21 gennaio 2008
Di Giacomo: "Con la sua consueta gentile mitezza, papa Ratzinger ha ieri seminato nella mente e nel cuore dei fedeli di Roma un'idea formidabile..."
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FILIPPO DI GIACOMO
Ieri mattina, poco dopo le nove, le prime bandiere a sfilare in Piazza San Pietro avevano i colori dell'Afghanistan e del Pakistan. Erano in mano a due famiglie di immigrati che superavano le quindici persone.
Tre volte il numero dei partecipanti alla Gaya Frocessione con la quale giovedì scorso i barricaderos della Sapienza hanno festeggiato la loro «vittoria» antipapista. Il primo striscione ciellino a superare il colonnato era allegro, colorato e spiritoso: «No Papa? No party». Il primo cartellone neocatecumenale issato verso la finestra del Pontefice sembrava invece scritto per ricordare urbi et orbi che gli ex sessantottini non si trovano tutti nelle facoltà statali: «Chiesa pura e senza paura». «Andiamo avanti con questo spirito di fraternità, di amore per la verità e la libertà, nell'impegno comune per una società fraterna e tollerante», riassumerà Benedetto XVI, parlando a braccio dopo l'Angelus, dopo aver visto e sentito, con evidente commozione, tutto ciò che la piazza gremita è riuscita a comunicargli nella piccola manciata di minuti che, come di consueto, ha accompagnato la recita domenicale della preghiera mariana.
I paragoni sono sempre pericolosi, ma come evitare ieri, mentre la folla defluiva da piazza San Pietro, di pensare al viaggio di Giovanni Paolo II a Parigi nell'agosto del 1997, in occasione della XII giornata mondiale della gioventù? Nelle settimane precedenti, il Réseau Voltaire, forum della laicità d'Oltralpe, aveva dato il via alla profanazione delle messe cattoliche mandando per 300 volte circa un militante di una delle associazioni aderenti (tra cui anche «Touche pas à mon pote», la rete antirazzista che delle chiese faceva ampio uso quando si trattava di trovare luoghi di rifugio per i sans papier) a lanciare una torta in faccia al celebrante, proprio al momento della consacrazione. «Libertà, fraternità, uguaglianza e solidarietà» esclamò papa Wojtyla al momento di congedare il milione e mezzo di giovani che avevano partecipato alla messa conclusiva di Parigi, a Campo di Marte. Ed era come dire: sono princìpi che altri enunciano e dicono di difendere, noi invece li viviamo così come li abbiamo testimoniati durante tutta una settimana, nonostante le differenze di lingue e di culture. La cathò-rupture della laicità che il presidente Nicolas Sarkozy avrebbe operato un mese fa con il suo discorso a San Giovanni in Laterano ha dunque radici vecchie almeno 11 anni.
I tolleranti e i liberi dobbiamo essere noi, ha suggerito ieri Benedetto XVI, in modo nemmeno troppo implicito, ai 200 mila fedeli che erano in piazza, e ai tanti altri che in Italia e all'estero hanno percepito l'incidente della Sapienza come un'offesa all'intelligenza e alla libertà della Chiesa.
Mai come ora i cattolici italiani hanno potuto constatare, infatti, quanto siano esigue le ragioni, e le fila, di coloro che credono socialmente impossibile far convergere le forze del nostro Parlamento verso un comune sentire a favore della persona, dell'umanesimo e del solidarismo, cioè verso quegli elementi comuni a tutte le culture politiche del nostro Paese.
Con la sua consueta gentile mitezza, papa Ratzinger ha ieri seminato nella mente e nel cuore dei fedeli di Roma un'idea formidabile. A quelli che sono andati in piazza con la nostalgia di un partito cattolico, e a coloro che vi sono andati pur sentendosi in fuga proprio dal partito cattolico, ha suggerito di diventare custodi di quell'idea di libertà e di tolleranza, vissuta per una mattina dai 200 mila di Roma in amicizia con tutti.
È il progetto che la Chiesa di papa Ratzinger dichiara di voler condividere con ogni sincero ricercatore della verità. Oggi pomeriggio si riunisce la commissione permanente della Cei. Il suo presidente è stato ricevuto nei giorni scorsi da Benedetto XVI. È un buon test per vedere se almeno dal direttivo episcopale italiano arriverà il segnale per interrompere l'overdose di ignoranza e di arroganza che laici e cattolici, in diverse parti d'Europa, si stanno reciprocamente rovesciando da ormai quasi tre lustri. Oltretutto, è dai tempi di Pascal che la Chiesa sa che, nella storia, ogni epoca ha sempre «abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare».
© Copyright La Stampa, 21 gennaio 2008, consultabile online anche qui
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