23 gennaio 2008

«Nessuno può imporre la fede» (il commento di Alberto Bobbio e le lettere a "Famiglia Cristiana")


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PAPA

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«NESSUNO PUÒ CERCARE DI IMPORRE LA FEDE»

Alberto Bobbio

Altro che "Papa del dogma", contrario al dialogo. Il suo discorso piace anche a Dario Fo: «Andrebbe letto e riletto».

Non lo ha pronunciato. Eppure adesso, forse, si può essere autorizzati a pensare che, se lo avesse fatto, il suo discorso non avrebbe avuto l’eco che si merita.

Il testo che Joseph Ratzinger ha scritto per l’allocuzione (mancata) all’Università La Sapienza di Roma è uno dei più densi, articolati e formidabili del suo pontificato.

Lo ha scritto da solo, in tedesco. Prorompe dalla sua personalità di intellettuale, che nulla dà mai per scontato. Pronto a chiedere perfino a che cosa serve un Papa. Altro che "Papa del dogma", che allontana il dialogo e impone solo certezze chiuse. Arriva a dire, senza alcun dubbio, che neppure un Papa «deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede». Scrive addirittura che per l’università il tratto essenzale è l’autonomia, che deve «essere legata esclusivamente all’autorità della verità».

Torna al suo antico mestiere, di cui mai ha perso la passione. Fa il professore, per interposta lettura. Gli presta la voce, nell’aula magna della più grande università d’Europa, il prorettore, il professor Piero Marietti, e alla fine si alzano tutti in piedi ad applaudire. Anche Dario Fo, campione di una laicità che sfiora a volte l’anticlericalismo, scatta su e ai giornali dirà che l’allocuzione «andrebbe letta e riletta».

Benedetto XVI ammette perfino che «varie cose dette dai teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali si sono dimostrate false».

Non ha alcuna paura il Papa e arriva a esaltare «l’autonomia della filosofia», che è pratica del pensiero non confessionale, palestra di scontro e allenamento di idee, lontana dai dogmatismi anche della teologia cattolica. Si mette nei panni di Socrate, il filosofo che ha infilato un sacco di domande al cuore della filosofia dei suoi contemporanei e al centro di quella di tutti i tempi, spiegando che il vero intellettuale deve assumere su di sé «il diritto e la responsabilità propri della ragione che si interroga in base alle sue forze».

Osserva che anche i primi cristiani erano contestatori, gli era piaciuto Socrate, che smantellava con la filosofia le fedi antiche, che si applicava alla decostruzione dei miti, soffiava sulla «nebbia della religione mitologica». A Ratzinger quei cristiani piacciono molto, proprio perché preferivano la ragione, nuda, libera, aperta, non vaga o intrecciata a favole moraleggianti per aiutare la dimostrazione della verità. È proprio per questo che Pilato pone la domanda delle domande: «Che cos’è la verità?».

Nel discorso di Ratzinger c’è il racconto di una verità mai antagonista, ma che valorizza la cultura, come ha fatto san Tommaso, che cita, per dire che basterebbe evitare di fare i "sacerdoti" di una «razionalità secolaristicamente indurita», perché ci si intenda tra gli uomini e le culture e le fedi: «L’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola un’istanza per la ragione pubblica».

È un testo fondamentale, una sorta di seconda puntata della riflessione proposta a Ratisbona, che inchioda l’Occidente davanti a due pericoli: che si arrenda di fronte alla "questione della verità", ma che si arrenda anche davanti alla "questione della ragione".

© Copyright Famiglia Cristiana n. 4/2008


SOLIDALI ASSIEME AI NOSTRI LETTORI

«Vorrei esprimere il mio affetto…». «Le scrivo per dirle quanto mi è dispiaciuto…». «Scrivo a voi per dare una voce in più agli italiani…». «Dopo i deplorevoli fatti accaduti alla Sapienza…».

La casella di posta elettronica di Famiglia Cristiana intasata di sdegno. Scrivono lettori da tutto il mondo e non solo dall’Italia. Esprimono sorpresa per un fatto mai accaduto e per un paradosso. Centra la questione Fabio Schimmenti, membro del Comitato diocesano del Rinnovamento dello Spirito di Palermo: «Non sanno che la Sapienza è un dono di Dio?».

Hanno scritto consiglieri comunali di tutti i partiti, parroci e catechisti, non credenti, colpiti dall’impedimento alla parola riservato al Papa. Hanno raccontato la rabbia per quei maestri del niente, per quei "sacerdoti" di una cultura del nulla che ha costretto un Papa a rinunciare a parlare nella più grande università d’Europa.

Ma anche noi ci vergogniamo. Anche Famiglia Cristiana e la San Paolo che pubblica da anni i libri di Joseph Ratzinger, a cui quel professore un giorno ha consegnato perfino la sua autobiografia quasi con riluttanza e con un grande pudore, sono altrettanto indignati.

Joseph Ratzinger è diventato Papa, ma resta professore, perché questa è la passione della sua vita. Lo dimostra ogni giorno, quando mette in fila parole mai scontate, parole che cercano interlocutori, parole severe e semplici, parole oneste. Signori professori, che avete fatto?

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OLIVERO: "NO AL MURO CONTRO MURO"

Ernesto Olivero

Non riesco ad abituarmi al muro contro muro che è la politica italiana. Quando la Sinistra parla, la Destra risponde un po’ più forte; poi la Sinistra riprende alzando ancora di più i toni e ottiene un’ulteriore reazione della Destra. È un continuo botta e risposta, le voci si accavallano, nessuno ascolta, un rumore assordante e incessante impedisce di pensare sul serio ai problemi veri della gente.

Verrebbe voglia di gridare: silenzio, fermiamoci a riflettere.

Viene il sospetto che il senso di questo strepitare non sia tanto il bene comune quanto l’interesse di parte. Ma chi di noi ha la credibilità e l’autorevolezza di farsi ascoltare? Viviamo un tempo di grande odio, che ci porta a tirare fuori il peggio di noi per demolire l’altro. Se l’oggi diventa domani, fra cinque, dieci anni l’Italia che Paese sarà? Il tempo passa in un baleno e, se l’oggi diventa domani, sarà dura per tutti.

Ma l’oggi è ancora nelle nostre mani e può diventare un momento di crescita, se facciamo dei ragionamenti. Credo, per esempio, che se si facessero delle elezioni primarie un po’ alla rovescia, in cui poter scegliere non un candidato prestabilito, ma le persone che stimiamo di più, avremmo delle sorprese. Certamente qualcuno dei politici di punta lo ritroveremmo ancora – qualcuno veramente bravo c’è –, ma tanti altri no, perché gli italiani, i giovani soprattutto, stentano a riconoscersi in molti esponenti dell’attuale classe dirigente.

Nel frattempo, possiamo superare questo difficile momento solo abbassando i toni, disarmandoci, ricominciando a dialogare, cercando un’etica, stabilendo alcuni princìpi non negoziabili, facendo diventare il nostro Stato uno Stato di diritto. Se ci riusciamo, fra cinque, dieci anni l’Italia sarà sicuramente diversa e migliore su tanti fronti, dal lavoro per tutti all’attenzione per i giovani e per gli anziani, dalla raccolta dei rifiuti a una sanità più vicina alla persona, da una giustizia più giusta alla libertà di espressione per tutti. E il muro contro muro non sarà che un ricordo.

© Copyright Famiglia Cristiana n. 4/2008

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