23 gennaio 2008
La lezione di Benedetto e gli errori dei sapienti e dello Stato (Bobbio per "Famiglia Cristiana")
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LA LEZIONE DI BENEDETTO
Alberto Bobbio
Con la decisione di non intervenire all'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza ha dimostrato una profonda saggezza: «Andiamo avanti in questo spirito di fraternità e amore per la verità e la libertà».
Alla fine vince la sua mitezza di intellettuale attento a ogni sfumatura. Alla fine riesce pure a stemperare la sua amarezza di "professore emerito", come dice dalla finestra del Palazzo Apostolico durante l’Angelus più evocativo di significati di tutto il pontificato: «Grazie a voi tutti, buona settimana, e andiamo avanti in questo spirito di fraternità e amore per la verità e la libertà e impegno comune per una società fraterna e tollerante».
Parla il Papa e parla il professore ai 200.000 che hanno accolto l’invito del cardinale Camillo Ruini per dimostrare al Papa l’affetto della sua città e di tutta l’Italia, dopo che è stato costretto a rinunciare a parlare in un’università di un Paese democratico. Il Papa è emozionato, il silenzio della piazza totale.
Lui osserva la folla che straripa fin verso via della Conciliazione. Legge il testo preparato e poi aggiunge qualche parola: «È bello vedere questa comune fraternità della fede, grazie». Chiama la folla "cari amici", ripete più volte "grazie". Timido, riservato, eppure chiaro e preciso. Spiega: «Come sapete avevo accolto molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto a intervenire giovedì scorso all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza, università di Roma».
Rivela Benedetto XVI di aver «lavorato con grande gioia al mio discorso, che ho preparato nei giorni dopo Natale».
Per lui si trattava davvero di un appuntamento importante. Ci teneva, insomma, lui che ha insegnato per anni nelle più prestigiose e laiche università tedesche, lui che conosce le regole del sapere e quelle dell’istituzione: «All’ambiente universitario, che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano l’amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni».
Anche La Sapienza la conosce bene, stima quell’ateneo, è "affezionato" ai suoi studenti. Ma "purtroppo", ammette con una punta di delusione, l’appuntamento è saltato: «Come è noto, il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia».
Parole pacate e tranquille
All’Angelus Benedetto XVI si tiene lontano dalle polemiche, non lancia invettive e propone solo parole pacate e tranquille. Ma il dispiacere traspare: «Ho soprasseduto, mio malgrado». Eppure subito rilancia, perché a Benedetto XVI importa il contenuto e non la forma: «Ho voluto comunque inviare il testo da me preparato per l’occasione».
Cosa è accaduto la scorsa settimana? Cosa ha innescato quello che l’Osservatore Romano ha definito "incidente", parola che mai è stata usata dal quotidiano vaticano, in anni di storia repubblicana, per tratteggiare lo stato dei rapporti tra Italia e Santa Sede?
Cosa ha messo il Papa nelle condizioni di annullare la visita alla Sapienza, provocando quello che la Conferenza episcopale italiana ha chiamato "gravissimo rifiuto", frutto di «manifesta intolleranza antidemocratica e chiusura intellettuale»?
Il 14 novembre, un professore emerito di istituzioni di Fisica teorica e di Teorie quantistiche, Marcello Cini, 84 anni, una vita spesa a lottare contro tutti e contro sé stesso, al punto da definirsi "cattivo maestro" nella sua autobiografia intellettuale pubblicata sette anni fa, scrive una lettera al professor Renato Guarini, rettore della Sapienza, la più grande università italiana ed europea, la seconda al mondo, che aveva appena invitato il professor Joseph Ratzinger, Papa della Chiesa cattolica, all’inaugurazione dell’anno accademico prevista per il 17 gennaio. Non per tenere una lectio magistralis, cioè la conferenza che dà l’impronta all’università, ma solo un discorso dopo quelli del ministro dell’Università Fabio Mussi e del sindaco di Roma Walter Veltroni.
Il professor Cini non sa che quella lettera, che intanto ottiene l’adesione di altri professori (arriveranno a 67), innescherà il più serio "incidente" tra Italia e Vaticano nella storia contemporanea. Scrivono e pasticciano, i professori. Scrivono che un Papa oscurantista ha approvato come "ragionevole e giusto" il processo contro Galileo.
Scrivono pure che la frase sta in un discorso pronunciato dall’allora cardinale Ratzinger all’università di Parma. E sbagliano su tutta la linea. Il discorso fu tenuto proprio alla Sapienza il 15 febbraio 1990 e la frase non è del Papa, ma di un filosofo agnostico, Feyerabend, scomparso negli ultimi anni del Novecento, che Ratzinger ha citato per confutarla. Il testo della conferenza venne pubblicato da un libro delle Edizioni Paoline nel 1992, Una svolta per l’Europa, che si trova in tutte le biblioteche.
Si è mobilitata l’Italia "normale"
La lettera provoca a metà di novembre un blando dibattito alla Sapienza. Ma poi due mesi dopo finisce su Repubblica e scoppia il caso. Polemiche e proteste e il dibattito che dal livello culturale si trasferisce pericolosamente a quello fisico, con l’occupazione del rettorato della Sapienza da parte di un manipolo di studenti dei collettivi della sinistra estrema.
S’infiamma anche la discussione politica con il solito dibattito sulla laicità. Ma questa volta non c’è molto da dire: impedire di parlare al Papa alla Sapienza è "fascismo intellettuale". Punto e basta. Ma nessuno soccorre la Santa Sede. Il Governo si limita alla questione dell’ordine pubblico, non opera nessuna moral suasion, nessun investimento di persuasione morale circa la gravità di una mancata partecipazione del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico. Così si mette la Santa Sede, sola, nella condizione di dover decidere.
E il Papa decide di non andare, ma di mandare il testo del suo discorso. In mezzo c’è una, forse inopinata, telefonata del ministro dell’Interno Amato, che scarica ogni responsabilità sul Vaticano. Il quale con un "atto di grande delicatezza", per usare le parole dell’ex presidente Cossiga, ha rinunciato.
Il dibattito, la scorsa settimana, ha lacerato ancora una volta il Paese. E non ce n’era assolutamente bisogno.
Il cardinale Ruini, con il suo appello "all’affetto" per Benedetto XVI, moto di riparazione per la brutta vicenda, ha mobilitato l’Italia "normale", quella che non ci sta a considerare i cattolici cittadini di serie B, quella che soprattutto pensa che è ora di finirla di schierare la gente, comunque, sulle barricate.
© Copyright Famiglia Cristiana n. 4/2008
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