado di accontentare la sete spirituale che è sempre presente nell’uomo. Purtroppo, una perversa rincorsa a un tale sistema di valori “avanzato” si manifesta sempre più spesso anche in alcune confessioni cristiane. Per questo la Chiesa ortodossa e quella cattolica, avendo radici comuni nel cristianesimo apostolico, dovrebbero unire le forze in una sequela senza compromessi dei comandamenti di Cristo, e non, invece, adattarsi continuamente al mondo secolare che è in continuo mutamento.

Incontrando lo scorso agosto il cardinale Etchegaray, lei ha enumerato le numerose iniziative che oramai cattolici e ortodossi da tempo intraprendono insieme in Russia. Quanto questo ecumenismo pratico, “dal basso”, aiuta le Chiese sorelle a volersi più bene e quanto aiuta anche chi la Chiesa non la conosce affatto?

ALESSIO II: Ritengo che i contatti personali e le iniziative comuni dei rappresentanti delle nostre Chiese significhino molto per la costruzione di un dialogo autentico e ampio, che non si rinchiuda soltanto nell’ambito ufficiale. Noi tendiamo in ogni modo allo sviluppo dei contatti più vari con la Chiesa cattolica. Per ora devo constatare che il dialogo “dal basso” si sviluppa più attivamente tra noi e i cattolici che vivono all’estero. A questo concorrono in buona parte gli scambi di pellegrini e i progetti culturali ed editoriali comuni. Noi apprezziamo moltissimo l’enorme ruolo che la Chiesa cattolica riveste nel mondo occidentale.
La natura dei contatti ortodosso-cattolici in Russia è un po’ diversa. Qui i cattolici rappresentano una ridottissima minoranza, in buona parte composta da stranieri, soprattutto tra il clero. La Chiesa ortodossa russa, alla quale appartiene la stragrande maggioranza della popolazione, è attentissima a rispettare il diritto dei cattolici a una propria vita ecclesiastica in Russia, e per questo tende alla costruzione di relazioni cordiali e di mutuo rispetto con la comunità cattolica russa. In questo senso il dialogo “dal basso” è semplicemente insostituibile. E se c’è da entrambe le parti questa volontà, allora un tale dialogo deve aiutare a eliminare nei nostri rapporti le tracce delle passate incomprensioni e a evitarne di nuove.

Santità, suo padre Michail la accompagnava, quando lei era piccolo, al monastero di Valaam, sul lago Ladoga. Che cosa rappresentavano quei viaggi ai suoi occhi di bambino? Può metterci a parte di qualche suo bel ricordo d’infanzia? E che cosa ricorda del suo padre spirituale, che fu poi vescovo di Tallinn, padre Ioann Bogojavlenskij?

ALESSIO II: Alla fine degli anni Trenta, insieme ai miei genitori, mi sono recato due volte nel monastero della Trasfigurazione di Valaam, sul lago Ladoga. Un’esperienza che ha inciso molto sulla mia vita spirituale. Questi viaggi, come anche la frequentazione del monastero femminile della Dormizione di Pjuchtitsa e del monastero maschile della Dormizione delle Grotte di Pskov, hanno lasciato in me un’enorme impressione. Nella mia anima di fanciullo è rimasta una traccia indelebile degli incontri con i monaci di Valaam, uomini dalla fede viva, che visibilmente testimoniavano l’ascesi e che conservavano le tradizioni del monachesimo russo. Io sono grato a Dio per questi incontri, il ricordo dei quali riscalda il mio cuore lungo tutto il corso della mia vita.
I momenti legati all’inizio del mio servizio ecclesiale sono i ricordi più luminosi della mia infanzia. Non posso dimenticare che il mio primo compito in chiesa fu la distribuzione ai parrocchiani dell’acqua benedetta nella festa del Battesimo del Signore. Avevo sei anni. Ancora adesso ricordo la processione pasquale, quando con voce di bambino rispondevo ai cantori: «La tua risurrezione, o Cristo, ci ha salvato…».
Ho trascorso la mia giovinezza preparandomi a servire Dio nella dignità sacerdotale. Questo desiderio era sorto dentro di me fin dall’infanzia. Avevo davanti a me i numerosi esempi di servizio generoso a Dio e alla Chiesa dei monaci di Valaam, dei miei genitori, del mio padre spirituale, e nacque in me la stabile decisione di seguire questo esempio. Sulla strada scelta fui sostenuto dal mio padre spirituale, il protoierej [protosacerdote, carica onorifica ecclesiastica ortodossa, corrispondente al monsignore occidentale, ndr] Ioann Bogojavlenskij, in seguito primo rettore della rinata Accademia Teologica di Leningrado. Ricordo con gratitudine il suo zelante ministero pastorale e proprio il fuoco della sua fede ardente nel Signore accese la mia anima. Al protoierej Ioann sono legato da molte cose. Insegnava il catechismo nella scuola russa dove studiavo. Padre Ioann era parroco della chiesa di Sant’Aleksandr Nevskij a Tallinn, e proprio attorno a questa chiesa si riuniva la comunità russa. Sotto la guida di padre Ioann servivo in chiesa come ministrante, e dopo la sua consacrazione episcopale sono stato il suo primo suddiacono. Conservo ancora oggi un grande ricordo di questo uomo straordinario, a cui Dio aveva dato il dono della carità pastorale.

