7 marzo 2008

Le "due Spagne" domenica al voto: lo speciale di Alberto Bobbio per "L'Eco di Bergamo". Interviste a Paloma Gomez Borrero e Eugenio Nasarre


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Sfida nelle urne per le due Spagne

Domenica il voto. I sondaggi: in vantaggio Zapatero L'attacco alla famiglia ha radicalizzato lo scontro

Alberto Bobbio

Zapatero corre verso la vittoria, sogna addirittura la maggioranza assoluta alle elezioni di domenica. E, come sempre ha fatto in quattro anni di governo, si pone come una sorta di messia: o con me o contro di me. Assomigliano ad elezioni presidenziali le politiche del 9 marzo. Non sembra che si debba rinnovare il Parlamento di Madrid. E la campagna elettorale dura da molto tempo con toni aspri, amplificati negli ultimi giorni dopo il faccia a faccia televisivo tra Josè Luis Rodriguez Zapatero e Mariano Rajoy, il leader, certamente più riflessivo e meno carismatico, del Partito popolare.
Zapatero cerca la vittoria sul campo dopo essere stato costretto, quattro anni fa, a vincere le elezioni dall'insipienza politica di Aznar che aveva attribuito all'Eta le bombe islamiche della stazione di Atocha. Ma cerca una vittoria assoluta, che non sarà facile, perché per quattro anni ha governato contro mezzo Paese, ha portato la Spagna cattolica sulla via del laicismo e di un libertarismo che non ha radici nella cultura della società. Per la vittoria totale servono più di dieci milioni di voti su 25 milioni di votanti. E oggi il rischio per Zapatero si chiama astensionismo, perché «l'effetto Atocha», il clamoroso autogol di Aznar, giocato su centinaia di cadaveri massacrati dalle bombe alla stazione di Madrid, oggi non conta più. Allora fu proprio l'alta partecipazione al voto a dare al Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) un successo insperato. È avanti in tutti i sondaggi, ma il margine ancora non basta. E sicuramente, comunque vadano le cose, il Partito popolare non diminuirà i suoi seggi.
La Spagna è una nazione divisa, anzi spaccata dalla politica aggressiva e libertaria di Zapatero. In questi anni ha governato con l'apporto quasi determinante dei nazionalismi, soprattutto quello del partito catalano. E forse è proprio questa eventualità, che potrebbe far decidere una parte, piccola, ma decisiva dell'elettorato socialista (non contenta delle ampie aperture nazionaliste alla Catalogna, ma anche alla Galizia e all'Andalusia e alla Comunità Valenciana, a cui Zapatero è stato costretto in questi anni) a voltar le spalle al lìder maximo e a scegliere i moderati di Mariano Raioy. La Catalogna e l'Andalusia quattro anni fa sono state determinanti. Non è un caso, dunque, che i due leader si giocheranno oggi la sfida decisiva, ma a distanza, in Catalogna: Zapatero a Barcellona e Rajoy a Girona, prima degli oceanici comizi previsti per questa sera a Madrid. Il giornale di riferimento di Zapatero, il laico «El Pais», sfodera alla vigilia sondaggi «bulgari» e accredita Zapatero dell'80 per cento voti, il catalano «Vanguardia» lo accredita del 67 per cento, e il moderato e vicino al Partito popolare «El Mundo» scende addirittura sotto il 44 per cento. È il segno che ancora tutto è incerto, anche se nessuno crede ad una vittoria sul filo di lana dei popolari. Tuttavia in una Spagna divisa a metà, dove sempre più spesso viene evocato il fantasma delle «due Spagne» salvate dallo scontro, dopo la morte di Franco, dalla lungimiranza del re e dell'abilità politica di Suarez e dei socialisti di Felipe Gonzales, tutto può accadere domenica sera all'apertura delle urne.
L'intera legislatura è stata occasione di scontro infinito tra i due partiti, che ha portato il Paese alla profonda divisione, nota in Spagna con il termine di «crispacion», una parola che mette insieme il concetto di corto circuito e quello dello spezzettamento, provocato da uno choc. Zapatero ci si è applicato con grande entusiasmo: dalla riforma del diritto di famiglia, al matrimonio gay, al divorzio express, al processo di pace fallito con l'Eta, alla gestione dell'economia. Ed è proprio l'economia che rischia di far diventare la prossima legislatura, la IX per la Spagna, un incubo. Il Paese moderno, rapido ed efficiente, che ha avvicinato il sorpasso sull'Italia, che fino a poco fa sbandierava la crescita più elevata tra i Paesi industrializzati, il Paese delle «reconquista» iberica, sta perdendo colpi. La disoccupazione è in aumento con più 8,6 per cento, che vuol dire quasi due milioni di senza lavoro. E i prezzi aumentano. Il latte costa di più che in Germania, dove gli stipendi sono il doppio di quelli spagnoli. Il problema della quarta settimana comincia a farsi sentire anche delle parti di Madrid. Il ciclo economico virtuoso spagnolo innescato dai grandi investimenti immobiliari negli ultimi 15 anni fatica ormai a riprodursi. La «bolla» sta scoppiando, perché c'è meno denaro liquido e i prestiti bancari sono sempre più difficili da ottenere. Sul fronte del governo sarà difficile finanziare investimenti immobiliari pubblici, per esempio case popolari per l'enorme numero di immigrati, a causa dei trasferimenti sempre più numerosi alle comunità regionali e alle tasse che restano ai governi locali.
Non si sa come farà Zapatero a mantenere le promesse elettorali: due milioni di posti di lavoro, 150 mila case popolari, 400 euro di meno di tasse per tutti i lavoratori e pensionati. Non è difficile prevedere grandi delusioni per la Spagna futura. E qualcuno potrebbe decidere che è arrivato già ora il momento di voltare le spalle a Zapatero non andando a votare o infilando la scheda bianca nell'urna. Resta l'Eta, che ha rotto la tregua nel 2006, e che potrebbe in queste ultime ore far sentire la sua voce. Con gran dramma per tutto il Paese.

