6 agosto 2008
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Su segnalazione di Eufemia leggiamo questo articolo, molto interessante, di Valli sulla figura di Paolo VI. Al termine un breve commento.
R.
PAOLO VI A TRENT’ANNI DALLA MORTE Benedetto XVI lo ricorda: seppe governare il Concilio
Il grande mediatore
Lo accusarono di essere “pensoso”, ma gli sviluppi postconciliari confermano che le sue preoccupazioni erano fondate. Valorizzò il ruolo dei laici
ALDO MARIA VALLI
Bressanone
Le parole che Benedetto XVI ha dedicato a Paolo VI durante l’Angelus di domenica scorsa Bressanone non sono solo di circostanza. Ricordando la figura di papa Montini a trent’anni dalla morte (6 agosto 1978) il pontefice ha detto: «La divina provvidenza chiamò Giovanni Battista Montini dalla cattedra di Milano a quella di Roma nel momento più delicato del Concilio, quando l’intuizione del beato Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma.
Come non ringraziare il Signore per la sua feconda e coraggiosa azione pastorale? Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l’assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post Concilio».
Espresse da Joseph Ratzinger, che prese parte attiva al Concilio come giovane perito, queste considerazioni hanno un valore che va al di là del semplice omaggio e hanno spessore storico e teologico.
Più passa il tempo e più il contributo e il ruolo di Montini nella conduzione del Concilio voluto da papa Giovanni appaiono nella loro grandezza. Quando era ancora arcivescovo di Milano, nell’ottobre del 1962, il futuro papa scrisse al segretario di Stato Cicognani una lettera in cui lamentava la mancanza di un disegno organico e logico dei lavori conciliari, e la conferma di questo giudizio stava nel fatto che la discussione sullo schema dedicato alla liturgia era stata anticipata in modo in fondo casuale. Già allora il cardinale Montini proponeva di far convergere il materiale preparatorio (una mole immensa ma anche disordinata di idee e suggerimenti) attorno all’idea di Chiesa in quanto emanazione di Cristo. Secondo l’arcivescovo di Milano il Concilio avrebbe dovuto concentrarsi in primo luogo attorno a una domanda sull’essenza della Chiesa (che cosa è precisamente?), per poi proseguire attraverso una seconda fase sulla missione della Chiesa (che cosa fa e che cosa deve fare?) e terminare con una riflessione sui rapporti fra la Chiesa e il mondo circostante, intendendo per “mondo” anche gli ambienti culturalmente e spiritualmente più lontani.
Una volta eletto papa, Montini si fece carico di questa impostazione più marcatamente logica e organizzata rispetto alla visione profetica e al ruolo carismatico di Giovanni XXIII. Avvertendo il bisogno di dare al Concilio una guida forte e un metodo di lavoro, si adoperò per una nuova articolazione del rapporto tra papa e vescovi.
Sempre rispettoso della collegialità episcopale, si trovò però a fare i conti con l’esigenza di non sminuire l’autorità papale, e qui incominciò il suo lavoro, faticosissimo, di mediazione tra le due istanze, assumendosi la responsabilità di portare a sintesi ciò che il dibattito tra i padri conciliari produceva.
Quando Benedetto XVI parla di merito «sovrumano» di Paolo VI si riferisce proprio a quest’opera di ascolto, tessitura e formulazione.
Dopo che il campo era stato arato, per Paolo VI si trattava di procedere a una «coltivazione ordinata e positiva ». Di fatto si trovò a mediare tra le paure e le chiusure dell’ala conservatrice e le spinte in avanti dei progressisti gestendo il timone della barca di Pietro in un mare pieno di insidie e guardando in avanti, all’eredità del Concilio, ben sapendo che i buoni frutti avrebbero richiesto tempi lunghi per maturare.
Questo suo ruolo di mediazione lo espose all’accusa di essere un pastore eccessivamente pensoso e alla fine incerto nella conduzione del gregge, ma proprio gli sviluppi del Concilio confermano che le sue preoccupazioni erano fondate. Visse fino in fondo l’ansia dell’adesione al Vangelo lasciandosi nello stesso tempo interrogare e anche mettere in crisi dalle domande della modernità.
La valorizzazione del ruolo dei laici cattolici resta una delle sue eredità più significative e attuali.
Istituendo nel 1967 il pontificio consiglio dei laici scrisse che tutti i cristiani devono esercitare secondo le proprie forze e il proprio stato la “missione di salvezza”. Un’opera da condurre a stretto contatto con la Chiesa istituzione per fornirle una “valido aiuto”. Esprimendo “stima” e “benevolenza” nei confronti dei laici, il papa si augurava che essi potessero sentirsi sempre più strettamente legati alla sede apostolica. È anche questa un’eredità sulla quale la Chiesa dovrebbe forse tornare a interrogarsi con coraggio.
© Copyright Europa, 5 agosto 2008 consultabile online anche qui.
Molto bello questo articolo. Finalmente vediamo vaticanisti che si sforzano di analizzare le parole di Benedetto XVI su Paolo VI ed il Concilio.
Solo una frase mi lascia perplessa:
"Una volta eletto papa, Montini si fece carico di questa impostazione più marcatamente logica e organizzata rispetto alla visione profetica e al ruolo carismatico di Giovanni XXIII"
Una cosa, a mio avviso, e' indire un Concilio con il plauso dei media e di gran parte della gerarchia ecclesiastica. Ben altra cosa, e ben piu' faticoso compito, e' quello di presiedere un'Assise conciliare, mediare e portare felicemente a termine un lavoro tanto gravoso. Arriva poi l'impegno sovrumano: gestire il post Concilio.
Non parlerei, quindi, di Papi carismatici e di Papi razionali. A ciascuno il suo ruolo e la sua importanza nella storia.
Con tutto il rispetto, l'immenso lavoro di Paolo VI va ben al di la' dell'indizione del Concilio anche perche' Giovanni XXIII era stato molto "generico" nell'indicare gli argomenti di cui l'Assise si sarebbe dovuta occupare.
R.
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