Quando lei divenne patriarca, nel 1990, l’Urss esisteva ancora. Oggi non c’è più. Come apparivano ai suoi occhi la Russia e la Chiesa allora, e come invece le appaiono oggi?

ALESSIO II: La scomparsa dell’Unione Sovietica ha aperto una nuova era nella vita della Chiesa. Fino ad allora, la gerarchia e il laicato si preoccupavano prevalentemente di evitare il definitivo allontanamento del nostro popolo dalla Chiesa e la totale distruzione della stessa Chiesa. L’epoca sovietica per noi è stata un periodo di lotta per la sopravvivenza. Comunque l’Urss non è stata una specie di “impero del male”. Con il sacrificio del lavoro dei suoi cittadini, l’Unione Sovietica ha raggiunto grandi risultati in alcuni ambiti dell’economia popolare e della costruzione della società. Inoltre il nostro Paese ha giocato un ruolo importante nella politica mondiale. Tuttavia, l’inevitabilità del collasso di questo regime è apparsa chiara fin dal momento della sua nascita, poiché al suo fondamento stava il desiderio di costruire il “paradiso” sulla terra, contro la volontà di Dio.
Diventando patriarca al tempo sovietico, durante la perestrojka, mi fu chiaro che il futuro del nostro popolo sarebbe stato impossibile senza l’Ortodossia, la quale non può essere limitata artificiosamente nei confini ecclesiastici o tra le pareti dei musei, ma determina la vita della persona, del popolo e dello Stato. Ciò con il sistema allora esistente era impossibile. Per questo ci siamo schierati in favore di riforme che portassero a un naturale rifiuto del dominio di un’ideologia funesta fin dalle sue stesse fondamenta. Ma il radicalismo antisovietico, incapace di distinguere il cattivo dal buono, ha provocato la distruzione insensata dello Stato, e insieme a questo anche sofferenze inutili al nostro popolo.
E ciò che credevo ieri lo credo anche oggi. Sono altrettanto convinto che senza l’Ortodossia sia impensabile il benessere del nostro popolo e la sua futura crescita. Nel periodo postsovietico la vita ecclesiale in Russia si è trasformata, noi siamo stati testimoni di una vera rinascita spirituale. È aumentato il numero delle chiese, dei monasteri, degli istituti di formazione ecclesiali. Questo si riflette positivamente in tutti gli aspetti della vita degli uomini. Il ritorno alla cultura religiosa dei nostri avi ha mostrato quanto nel nostro Paese fosse effimera e senza fondamenta quell’ideologia che si opponeva a Dio.
D’altra parte, ancora oggi non mancano i tentativi di porre ostacoli artificiosi sulla via della collaborazione tra Chiesa e Stato. Sotto l’egida del laicismo alcune forze politiche cercano di privare la religione della sua dimensione pubblica. Penso che un tale approccio debba rimanere una volta per tutte appannaggio dell’epoca dell’ateismo militante.