© Copyright Eco di Bergamo, 7 marzo 2008


La Chiesa diventata bersaglio

L'ultimo schiaffo alla Chiesa viene dal municipio di Rivas-Vaciamadrid, insediamento popolare alla periferia della capitale. L'amministrazione comunale ha inaugurato ieri un servizio civile che consente ad ogni cittadino di sbattezzarsi. L'ufficio che emette il certificato di abiura è quello per la «Difesa dei diritti e delle libertà pubbliche». Sarà piccola, ma è un'altra sfida, che si aggiunge al «bombardeo» anticlericale e libertario contro la Chiesa, che Zapatero e il suo governo hanno messo in atto appena sei mesi dopo la vittoria socialista di quattro anni fa. Il leader ha messo da parte le cautele verso la Chiesa, che i socialisti della generazione precedente avevano utilizzato nel Paese più cattolico d'Europa.
Zapatero ha sempre sostenuto che le riforme, in materia di diritti civili, che hanno stravolto l'etica e i valori del Paese, erano necessarie per «migliorare le democrazia». In realtà hanno profondamente spaccato il Paese, portato in piazza milioni di spagnoli nelle più imponenti manifestazioni contro il governo mai viste nella penisola, e radicalizzato lo scontro con le gerarchie.

Il premier ha sfiorato più volte l'incidente diplomatico con la Santa Sede ed è stato l'unico capo di governo a disertare una messa del Papa. Non era accaduto nemmeno a Cuba. Invece José Luis, alla Messa di Benedetto XVI a Valencia per la Giornata mondiale delle famiglie nel 2005, proprio non ci è voluto andare. È occorsa tutta l'abilità dell'ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede perché gli ultimi anni tra Vaticano e Spagna non si tramutassero in un tumulto diplomatico. L'ambasciatore Vazquez è un socialista della vecchia guardia, cattolico di formazione, che mai ha approvato, come altri vecchi socialisti, l'ideologia libertaria radicale del giovane nuovo leader del Psoe. E con altri ha firmato, ad un certo punto delle legislatura, un documento duramente critico contro l'ipotesi di allargare le maglie della legge sull'aborto, come invece è stato fatto per il divorzio express.
Ma le scelte inopinate di Zapatero hanno portato ad un irrigidimento anche da parte della Conferenza episcopale. Lo si può capire e perfino giustificare. Così al più moderato e dialogante vescovo di Bilbao, Ricardo Blazquez Perez, al posto di presidente della Conferenza episcopale è stato eletto lunedì scorso il cardinale di Madrid Ruoco Varela, certamente più conservatore. Eppure la votazione ha segnato anche una spaccatura dentro la Chiesa perché l'elezione è avvenuta di misura con 39 voti contro 37, andati al presule basco. Un altro segnale del fatto che la Chiesa non ha alcuna intenzione di rinunciare alla propria difesa è stata proprio l'aver convocato l'assemblea a ridosso della consultazione elettorale. Ma i vescovi si sono astenuti dalla polemica in vista del voto di domenica, anche se «El Pais» non lascia passare un giorno senza polemizzare con le autorità religiose. Ieri dava conto di un'inchiesta sugli «enormi privilegi» concessi alla Chiesa cattolica. In Spagna funziona un sistema simile a quello italiano dell'8 per mille, solo con cifre più basse. Per ora il governo ha sempre negato di volerlo toccare, ma non sono mancate forti sollecitazioni a farlo.
È stata toccata invece la legislazione sulla famiglie e quella sull'ora di religione dopo un lungo braccio di ferro con la Conferenza episcopale. All'inizio della campagna elettorale i vescovi hanno pubblicato una Nota contro «le leggi gravemente ingiuste». Il vescovo di Gadalajuara, José Sanchez, ha rilevato che «non è bene che la questione religiosa diventi materia di confronto elettorale» e ha invitato ad evitare «non solo l'odio, ma anche la mancanza di rispetto verso la religione».
I vescovi, nella Nota, criticavano anche la politica di dialogo, poi fallita peraltro, del governo nei confronti dei terroristi dell'Eta. E su questo tasto sensibilissimo è partita nei confronti dei vescovi l'ultima accusa di intromissione. Ma il segretario generale della Conferenza episcopale, monsignor Comino, ha precisato che un conto è una presa di contatto con i terroristi, un altro considerarli alla stregua di veri e propri interlocutori politici.
Al. Bo.

