6 marzo 2008

Gli appunti conciliari di padre de Lubac. In un passaggio: "Bisogna leggere il "Doktor-Père" Ratzinger" (Osservatore)


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I "Carnets du Concile" di de Lubac

Gli appunti conciliari di padre Henri

di Philippe Levillain
Membro dell'Institut Universitaire de France
e del Pontificio Comitato di Scienze Storiche

"Un valente studioso - forse non ignoto ad alcuni di voi - ha enunciato tale relazione in un bel capitolo d'un suo libro con queste due proposizioni: la Chiesa fa l'Eucaristia, e l'Eucaristia fa la Chiesa".

Così Paolo VI definì indirettamente padre Henri de Lubac riferendosi pubblicamente ai suoi lavori - nel caso specifico a Meditation sur l'Eglise, pubblicato nel 1953 - nel corso dell'udienza generale di mercoledì 15 settembre 1965.
La quarta sessione del Concilio - che il Papa, attraverso "L'Osservatore Romano", del 6 gennaio, aveva fatto sapere sarebbe stata l'ultima - era stata aperta alcune ore prima dell'udienza. E padre de Lubac entrò come "Padre della Chiesa" nell'ordine del linguaggio teologico, oggetto di dibattiti delicati e a volte bellicosi dal 1962.
Nei suoi Carnets du Concile padre de Lubac riporta questa menzione a suo modo, il che rende l'idea della sua persona, al contempo dolce e ardente, suscettibile e caritativa, sempre generosa: "(...) Questa mattina, una decina di vescovi e di teologi, incontrati per caso, mi hanno parlato del discorso settimanale pronunciato ieri da Paolo VI; sembra che mi abbia citato ("la Chiesa fa l'Eucaristia, ecc.")".

L'edizione dei Carnets du Concile (Paris, Les Èditions du Cerf, 2007, I, pagine L + 567, euro 39; II, pagine 569, euro 36) di padre de Lubac, ricopre, al di là del Concilio stesso, il periodo preparatorio e inizia dal luglio 1960, ossia più di due anni prima dell'apertura del Concilio, quando il gesuita teologo è chiamato dal cardinale Tardini, come consultore della Commissione teologica preparatoria. L'eletto aveva sentito parlare di quella nomina qualche tempo prima, e si era chiesto "se la notizia fosse certa".

Essa fu confermata alcuni giorni dopo dal cardinale Ottaviani, "prescrivendo da quel momento il segreto". Fu in tale occasione che padre de Lubac iniziò a scrivere il suo giornale? La domanda è legittima in quanto sembra che l'edizione princeps, andata smarrita, contenesse note fin dal 1958. Regna un mistero attorno a questi Carnets, introdotti e commentati da Loïc Figouteux, con una premessa del gesuita François-Xavier Dumortier e di Jacques de Larosière, e la prefazione di Jacques Prévotat, cioè il mistero dell'apparente molteplicità delle versioni di un giornale di cui padre de Lubac aveva confidato all'autore di queste righe non essere stato fatto per la pubblicazione.
Padre de Lubac ritrovò Roma nel 1960, con emozione. Aveva sessantaquattro anni, età avanzata per l'epoca, e aveva avuto rapporti difficili con la curia. Il segno della grande incomprensione tra il teologo e la Chiesa romana, all'indomani della seconda guerra mondiale, era rimasto impresso nella sua singolare sensibilità, in seguito alla pubblicazione dell'enciclica Humani generis, del 1950; che metteva in guardia, nell'ambito dell'esegesi e della liturgia, da quanto Pio XII chiamava, riguardo alla gloria degli studi francesi, "i paracadutisti di Dio". Si sa dell'esilio interiore vissuto con discrezione da padre de Lubac, quale membro convinto della Compagnia di Gesù.
Furono dunque il rientro a Roma e l'ascolto della vita pulsante della Chiesa universale a conferire interesse a questi Carnets. Esperto ufficiale a partire dalla seconda sessione, esperto privato di monsignor Gilbert Ramanantoanina, arcivescovo emerito di Fianarantsoa (Madagascar), prende parte al Concilio con il rispettoso silenzio e l'intelligenza osservatrice di un uomo intimidito. Questo religioso ferito nel corso della prima guerra mondiale, il cui pensiero teologico si articola ben presto sulla relazione fra il naturale e il sovrannaturale, la via della rivelazione, l'incarnazione e la Chiesa, non è particolarmente a suo agio nell'ardente effervescenza di una Chiesa universale riunita in meditazione pastorale e che si deve confrontare con le esigenze dell'opinione pubblica fomentate dai mezzi di comunicazione sociale.