Lei notoriamente lavora per costruire tra Stato e Chiesa relazioni di mutua collaborazione, pur mantenendo la separazione. Come si declina qui il «date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio»? Più volte all’anno lei incontra il presidente Vladimir V. Putin. Che uomo è il presidente e come si lavora con lui? Infine, lei, Santità, non ha mancato di ricordare ai fedeli, nei suoi ultimi messaggi per il Natale e la Pasqua, che il positivo cammino di ricostruzione della Chiesa ortodossa russa sta procedendo.

ALESSIO II: Il modello attuale delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato russi si è formato tenendo conto dell’esperienza da un lato di come la Chiesa russa ha vissuto nello Stato sovietico ateo, e dall’altro dell’influsso dei cambiamenti avvenuti in Russia all’inizio degli anni Novanta. Nel periodo sovietico non si poteva neanche parlare di relazioni costruttive tra autorità ecclesiastiche e statali; lo Stato sottometteva la Chiesa alla propria autorità, e ai credenti era riservato un posto ai margini della vita pubblica. Un ammorbidimento delle posizioni dello Stato verso la Chiesa si notò durante i festeggiamenti per il millennio del Battesimo della Rus’. E dopo la caduta del potere ateo, alla nostra Chiesa fu data la possibilità di adempiere liberamente alla propria missione nella società. Le poche chiese che in quel tempo esistevano si riempivano di persone che avevano desiderio di incontrare Dio. I sacerdoti cominciarono a essere invitati ai programmi radiotelevisivi. Per la Chiesa si spalancarono le porte delle scuole, degli istituti superiori, degli ospedali, delle carceri, delle caserme. Si riattivarono le opere missionarie e formative delle parrocchie e dei monasteri della Chiesa ortodossa russa. Nelle mutate condizioni storiche si cominciò a formare un nuovo sistema di relazioni tra Chiesa e Stato, a fondamento del quale sta il principio, radicato nella tradizione ecclesiale, della sinfonia tra potere ecclesiastico e temporale.
Oggi tra la nostra Chiesa e lo Stato si sono stabilite relazioni di collaborazione costruttiva e di vicendevole sostegno sociale, nel rispetto e senza ingerenza nei reciproci affari interni. Un determinante contributo al processo di stabilizzazione e allo sviluppo di tali relazioni è stato dato personalmente dal presidente Vladimir V. Putin. La sua attenzione alle necessità attuali della Chiesa e ai compiti della sua missione nella società testimonia la volontà del capo dello Stato di rafforzare nella vita pubblica i valori tradizionali, culturali e religiosi. Spero che le nostre buone relazioni con l’attuale presidente si mantengano anche in futuro.

Qual è il quadro sociale odierno in cui la Chiesa ortodossa russa guarda alla necessaria carità richiesta per i poveri? In una precedente intervista con 30Giorni lei spiegò che in Russia il fedele sa bene che «in Paradiso si va con la santa elemosina».

ALESSIO II: La Chiesa ortodossa non propone metodi concreti di redistribuzione delle risorse materiali in eccedenza. Quanta parte dei frutti del lavoro sia da destinare allo sviluppo della produzione e al pagamento degli stipendi, e quanta invece ai concittadini bisognosi e a programmi di impatto sociale, è una questione di coscienza di ogni uomo, ed è materia di regolazione dei processi sociali. Tuttavia non è possibile ritenere normale la situazione che si è andata creando nella sfera sociale, nonostante i cambiamenti positivi degli ultimi tempi ottenuti grazie all’attività del presidente Vladimir V. Putin. La stagnazione in ambito sociale, che ancora oggi osserviamo, rischia di portare a conseguenze seriamente negative sia per la struttura della società sia per la stabilità politica. L’enorme divario tra i redditi dei ricchi e quelli dei poveri è una conseguenza diretta della situazione di dominio esistente nel sistema economico del settore delle materie prime, e della ingiusta distribuzione dei ricavi provenienti dalla vendita delle risorse naturali. Urge rendersi conto che tra i ricchi e i poveri, negli ultimi quindici anni, si è creato in Russia un abisso, e che per vari motivi una classe media non si è ancora del tutto formata. Uno Stato di tal fatta non può rimanere a lungo stabile. È necessario un atteggiamento responsabile dello Stato e del mondo degli affari nei confronti di categorie della popolazione che, in forza dell’età o della condizione sociale, non sono coinvolte nelle attività economiche. Per risolvere il problema non è comunque sufficiente la sola beneficenza da parte degli imprenditori. È urgente riformare strutturalmente l’economia sulla base della moderna tecnologia e sostenere a livello statale gli indirizzi di interesse strategico prioritari per il Paese. È necessario un progresso industriale che offra nuovi posti di lavoro, e se ciò sarà realizzato potremo dare alle persone la possibilità di lavorare in modo creativo, secondo le proprie competenze, e le metteremo in grado di assicurare una vita dignitosa a sé e ai propri cari.