© Copyright Eco di Bergamo, 7 marzo 2008

Se la visita del Papa in Spagna si fosse tenuta quest'anno (e non nel 2006) Zapatero sarebbe andato di corsa a Messa.
Peccato non potere scommettere...

R.


Il governo socialista ha spaccato la società

È stata la prima donna corrispondente all'estero della televisione pubblica spagnola. Paloma Gomez Borrero è forse la più nota giornalista spagnola. Amica personale del re Juan Carlos e della regina Sofia, ha avuto un rapporto privilegiato anche con Giovanni Paolo II. E durante la visita di Benedetto XVI a Valencia, due anni fa, fu l'unica giornalista ammessa al colloquio tra il re, la regina e Benedetto XVI.

Signora Borrero, come va la Spagna verso le elezioni?

«Divisa, troppo divisa. Ma nel mio Paese c'è un detto: o vai davanti al Crocifisso o vai picchiando il Crocifisso. Siamo troppo viscerali noi spagnoli. E purtroppo gli anni di governo di Zapatero hanno dato la stura ad antichi rancori».

Perché?

«La Spagna è stato l'unico Paese d'Europa dove la persecuzione contro i cattolici e la Chiesa è stata una tragedia immensa. In nessun altro luogo ci sono stati così tanti morti in un così breve periodo, cioè nei due anni della guerra civile. Con Suarez, alla scomparsa di Franco, si era arrivati alla riconciliazione, anche per merito della Chiesa. Gli spagnoli avevano capito che potevano vivere senza rancore, ma anche senza dimenticare».

E Zapatero?

«Ha riaperto la ferita, che si era solo cicatrizzata con la legge sulla memoria, costruita in modo da riportare a galla l'odio antico».

Qual è la posizione del re?

«Vede, la Spagna non è monarchica. È molto più repubblicana. Ma la Spagna in realtà è "juancarlista", perché il re ha garantito la successione democratica al Paese, senza sangue, senza rivoluzione, senza vendette. Oggi, di fronte alle tensioni e ad un Paese lacerato, Juan Carlos si sta comportando con grande prudenza».

Eppure in questi mesi è stato contestato.

«È vero. In Catalogna hanno bruciato immagini del re. Ma dalla Casa reale non c'è stata alcuna reazione. Il re continua a lavorare per la riconciliazione».

E la Chiesa? Non ha esagerato con le proteste contro Zapatero?

«Credo di no. Le cose che ha scritto nella nota sulle elezioni all'inizio della campagna elettorale le aveva già dette due anni fa e non c'erano state reazioni. È stato Zapatero a provocare nella società spagnola scintille continue».

Si può dire che Zapatero ha governato contro mezzo Paese?

«Sì. E le elezioni di domenica dimostreranno che il Paese è spaccato in due. E poi c'è il nazionalismo che torna in modo prepotente in alcune comunità e non solo in Catalogna».

