6 agosto 2008

Giuseppe Camadini: "Paolo VI? Né incerto né triste, al contrario fu gentile e forte" (Osservatore Romano)


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Giuseppe Camadini smentisce alcune interpretazioni diffuse sulla figura e l'opera del Pontefice bresciano

Né incerto né triste, al contrario fu gentile e forte

di Maurizio Fontana

"All'indomani della morte di Paolo VI un piccolo gruppo di laici e sacerdoti bresciani si ritrovò, con don Enzo Giammancheri, a celebrare una messa di suffragio. Al termine, dopo una breve conversazione, scaturì subito la convinzione che uno dei modi forse meno inadeguati per fare memoria della personalità di Montini - sacerdote, vescovo e Pontefice - potesse essere quello di raccogliere la documentazione relativa al suo pensiero e alle sue opere, al fine di promuovere occasioni di studio. Nasceva così l'Istituto Paolo VI. La presentazione ufficiale si svolse a Brescia, nel Palazzo municipale della Loggia, con l'intervento di Jean Guitton, accademico di Francia e amico personale di Montini".
Brevi cenni per raccontare le origini di una storia ormai quasi trentennale. A parlare è l'attuale presidente dell'Istituto Paolo VI, Giuseppe Camadini, che si è soffermato in un colloquio a tre con il nostro direttore, Giovanni Maria Vian, e con chi scrive, in occasione del trentesimo anniversario della morte di Papa Montini.

Ci ha raccontato i primissimi passi dell'Istituto. Dalle intenzioni alle realizzazioni di strada ne è stata fatta molta.

A quei primi colloqui seguirono ulteriori incontri dai quali scaturì - con il supporto dell'Opera per l'Educazione cristiana e l'approvazione del vescovo di Brescia - la creazione dell'Istituto che oggi abbraccia nel suo archivio oltre 50.000 documenti (per lo più inediti) di o su Montini e Paolo VI e una biblioteca di 33.000 volumi (di cui 10.000 già della sua biblioteca personale). Sono stati poi promossi dieci colloqui internazionali e diciannove giornate di studio internazionali.
Il Centro studi bresciano - dalle origini al 1992 ne fu segretario generale Nello Vian, a cui succedette Xenio Toscani - ha inoltre istituito il "Premio Internazionale Paolo VI" che sinora è stato conferito ad Hans Urs von Balthasar per la teologia (1984), a Olivier Messiaen per la musica (1988), a Oscar Cullmann (1993) per l'ecumenismo, a Jean Vanier (1997) per i diritti umani e a Paul Ricoeur (2003) per la filosofia.

Chi "governa" e dove ha sede l'istituto?

La sede è attualmente a Brescia, ma sarà definitivamente stabilita a Concesio, accanto alla casa natale di Montini.
Oggi l'Istituto è retto da un comitato scientifico di dodici membri e opera tramite un comitato esecutivo del quale fece parte sin dall'origine - e fino alla morte nel 2006 - monsignor Pasquale Macchi, che di Montini era stato segretario per venticinque anni.
Centinaia sono gli studiosi coinvolti a diverso titolo nel lavoro di questi trent'anni nei quali si è cercato di affrontare le ricerche con metodo scientifico, nella consapevolezza, peraltro, di poter portare contributi che non ambiscono certo all'esaustività o all'esclusività.

Il metodo di "analitica scientificità" degli studi non rischia di non riuscire a trasmettere anche la spiritualità di Montini?

Non penso. Questa esigenza è ben presente ai comitati nella impostazione dei singoli momenti di studio e di approfondimento. A titolo di esempio, ricordo come fra i primi incontri organizzati vi fosse quello tenuto presso l'università di Salamanca l'8 novembre 1991 incentrato sullo studio "El sacerdocio en la obra y el pensamiento de Paolo VI" in cui si ritrovano echi della stessa vocazione personale sacerdotale di Montini. Né può ritenersi che uno studio scientifico, e quindi volto alla ricerca della obiettività nella conoscenza, possa di per sé nuocere alla comprensione del vero; anzi non può che facilitarla.

Come valuta l'immagine che i media hanno accreditato della figura di Montini?