Particolarmente importante e felice è stata nel 2007 la ritrovata unità tra la Chiesa che lei guida e la “Chiesa ortodossa russa all’estero”. Il presidente Vladimir V. Putin si è felicitato pubblicamente con lei, che a sua volta ha ringraziato pubblicamente il presidente per gli sforzi che aveva fatto. Nell’atto di comunione canonica c’è scritto che «l’umile Alessio» e «l’umile Lavr», il metropolita della Chiesa ortodossa russa all’estero, hanno sanato questa storica divisione. Può dirci come e perché si è arrivati a tale bella conclusione? Che cosa era in gioco per la Chiesa e per la Russia?

ALESSIO II: La ringrazio per la domanda. Effettivamente il ritorno all’unità ecclesiale realizzatosi il 17 maggio 2007 ha rappresentato un avvenimento di importanza epocale nella vita della nostra Chiesa e in quella del popolo russo in generale. La divisione, durata ottant’anni, era dovuta ai cataclismi storici di cui la Russia fu teatro agli inizi del XX secolo. A molti toccò bere l’amaro calice dell’esilio, mentre quanti rimasero in patria dovettero assistere all’ancora più terribile persecuzione della Chiesa. La guerra civile era ormai un ricordo del passato, la Chiesa aveva finalmente e nuovamente ottenuto la libertà, ma rimanevano gli effetti della catastrofe che ci aveva colpiti: mancava una comunione ecclesiale tra quanti vivevano in Russia e una parte di coloro che erano andati all’estero e i loro discendenti. Cosa occorreva per superare tale divisione? Occorreva che tutti comprendessero a fondo quello che era accaduto nel XX secolo e traessero una lezione ben precisa da quanto la Chiesa aveva dovuto subire. Su questo piano, per il Patriarcato di Mosca ha rivestito un’importanza risolutiva il documento “Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa”, approvato dal Sinodo dei vescovi nel 2000. In quell’occasione sono stati glorificati numerosi confessori della fede del XX secolo che in Russia hanno ricevuto il martirio per la fede in Cristo. Questi atti del Sinodo hanno avuto un riscontro positivo nella Chiesa ortodossa russa all’estero e si sono iniziati a vedere i primi segni di un riavvicinamento. I fratelli all’estero hanno preso a interessarsi sempre più della vita in patria. Sono venuti sempre più spesso in Russia e qui hanno assistito allo spettacolo di un’effettiva rinascita della vita religiosa, non solo al di fuori della Chiesa, ma anche al suo interno, con il suo risveglio spirituale e la crescita dell’attività missionaria e dottrinale. E il ghiaccio della diffidenza ha cominciato a sciogliersi.
Oltre a ciò, per la Chiesa ortodossa all’estero è stato determinante constatare la qualità attuale dei rapporti tra Chiesa ortodossa russa e autorità statale in Russia. Nel suo statuto era infatti scritto che la Chiesa russa all’estero si staccava dalla Chiesa in patria solo temporaneamente, «fino alla scomparsa in Russia del regime nemico di Dio». In tal senso per i vertici della Chiesa russa all’estero è stato di fondamentale importanza il primo incontro personale avuto con Vladimir V. Putin. I nostri fratelli hanno così avuto la possibilità di convincersi di persona di non avere davanti un rappresentate del «regime nemico di Dio», ma un devoto russo ortodosso. Impressione che si è rafforzata ancor più nel corso degli ultimi contatti. Per questo ho tenuto a ringraziare in modo particolare il presidente del nostro Paese nel giorno della firma dell’Atto di comunione canonica nella Cattedrale di Cristo Salvatore.
Ovviamente, perché l’unità diventasse realtà dopo una divisione tanto lunga, è stato necessario compiere un lungo cammino. Le commissioni a cui era affidato il compito di condurre il dialogo, durato tre anni, hanno svolto un lavoro notevole per il raggiungimento della piena unità della Chiesa ortodossa russa, sciogliendo passo dopo passo tutti i nodi più aggrovigliati. Tutti sono però convinti, credo, che l’elemento decisivo sia stato non tanto la preparazione dei documenti, comunque importanti, quanto la graduale conoscenza reciproca attraverso l’esperienza della preghiera e della vita cristiana. È lo Spirito di Dio ad averci condotto all’unità, questo è ciò che ha avvertito chi ha preso parte ai colloqui. E dove opera lo Spirito Santo svaniscono le offese umane transeunti, le incomprensioni e le parzialità che per lunghi anni hanno reso più grande la separazione. L’amore e la gioia nel Signore vincono.
L’Ascensione del Signore è diventata così per noi il giorno del trionfo dell’amore, del perdono, del ripristino dei legami spezzati, il rinnovamento della successione tra vecchia e nuova Russia, dei festeggiamenti dell’unità dei russi, “in patria e dispersi”. La Chiesa russa si è mostrata a tutta la comunità russa, e agli uomini di tutto il mondo, quale esempio edificante di unione, alla base della quale è Cristo, e che è testimoniata dai martiri per Cristo.

