22 gennaio 2008

Il filosofo Severino: "La scienza non avrà l’ultima parola" ("La Stampa")


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"La scienza non avrà l’ultima parola"

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ALBERTO SINIGAGLIA

Queste guerriglie di religione diventeranno guerre? A che cosa prelude l’adunata di Piazza San Pietro? Che cosa temono i dotti ma improvvidi guardiani della Sapienza, che chiudendo la porta al Papa gli hanno regalato un trionfo politico-mediatico?
Che cosa prepara chi paragona l’aborto alla pena di morte e riapre una questione da trent’anni risolta da una legge? «Discussioni incomprensibili se non si vedono nel contesto dei problemi di fondo che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa, tra fede e ragione», dice Emanuele Severino, il grande filosofo che scandaglia l’anima dell’Occidente. «Oggi l’aspetto più visibile della conflittualità sulla Terra ha un carattere religioso».

Non basta alla Chiesa che i fedeli pratichino le sue regole?

«Bastano per una fede come quella protestante. Per il cattolicesimo no: la fede dev’essere guidata dall’autorità della Chiesa, e non c’è autorità senza legge».

Ma perché la Chiesa deve intervenire anche sulle leggi di un altro Stato?

«Spesso si dice che la Chiesa cattolica è una deviazione dall’insegnamento di Gesù. Non è così, l’insegnamento originale di Gesù non è solamente ma è essenzialmente politico. Proprio l’espressione che viene ricordata per indicare come si debba rispettare l’autonomia dello Stato, “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, denuncia invece il carattere essenzialmente teocratico della predicazione evangelica. Gesù non può pensare che a Cesare si dia qualcosa che è contro Dio. Ma se a Cesare, che è lo Stato, si dà qualcosa che non può essere contro Dio, allora Cesare dev’essere un alleato di Dio, di Gesù, del Dio della Chiesa, cioè Cesare dev’essere cristiano, lo Stato dev’essere cristiano. Quindi appartiene all’essenza del cristianesimo il voler essere presente nella vita pubblica, nella società. È tipico anche del monoteismo islamico, del monoteismo ebraico, ognuna di queste grandi religioni vuole che le leggi dello Stato siano convergenti con la legge di Dio».

La Chiesa è convinta di aver ragione, di possedere la verità.

«La Chiesa è coerente con la premessa evangelica. Che abbia poi ragione è un’altra questione. Sia la Chiesa sia i suoi avversari, oggi, che cosa sanno della verità, della ragione? Cattolicesimo e laicismo sono due fedi che si combattono. E il problema dei due contendenti - lo si vede anche nel caso dell’aborto - è di convincere gli uomini politici e i loro elettori in modo d’avere una maggioranza parlamentare. Il problema ormai non è da che parte stia la verità. Il problema è se l’elettorato dia ascolto al magistero della Chiesa o al magistero laico».

Dunque uno scontro di forze.

«Scontro di forze, di volontà, mascherato con la pretesa di avere delle ragioni. I due avversari stanno sullo stesso piano. Laici e credenti realizzano due forme di fede. Si tratta di vedere qual è la più forte. I credenti mascherano questo scontro di forze con la convinzione che la Chiesa procede sulla scorta della scienza».

È curioso che la Chiesa si appoggi alla scienza.

«Stando alla scienza l’aborto è un omicidio, dice la Chiesa. E credo anch’io che sia omicidio. Lo credo, quindi è una fede, è un’opinione. Però la Chiesa ammette l’omicidio e non è un paradosso. Ammette la guerra giusta, quindi la Chiesa non condanna in assoluto l’omicidio, implicato da uno stato di guerra che ha come scopo il bene comune. Allora perché non si chiarisce dal punto di vista della Chiesa l’analogia che sussiste tra l’aborto e l’omicidio che ha come fine una qualche forma di bene comune: la tranquillità famigliare, la salute della madre, il rapporto tra madre e famiglia? Perché non si chiarisce l’analogia tra aborto e guerra giusta? Ma di più, fino a centocinquant’anni fa nello Stato Pontificio c’era la pena di morte e la Chiesa tutt’oggi riconosce la legittimità della pena di morte. Quindi non è che l’omicidio sia negato in assoluto. Altro esempio: il lavoro in fabbrica produce morti, e allora perché la Chiesa non lo proibisce? Le autostrade producono morti, allora si dovrebbero proibire le autostrade?».

Molti segnali indicano che l’Occidente si allontana dal sacro. Eppure anche in questi giorni negli Stati Uniti il tema religioso diventa determinante nella scelta del nuovo Presidente. E qua e là si ridestano integralismi religiosi.

«Da secoli l’Occidente si sta allontanando dal sacro. Che decresce secondo un movimento raffigurabile con una linea sinusoidale, come per i titoli in Borsa, alternando precipizi a risalite. Questo è uno dei momenti in cui il fattore religioso per istinto di sopravvivenza punta i piedi e fa sentire la sua voce. E oggi nel mondo questa voce si sente ovunque: l’Islam è l’esempio più vistoso di questo puntare i piedi. Io credo che se la Chiesa potesse puntarli di più, lo farebbe».

Nella crisi, dunque, la religione ritrova forza, talvolta aggressività, rivendica potere. Tentiamo una profezia: per quanto tempo?

«Oggi viviamo il tempo in cui viene in primo piano la conflittualità tra poveri e ricchi, guidata dall’interpretazione religiosa della fame, dei poveri. Prima la fame dei poveri era guidata dall’Unione Sovietica, adesso dall’Islam. È tutto da interpretare il rapporto tra volontà di potenza economica e volontà di potenza religiosa. Parallelamente c’è la crescita della tecnica. C’è questo sposalizio tendenziale tra la voce della filosofia che dice “non ci sono limiti” e la capacità tecnologica di oltrepassarli. Dove è chiaro che la tecnica riceve la propria potenza da quella voce, perché se uno non sa di avere le gambe non cammina».

Questo sposalizio tra filosofia e tecnica ha l’ultima parola?

«No. La scienza riconosce di non esibire verità assolute ma consente di muovere le montagne più di quanto oggi la fede di Gesù non le sappia muovere. In questa situazione si va - nel lungo periodo - verso un tempo in cui si può parlare di paradiso della tecnica, un tempo in cui i bisogni primari dell’uomo vengono soddisfatti. Questo luogo paradisiaco è la crisi del sacro, quindi è prevedibile la crisi dell’integralismo religioso che oggi fa sentire la sua voce. Però anche il paradiso della tecnica a un certo momento si rivela un inferno: perché se la logica che lo sorregge è quella della scienza, di una scienza illuminata dalla filosofia, e se la logica della scienza è una logica ipotetica, allora la felicità di quel paradiso è ipotetica e non c’è nulla di più disperante che il dubbio intorno alla stabilità della propria felicità, il timore di perdere il bene che si possiede. E siccome quel paradiso sarà il luogo della storia in cui i maggiori bisogni dell’uomo saranno soddisfatti, crescerà proporzionalmente l’infelicità per la mancanza di quell’unicum che è la verità, la sicurezza della felicità. Allora diventerà un problema corale, un problema dei popoli, perché i popoli avranno “tutto”, ma non la sicurezza di averlo, non la verità del possesso. È il momento in cui si dovranno rifare i conti. Anche la tecnica, che oggi è destinata a dominare il pianeta portando al tramonto ogni integralismo religioso, dovrà fare i conti e riconoscere di non avere l’ultima parola».

© Copyright La Stampa, 22 gennaio 2008 consultabile online anche qui

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