La Chiesa dovrebbe trovare maggiore unità al suo interno per aiutare il Paese?

«Certamente. L'elezione a presidente della Conferenza episcopale del cardinale Madrid Ruoco è stata troppo risicata, con solo due voti di scarto. La divisione è marcata anche nella Chiesa. E la cosa non fa bene a nessuno. In Spagna non esiste un laicato cattolico impegnato nel sociale e nella politica come in Italia. La Chiesa, per l'opinione pubblica, sono i vescovi».

Zapatero, se vince, cosa farà?

«Non penso che toccherà il Concordato con la Santa Sede e spero che non procederà con l'idea di approvare una legge sull'eutanasia. Non si può stare sempre sul piede di guerra. Diventerà più prudente».
A. Bo.

© Copyright Eco di Bergamo, 7 marzo 2008


Il Paese oggi è più debole Addio al boom economico

«Se vincerà le elezioni Zapatero dovrà affrontare la peggior crisi economica della storia spagnola. Il boom è finito e le avvisaglie ci sono già. E per spostare l'attenzione aumenterà la pressione laicista sulla società».

Eugenio Nasarre, portavoce del Partito popolare alle Cortes, il Parlamento spagnolo, ex-sottosegretario alla cultura, ed ex-direttore generale della Radiotelevisione spagnola, traccia un quadro drammatico.

Come si presenta il Paese?

«Zapatero ha fatto rinascere due Spagne, ha tradito la politica della concordia di Suarez e poi di Felipe Gonzalez. Ha stretto un patto tra il suo laicismo anticlericale, il suo socialismo radicale e libertario e le forze nazionaliste. La conseguenza può essere molto grave».

Perché l'ha fatto? I vecchi socialisti gli avevano consigliato più moderazione.

«Gonzalez appartiene alla generazione che ha visto il franchismo, conosceva il dramma della divisione sociale e credeva in una socialdemocrazia temperata e moderna. Zapatero viene dalla generazione della caduta del Muro di Berlino e della crisi della socialdemocrazia. Ha sviluppato un socialismo libertario, radicale, femminista, ha adottato l'ideologia di genere che non distingue più tra uomo e donna. Ma lo ha potuto fare perché i dati economici erano ottimi. Adesso quel modello di crescita si è logorato».

C'è qualche segnale?

«L'aumento della disoccupazione. E sarà una crisi profonda soprattutto nei prossimi mesi. In Spagna il modello economico basato su grandi investimenti immobiliari non funziona più. Abbiamo un debito estero molto forte, pari al 10 per cento del Pil. L'economia spagnola è molto vulnerabile, ha bisogno di denaro e sta venendo meno la fiducia degli investitori».

Con un Paese diviso sarà difficile affrontare la crisi.

«Questo è il vero problema e Zapatero non se ne rende conto. Poi ha indebolito lo Stato, cedendo molto sul piano ideologico e su quello economico al nazionalismo».

Perché aveva bisogno dei voti dei nazionalisti per governare?

«In parte. Ma gli stessi leader nazionalisti catalani si sono stupiti delle concessioni che ha fatto Zapatero. Erano abituati a chiedere 10 a Madrid per ottenere 5. Con Zapatero hanno ottenuto subito tutto. E questo sta creando un effetto domino. Oggi richieste di maggior autonomia nazionale ci sono in Galizia, ma anche nella tranquilla Andalusia, oltre che a Valencia e nel Paese basco. Lo Stato è più debole e credo che sarà anche molto difficile reperire denaro per il sociale nelle prossime finanziarie. E con cinque milioni di emigrati, che hanno lavorato soprattutto nell'edilizia oggi in crisi, la situazione rischia di diventare esplosiva. Dunque Zapatero potrebbe rafforzare il processo di radicalizzazione verso la Chiesa per spostare l'attenzione».

La questione basca resta un tasto sensibile. Zapatero ha fallito.

«Ha cercato di negoziare promettendo troppo. Il negoziato è naufragato. Ha sbagliato a non tener conto della sensibilità nazionale sul problema basco. Il terrorismo basco ha fatto oltre mille morti e migliaia di feriti. Non si può pensare di risolvere il problema con la bacchetta magica come voleva fare Zapatero».
A. Bo.

© Copyright Eco di Bergamo, 7 marzo 2008

Vedi anche:

Zapatero: "Stop ai vescovi devono rispettare le nostre leggi" (Repubblica)

Nessuno, caro Zapatero, puo' impedire alla Chiesa di parlare...
R.

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