Nel primo grande meeting interreligioso tenutosi a San Pietroburgo nel 2006 avete voluto inserire nel documento finale frasi come: «Rigettiamo i doppi standard nelle relazioni internazionali», oppure: «Ciò che rende davvero efficiente l’economia è che essa dia benefici al popolo». A che cosa vi riferivate, nello specifico? E come la sua Chiesa guarda e giudica questi ultimi anni, dall’11 settembre 2001, vissuti dalla politica internazionale?

ALESSIO II: Il summit mondiale dei leader religiosi è stato una manifestazione del desiderio unitario dei leader religiosi di contrastare i tentativi di usare la religione come fattore di contrapposizione e di conflitto, e si è anche espresso su molte questioni problematiche attuali. In particolare, i leader religiosi si sono accordati all’unanimità sul fatto che i doppi standard nelle relazioni internazionali contemporanee sono diventati espressioni di ingiustizia, giacché permettono ad alcuni Stati di giudicare arbitrariamente gli altri e di dettare regole di comportamento che loro stessi per primi non rispettano. Nel messaggio del summit si è anche identificato il criterio di efficacia dell’economia, condiviso dalla maggioranza delle realtà religiose mondiali: l’efficacia dell’economia non sta nella sua capacità di produrre guadagno, ma in quella di portare benessere alle persone. Altrimenti tutta l’attività economica perde di significato.
Il documento conclusivo del summit è diventato in qualche misura una risposta agli avvenimenti dell’11 settembre 2001, poiché è in esso contenuto il rifiuto del terrorismo e dell’estremismo, dietro ai quali sta una motivazione pseudoreligiosa. Ritengo che la lotta al terrorismo debba consistere nel privarlo del terreno su cui sorge; oggi questo terreno è l’ignoranza religiosa, che si manifesta nella mancanza di comprensione della propria tradizione religiosa e della morale a essa legata. Ne conseguono l’offesa ai sentimenti religiosi, la profanazione delle cose sacre, la propaganda dell’egoismo e dell’arbitrio generalizzato. Tutto ciò nel suo insieme provoca il fanatismo. Dopo l’11 settembre sono state intraprese numerose azioni di forza contro i terroristi, ma c’è da chiedersi se sia aumentata corrispondentemente l’attenzione alle convinzioni religiose delle persone, e se nel prendere decisioni globali siano state tenute maggiormente in considerazione, rispettosamente, le tradizioni religiose. Queste sono le domande che ci facciamo valutando la politica mondiale degli ultimi anni.
Allo stesso tempo non si può però non sottolineare che un’idea molto promettente del summit è stata recepita nella proposta, lanciata dalla Russia alla sessantaduesima Assemblea generale dell’Onu, perché si crei presso le Nazioni Unite un consiglio consultivo sulla religione. Credo che questa iniziativa, in caso di successo, potrà favorire la realizzazione di un dialogo effettivo tra le diverse visioni del mondo e condurrà all’approvazione di decisioni importanti per l’intero pianeta.