I Carnets di padre de Lubac costituiscono un'eccezionale testimonianza della vita quotidiana di un'istituzione posta per quattro anni sotto il segno della gioia, nonostante i momenti drammatici, e a volte molto drammatici, del cammino dell'impresa temeraria ispirata da Giovanni XXIII e dichiarata come tale il 25 gennaio 1959.

Padre de Lubac incontra una folla di personalità, teologi, vescovi, curialisti, e le rivolge uno sguardo più nominale che valutativo. A partire dall'apertura del Concilio, assiste alle congregazioni generali, e prende nota al volo degli interventi in latino di tutti i padri conciliari.

È almeno la parte dei Carnets che voleva essere la più moderna, e oggi in parte obsoleta, perché tutto è stato pubblicato ne Il Concilio Vaticano Secondo dei padri Caprile e Tucci. Resta comunque una formidabile lezione di umanesimo, una lettura che privilegia il latino e finisce a volte le frasi in francese, pur di cogliere tutto al volo. A differenza di alcuni giornali o taccuini del Concilio, quelli di padre de Lubac sono privi di acrimonia verso le persone, anche quelle che ritiene con severità che lo abbiano fatto soffrire negli ultimi anni del pontificato di Pio XII.

Costantemente presente e vigile durante le intersessioni, padre de Lubac fu uno dei grandi punti di riferimento della discussione difficile dello schema sulla Rivelazione: De duobus fontibus, tema del primo confronto fra ciò che la stampa chiamerà presto una maggioranza progressista e una minoranza conservatrice, in seno a un assemblea che discuteva del Verbo e della Tradizione. Queste pagine preziose e molto dettagliate danno un'idea perfetta della lucidità di padre de Lubac che aveva compreso la necessità di restaurare una parola originale e di farla comprendere agli uffici romani sui quali ultimi esprime alcuni giudizi severi.

Dei quali non è certo che egli abbia pensato che sarebbero stati destinati alla pubblicazione. A dire il vero, padre de Lubac è assai isolato; soprattutto egli ascolta.

Ha degli amici, come padre Jean Daniélou, dei corrispondenti intellettuali, come padre Gustave Martelet, persone che ammira - "bisogna leggere il "Doktor-Père" Ratzinger". Ha anche grandi interrogativi: il Concilio potrebbe fallire? Questi Carnets sono un'ammirevole disamina del lavoro estrinseco al Concilio Vaticano II nell'ambito delle commissioni, dei gruppi, degli scambi telefonici, delle conversazioni.

Vanno anche di pari passo con una straordinaria pazienza nella vitalità della Chiesa romana che egli considera subordinata al Verbo e alla teologia - discorso di Dio e non discorso su Dio - e alla sua fiducia nelle Scritture, fonti della missione della Chiesa.
A questa preziosa edizione, dotata di ottime appendici, che non fanno dopo tutto che ricopiare, senza citarli, ottimi libri, ma utili all'insieme, occorre aggiungere la lettura del primo volume dell'opera di Georges Chantraine (Henri de Lubac, de la naissance a la démobilisation, 1896-1919) che dà la misura di un destino. Non è certo che padre de Lubac ebbe coscienza di tale destino, ma fu consapevole di una vocazione, e in questa vocazione, della scrittura che, nel Concilio, fu un confronto permanente per mettere a punto la formulazione di un aggiornamento della Dottrina. È probabilmente per la scrittura, per il senso esatto delle parole, per lo spirito della loro storia e la portata del loro futuro, che i Carnets du Concile di padre de Lubac sono una lettura intertestuale appassionante. Forse bisognava dirglielo.

(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2008)

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