21 gennaio 2008

La ragione e la fede insieme sono fattori di libertà, parola di Benedetto (Stefano Fontana per "L'Occidentale")


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La ragione e la fede insieme sono fattori di libertà, parola di Benedetto

di Stefano Fontana

Le vicende dei giorni scorsi hanno gettato una luce particolare sul testo del discorso che il papa avrebbe tenuto alla Sapienza e che è astato reso noto dai giornali.

Ne è risultata maggiormente, data l’aggressività dei toni di chi ha impedito la sua presenza all’università, l’umiltà dell’argomentazione, la sobrietà che nulla toglie alla densità, della proposta.

Rispetto ai toni urlati delle parole e delle scritte, rispetto all’irriverenza e al disprezzo, le parole del papa – a leggerle “dopo” quanto le ha precedute – brillano maggiormente per pacatezza e forza.

Tutto il discorso del papa sarebbe stato incentrato sull’invito a “restare in cammino”, a continuare a lottare per la ragionevolezza, a non tirarsi fuori dal “grande dialogo della sapienza storica”, a non “arrendersi davanti alla questione della verità”. Nessuna condanna o imposizione – “non devo cercare di imporre agli altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà” – ma solo un invito a tutti, agli uomini di ragione e agli uomini di fede, di non “perdere la sensibilità per la verità”. Proprio quello che, purtroppo, i contestatori avevano dimostrato di aver perso, rifiutandosi al dialogo e al confronto, ossia rifiutandosi alla ricerca.

Due domande emergono esplicite dal testo del discorso del papa. La prima è la seguente: chi deve tenere viva la passione per la verità? La ragione o la fede? E’ la ragione ad aiutare la fede a purificare se stessa e a restare in cammino, oppure il contrario? La tesi di Benedetto XVI è nota, ed è stata ribadita in questo discorso: di ambedue. Si è trattato e deve trattarsi di un incontro. Il Cristianesimo, alla sua nascita, ha guardato più a Socrate che alle altre religioni del mito di cui il medio oriente pullulava. Socrate, a sua volta, cercava un Dio di verità, di cui non trovava traccia nelle religioni del tempo. E’ interessante che Benedetto XVI citi il dialogo platonico “Eutifrone”. Socrate chiede ad Eutifrone, sacerdote ed esperto di cose sacre, cosa sia il santo e cosa l’empio. Eutifrone risponde che sacro è ciò che piace agli dei. Ma Socrate fa notare che gli dei sono di pareri diversi e pone la questione delle questioni: “il santo è santo perché piace agli dei o piace agli dei perché è santo?”. Il vero santo non può essere che quello che piace agli dei perché è santo. Socrate cerca un Dio di verità, non un mago, un prestigiatore, una forza oscura ed arbitraria. Un Dio che rispetta la verità delle cose. Lo stesso è stato per la religione ebraica e poi cristiana, che hanno messo da parte le religioni dei Baal e di Moloch alla ricerca di un Dio che è Logos. Questo incontro – tra ragione greca e cristianesimo – è fondamentale per entrambe, perché questo rapporto salvaguarda da reciproci integralismi: della ragione che si fa assoluta e intollerante, della fede che si fa integralista ed intransigente. La libertà di entrambe è legata al loro rapporto reciproco: stanno in piedi insieme o affondano insieme.

L’altra domanda suona invece così: contro cosa devono lavorare insieme ragione e fede? Per quale obiettivo concreto? Benedetto XVI è stato chiaro nel Discorso alla Sapienza, forse di più che non in passate occasioni: per evitare che venga considerato solo l’utile, le visioni di parte, i gruppi di interesse. Ragione e fede non devono “permettere che l’uomo sia distolto dalla verità”. Questo ha una finalità pratica e addirittura politica. L’uomo oggi “può” tanto. Ma cosa succede se tale suo potere non è sottoposto alla ratio? Cosa succede se, al posto dell’argomentazione ragionevole, del confronto critico, del “processo di argomentazione sensibile alla verità” di cui parla Habermas, egli preferisce “la pressione del potere e degli interessi”? Quando si cerca la libertà e la giustizia devono prevalere istanze diverse da quelle dei soli interessi, per questo c’è bisogno della filosofia e della teologia, per essere aiutati a “restare in cammino con questa domanda”. Ragione e fede – insieme – possono così essere fattori di libertà, a patto che la ragione non si arrenda al positivismo e che la fede non chiuda nella sfera privata, ma continui ad essere anche fermento per la ragione pubblica. Questi sono i due maggiori pericoli, secondo Benedetto XVI, ma – ahimé – sono proprio i principi che hanno guidato i contestatori della sua presenza alla Sapienza. Costoro infatti si sono mossi sulla base di una concezione della ragione ridotta a positivismo e dell’espulsione del “ragionare nella fede”, ossia della teologia, dallo spazio pubblico: “La scienza e l’università non hanno bisogno di maestri e di preti”. Può essere, ma con ciò, come hanno dimostrato i fatti di questi giorni, siamo tutti meno liberi.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono in accordo con te che hai scritto il post cara amica/o ma è diventato tanto difficile far capire che è necessario un rapporto stretto tra fede e ragione, che tra questi due tesori preziosissimi donatici da Dio c'è, nonostante possa sembrare che siano distanti tra loro, una grande,immensa reciprocità, una interdipendenza. Rifiutare un discorso del Santo Padre è come rifiutare la ragione,il libero pensiero, la propria identità, il proprio destino,è smarrire il senso della vita. Grazie infinite.Un caro saluto,DolceAmaraMelannas.