Rimaniamo sul tema della sollecitudine della Chiesa per la giustizia sociale nel mondo e nei confronti degli ultimi: l’enciclica di Paolo VI Populorum progressio ha già più di quarant’anni. Lei come la ricorda? In tante sue parti sembra davvero scritta oggi.

ALESSIO II: Ci sono ovviamente noti i documenti della Chiesa romano-cattolica, nei quali si affronta il tema della giustizia sociale, si parla della lotta alla povertà e degli altri problemi della società contemporanea. Su molti punti questi pensieri sono in sintonia con i nostri. Molti comprendono che il mondo non sta diventando più giusto, e ai cristiani di oggi, anche più che non quarant’anni fa, spetta difendere con la parola e con le azioni chi soffre, chi è oppresso, chi è nella povertà. La Chiesa ortodossa russa studia e condivide la preziosa esperienza del servizio sociale dei cristiani d’Occidente, così necessaria anche per la nostra attività in quest’ambito. Infatti, nei lunghi anni di persecuzione da parte del potere ateo, la nostra Chiesa non ha potuto condurre tale opera: qualunque attività sociale da parte sua era ordinariamente vietata dallo Stato. Solo alcuni anni fa la nostra Chiesa ha avuto la possibilità di far rinascere la propria ricca tradizione di servizio sociale e caritativo, e di svilupparla in forme nuove, utilizzando in modo proficuo l’esperienza di altri. Tra l’altro, i risultati di questa rinascita sono impressionanti: praticamente in tutto lo spazio postsovietico la Chiesa ortodossa è diventata uno dei principali soggetti nell’organizzazione e nella partecipazione al lavoro sociale, è il primo difensore dei nullatenenti e degli emarginati, e ha ottenuto la loro fiducia. Lo ritengo un chiaro segno dell’azione nel mondo della grazia di Dio, che non si esaurisce mai e viene a tutti in soccorso.
«La nostra Chiesa condivide la convinzione che un conflitto globale potrebbe essere prevenuto e i conflitti locali ricomposti solo se tutte le nazioni crescono liberamente e se tutte le civiltà storiche possono senza restrizioni influenzare i destini del mondo.

La nostra Chiesa è desiderosa di continuare a sviluppare il dialogo con i leader religiosi iraniani». Santità, lei lo ha detto all’ultima sessione di dialogo tra Ortodossia russa e Islam, a Teheran già due anni fa. Sembrerebbe la sua risposta alla tesi del conflitto di civiltà, ma è anche di più. Può spiegarci? A suo giudizio, quale contributo potrebbe apportare la grande tradizione religiosa e culturale russa al progresso del dialogo tra le civiltà per la costruzione di un ordine mondiale più a misura d’uomo? E per quanto riguarda l’islam che vive nelle terre ortodosse russe, come va la coesistenza oggi?