Rispetto, e per certi aspetti ammiro, l'opera dei giornalisti, e del mondo delle comunicazioni sociali; e cerco di comprendere le difficoltà di quanti onestamente vi operano.
Certo è che la personalità di Montini - connotata da una intensa, forte, elevata spiritualità da lui gelosamente custodita, sotto il tratto del suo inconfondibile stile di gentilezza - può non prestarsi a facile lettura e coerente rappresentazione.
Ciò non toglie che l'amore della verità esiga comunque, almeno tendenzialmente, rigore conoscitivo e descrittivo.
Forse può non aver giovato a una adeguata conoscenza di Montini il fatto che, storicamente, il pontificato montiniano si collochi fra quello di Papa Roncalli e - dopo la quasi fugace apparizione di Papa Luciani - di quello di Papa Wojtyla. Forse la pubblicistica talora non rammenta che Paolo VI "prese in mano" il Concilio Vaticano II dopo la sua prima sessione, portandolo a positiva conclusione e promulgandone tutti i sedici documenti approvati, alla cui finale formulazione dedicò personale attenzione e precisi interventi.
Forse - sotto l'influsso di una tendenza indotta anche da una certa storiografia corrente negli scorsi decenni - si legge da parte di taluni autori anche la storia di Montini all'insegna dei contrasti "tra destra e sinistra", collocandolo su un versante tendenzialmente conservatore; e, quindi, classificandolo negativamente a priori. Si vorrebbe riscontrare - durante lo svolgimento del pontificato stesso - un mutamento di rotta e un diverso suo orientamento di pensiero fra un primissimo periodo (il periodo in cui guidò l'arcidiocesi di Milano e quello dei primi tempi del Concilio da lui diretti) rispetto alla successiva e conclusiva fase del "tempo conciliare", cioè gli ultimi periodi del Vaticano II.
Il che non corrisponde al vero: si ignora o si tende a dimenticare che nella seconda metà degli anni Sessanta sopraggiunse la contestazione; non solo fuori ma anche entro la Chiesa. Non fu Montini a mutare il suo pensare, ma la società con talune sue nuove tendenze - contestatrici, talora eversive - comportò un'adeguata valutazione e un'energica presa di posizione.

Ma allora che cosa ci si può auspicare in occasione di questo anniversario?

Il rinnovato interesse su Montini deve stimolare una più completa conoscenza dell'intero arco della sua esistenza: a partire dalla formazione nel contesto bresciano. Successivamente, non può dimenticarsi quanto significò per Montini il periodo in cui fu assistente della Federazione degli universitari cattolici (Fuci) da cui germinò anche il Movimento dei laureati cattolici italiani. Da lì venne larga parte della classe dirigente italiana. Né può tacersi la rilevanza che ebbe la sua conoscenza e frequentazione - negli anni Venti e Trenta - con Alcide De Gasperi (già collega del papà Giorgio, nel Partito Popolare): si tratta di rapporti di viva cordialità e di solidarietà, nel periodo della "emarginazione" dell'ex segretario del Partito Popolare.
Ma si ricordi soprattutto come egli fu il primo Papa che volle ritornare in Terra Santa sulle orme di Cristo e che visitò per primo tutti i continenti; il Papa dell'Ecclesiam suam, della Populorum progressio, della Octogesima adveniens e dell'Evangelii nuntiandi per citare solo alcuni dei suoi documenti.

Di Paolo vi si parla spesso come di una persona incerta e dall'indole triste. È vero?

È vero il contrario.
Quanto alla sua presunta mestizia, basterà dire che Montini è l'unico Papa ad aver promulgato una esortazione apostolica sulla gioia (Gaudete in Domino, 1975).
Circa l'incertezza penso basti considerare qual è stata la sua determinazione nella pubblicazione dell'enciclica Humanae vitae. In realtà, al di là dell'umile sua costante sottomissione alla volontà del Signore, il tracciato dell'esistenza di Montini, costituisce un'ininterrotta testimonianza di fede e di amore alla Chiesa.
Vi è un tracciato luminoso che emerge con tutta evidenza anche attraverso le difficoltà che egli dovette superare. Una linea retta che assume il preciso significato di una volontà superiore che ha visto perfezionarsi, affinarsi, temprarsi questo spirito, delicato e forte a un tempo, sino alla guida della Chiesa universale.

In questi ultimi mesi si sono viste "in vetrina" varie biografie su Montini e Paolo VI. Forse che l'Istituto non debba promuoverne una che valga a superare almeno talune delle lamentate "approssimazioni descrittive"?

Non penso che tale impegno possa essere messo in cantiere a breve. L'Istituto sta compiendo un lavoro di analisi e di approfondimenti critici, che ritiene doverosamente preliminari.
Verrà poi una biografia edita dall'Istituto, ma non necessariamente da affidarsi a un solo autore. È vero che il tempo passa e le incrostazioni erronee possono radicarsi nelle opinioni di molti come dominanti, ma non penso che per ciò possa preferirsi l'apparire all'essere.

(©L'Osservatore Romano - 6 agosto 2008)

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