19 dicembre 2007

John Finnis (Oxford): la "Spe salvi" è un'enciclica giuridica


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Del diritto naturale e di un mondo senza speranza. La lezione di John Finnis

Andrea Monda

Roma. Due giorni prima della pubblicazione dell’enciclica Spe salvi, il 28 novembre scorso, presso l’University College di Oxford, si è tenuta una sessione celebrativa del decennale del blasonato Jurisprudence Discussion Group, occasione informale di scambio intellettuale per i giuristi e filosofi del diritto di lingua inglese, dal titolo: “Is there a positivist theory of law?”, con i professori John Finnis e John Gardner, entrambi di Oxford e Matthew Kramer, di Cambridge.
Se il titolo della manifestazione si riferiva all’esistenza di una teoria positivista del diritto, in sostanza gli illustri accademici hanno dibattuto sulla verità dell’affermazione riportata al numero 42 del documento pontificio: “Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza”. Un problema che, anche nelle aule di Oxford, non smette di ritornare come un fantasma che non trova requie è infatti proprio quello se la legge sia “fatta” o preceda l’attività del legislatore, inscritta nell’ordine della natura (o nella mente divina o nelle regole della fisica, a seconda dei gusti e dell’approccio cosmogonico). Dopo che Hegel ha stabilito la non scientificità del diritto naturale, la scienza del diritto è diventata scienza dello Stato con la “s” maiuscola, nonostante gli eventi geopolitici di questi ultimi anni lasciano immaginare come questa concezione si mostri obsoleta, per cui lo spettro è ancora in giro, sempre più inquietante, anche se in Italia sembra che se ne sia accorto solo il Pontefice. A Oxford non si è fatta mera accademia, ma si è parlato di problemi quanto mai concreti: la teoria positiva del diritto si oppone infatti alla concezione naturale del diritto in quanto privilegia l’attività umana del legiferare come creazione del diritto sulla presenza delle norme nella natura (o in quello che per natura si può intendere).

In Inghilterra, a differenza che in Italia e in altri paesi di civil law, non si è mai archiviata la questione del diritto naturale nel polveroso armadio dei cimeli e dei ricordi. Mentre in Italia chiunque venga “tentato” di discutere con la chiesa cattolica o di affrontare i problemi da essa sollevati rischia di essere considerato nella migliore delle ipotesi uno stravagante “fuori dal tempo” (ancora oggi ad Habermas non perdonano i suoi dialoghi con l’allora cardinale Ratzinger), nel mondo anglofono si affronta il tema del diritto naturale senza paura di apparire oscurantisti o fuori moda.

Connessa con tale vitalità è la questione, sottolineata nell’incontro di Oxford anche da un positivista brillante come Kramer, dell’ingresso dei principi morali nella fondazione della legge in quanto tale.
Per il professore di Cambridge si danno infatti due diverse forme di teoria positivista del diritto: prescrittiva e descrittiva; secondo la prima, propria ad esempio di H.L.A. Hart, l’iniziatore della jurisprudence anglosassone contemporanea, non vi deve essere alcun giudizio morale implicato nella formazione del giudicato o dell’attività legislativa. Secondo la versione descrittiva del positivismo, propria di Kramer stesso, ma anche di autori come Jules Coleman, non si può invece escludere che nel giudizio vi sia una interazione tra istanza puramente sistematico- legale e giudizi di valore, quindi morali.
Il positivismo come è stato professato in Italia dai suoi lari più noti (tra i quali spicca senza dubbio Norberto Bobbio e la multiforme schiera dei suoi più o meno interessanti seguaci) ovviamente rientra sotto la versione prescrittiva o anche come la si potrebbe chiamare “esclusiva” (o “alla Kelsen” per intenderci). Probabilmente più attuale oggi è cercare di capire però come è possibile pensare la convenzione della legge in generale, cercando di andare al di là della separazione sempre più porosa e osmotica tra legge e morale.
John Finnis è il più noto teorico del diritto naturale vivente e, forse anche per questo motivo “piacevolmente costretto” a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa e gli Stati Uniti per diffondere e difendere quello che in Italia spesso è considerato
nient’altro che una vecchia reliquia; nel settembre 2006, ad esempio, ha partecipato a Granada a un convegno sul diritto naturale patrocinato dall’arcivescovo andaluso Javier Martínez e organizzato dall’Università di Nottingham e l’istituto di filosofia “Edith Stein”. Nel suo ateneo, lo scorso 28 novembre Finnis ha puntualizzato, tra l’altro, come Aristotele e quindi l’Aquinate siano stati i primi a sostenere la necessaria separazione tra diritto e morale. Essi potrebbero essere considerati come i primi positivisti prescrittivi nella storia del pensiero giuridico, o quanto meno i più influenti nell’età precontemporanea. La problematica del bene comune è sempre al centro delle questioni inerenti il diritto naturale, insieme a quella della giustizia e a ciò che è necessario come mezzo per promuovere questi due fini del diritto. Al riguardo concordano anche i teorici non cristiani del diritto naturale, si pensi ai giacobini.
Ma oltre a Fichte e ai giacobini, tra i pensatori con cui Finnis si trova a dialogare sovente, rileva menzionare in primo luogo John Milbank, fondatore del movimento Radical Orthodoxy che si propone la riscoperta dei Padri della Chiesa e la valorizzazione del pensiero cristiano delle origini sulla scia di Hans Urs von Balthasar e in particolare di Henri de Lubac per quanto riguarda le questioni sulla natura e sulla grazia e questo permette di riallacciarci ancora con la seconda enciclica di Benedetto XVI che, anche esplicitamente, molto deve al saggio del teologo francese sugli “Aspetti sociali del dogma”, al punto da spingere il filosofo René Girard a definire la “Spe salvi” un’enciclica “sociale”.

Ora da Oxford sembra emergere un’altra definizione, un’enciclica “giuridica”: non si tratta soltanto di uno spettro che gira tra gli addetti ai lavori, ma di un piccolo documento che arriva nelle mani dei filosofi come della gente semplice ed è composto da poche, si spera inquietanti, pagine.

© Copyright Il Foglio, 19 dicembre 2007

1 commento:

lapis ha detto...

l'archiviazione definitiva del diritto naturale in Italia è forse più un'impressione con cui certa cultura e relativi media ci vogliono "intortare" piuttosto che un reale dato di fatto. In fondo la nostra carta costituzionale, non certo un fossile, ne porta alcune tracce evidenti: penso alla formulazione dell'art.2 secondo cui la repubblica "riconosce" e garantisce di diritti inviolabili dell'uomo...
quel "riconosce" in luogo di "stabilisce" o "determina" ci dice che il giusnaturalismo non è del tutto morto, ma che ha avuto e ha ancora ampia cittadinanza nel nostro ordinamento e lascia spazio a interpretazioni interessanti, anche per il futuro.