ALESSIO II: La Russia è un posto unico al mondo, dove islam e cristianesimo convivono pacificamente da mille anni. Da noi non c’è mai stata alcuna guerra confessionale, mentre la storia di altri Paesi della terra ha conosciuto numerose e sanguinose guerre di religione. Da ciò si comprende che le genti della Russia hanno imparato a vivere insieme, ad avere rispetto reciproco, a tenersi in debito conto, a non recarsi offesa. È quanto mai evidente oggi lo straordinario potenziale di conciliazione presente nelle religioni, soprattutto per quanto riguarda i rapporti interetnici. Sono convinto che gli esponenti delle religioni tradizionali, tutti insieme possano e debbano rispondere al gran numero di sfide e di problemi scottanti, invitando i propri fedeli alla pace e alla concordia. Infatti la posizione di conciliazione dei capi religiosi può servire a evitare molti conflitti, a impedire la trasformazione dei conflitti internazionali in conflitti interreligiosi, a porre un limite alla diffusione di pericolosi movimenti pseudoreligiosi.
La Chiesa ortodossa russa ha sempre invitato e invita a coltivare un dialogo paritario e rispettoso tra religioni, culture e civiltà a livello nazionale, regionale e internazionale. È particolarmente importante unire gli sforzi per aiutare lo sviluppo del diritto internazionale, la partecipazione al superamento di situazioni di conflitto, la comprensione senza preconcetti dei vari modelli di interazione tra religione, Stato e società.

Che cosa ha significato per lei il recente testo di papa Benedetto sul latino nella liturgia? Anche la vostra Chiesa si trova oggi ad affrontate delicate questioni liturgiche? Inoltre, lei ha letto la recente lettera del Papa ai cattolici cinesi? Per gli ottant’anni del Papa lei ha scritto, tra l’altro, che «ciò che rende la sua posizione convincente è che lei come teologo non è meramente uno studioso dal pensiero teorico, ma soprattutto un cristiano sincero e profondamente devoto che parla dall’abbondanza del suo cuore (cfr. Mt 12, 34)». In che cosa lei avverte oggi maggiore sintonia con papa Benedetto?

ALESSIO II: Penso che la questione della lingua liturgica e le relazioni tra le diverse componenti della Chiesa romano-cattolica siano questioni interne. Per noi, che siamo una Chiesa per la quale il concetto di tradizione ha un grande significato, è peraltro ben comprensibile e familiare la tensione a trovare forme efficaci di armonizzazione tra l’esperienza plurisecolare e le oggettive realtà ed esigenze contemporanee. Vedo in questo uno degli aspetti più validi dell’opera dell’attuale papa di Roma Benedetto XVI.

Papa Benedetto ha affermato che ritiene un proprio compito lavorare per la realizzazione ancora incompiuta del Concilio Vaticano II, senza seguire la logica della “rottura” ma quella della “continuità”. Come giudica tale affermazione, da Mosca?

ALESSIO II: Senza alcun dubbio accogliamo con favore ogni tentativo volto a superare il più possibile le divisioni. Questione diversa è poi quella che riguarda la natura dell’una o dell’altra divisione. Ogni situazione merita particolare e scrupolosa attenzione. E la comprensione delle cause aiuta a trovare le soluzioni. Con tutto il rispetto e la salvaguardia delle differenze, la ricerca di ciò che unisce, e non di ciò che divide, risulta efficace nella maggioranza dei casi. Senza cadere in un eccessivo ottimismo, vorrei dire che proprio in ciò vedo una prospettiva particolare per le relazioni tra ortodossi e cattolici.

Santità, sono stati pubblicati recentemente in Italia diversi libri che ripercorrono ancora una volta il cosiddetto “mistero di Fatima”: dato che in una sua parte tale mistero riguarda la fede cristiana in Russia, lei che giudizio dà complessivamente di questa vicenda?

ALESSIO II: Dico subito che mi è difficile valutare queste apparizioni. Noi prestiamo attenzione a tutto ciò che in Occidente si è detto e si dice della Russia, tanto più in un contesto di fede cristiana. Tuttavia, a questo proposito, è necessario notare che molte realtà della vita spirituale dei cristiani occidentali fanno parte soltanto della loro esperienza, la quale presenta nette differenze rispetto alla tradizione ortodossa. Noi abbiamo rispetto della devozione nella Chiesa cattolica circa le apparizioni di Fatima, ma da parte nostra è difficile pronunciare un qualunque parere specifico al riguardo. Si tratta di un’esperienza spirituale particolare della Chiesa cattolica.

Grazie, Santità.

(Fabio Petito è docente all’Università del Sussex, Gran Bretagna, e all’Università di Napoli “L’Orientale”)

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