18 dicembre 2007
Ru486, i fatti e gli inganni: lo speciale di Avvenire
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Ru486, i fatti e gli inganni
DI ASSUNTINA MORRESI
Quando si parla di aborto le piccole percentuali non devono trarre in inganno: qualche punto percentuale calcolato su centinaia di migliaia di casi significa, in numeri assoluti, migliaia di donne.
Ad esempio, se anche solo un terzo dei 130 mila aborti effettuati in Italia (dati ministeriali sul 2006) si facesse con la pillola abortiva Ru486 – della quale da pochi giorni è in corso l’esame per la registrazione nel nostro Paese a cura dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) –, in base ai risultati ottenuti dalla sperimentazione del ginecologo radicale Silvio Viale all’Ospedale Sant’Anna di Torino per quasi tremila donne sarebbe necessario un «intervento di revisione dopo la prima emorragia», ma forse sarebbe più onesto dire un ulteriore intervento chirurgico. E poiché «nel 90 per cento dei casi i farmaci hanno funzionato come previsto, senza rischi e complicazioni» – e quindi nel 10 per cento c’è stato qualche problema – per più di quattromila donne la procedura farmacologica non avrebbe funzionato come previsto, e avrebbe comportato rischi e complicazioni.
Se si sviluppano le percentuali riportate con enfasi ottimista ieri dal Corriere della Sera riguardo i risultati della sperimentazione della procedura abortiva per via farmacologica effettuata a Torino (interrotta dalla magistratura nel 2006 per sospetta violazione della legge 194), si legge la conferma di un fallimento annunciato. Un fiasco che, applicato al nostro Paese, significherebbe per migliaia di italiane sottoporsi a due procedure abortive, anche a distanza di quindici-venti giorni l’una dall’altra. Giorni di pena passati in attesa di vedere l’embrione 'finalmente' abortito sull’assorbente, oppure direttamente nell’acqua del water, dopo aver ingerito la Ru486 per ucciderlo in pancia, poi il misoprostol per farsi venire le contrazioni ed espellerlo, e poi ancora gli antidolorifici perché i crampi sono troppo forti, e infine – nell’ultimo anno della sperimentazione torinese – anche gli antibiotici di routine.
Farmaci che però non sono efficaci nel caso di infezione causata dal batterio Clostridium, quella che ha ucciso almeno nove delle sedici donne morte finora per aborto chimico. Almeno quattro tipi di farmaci per un metodo 'non invasivo', insomma.
Non si deve temere di affrontare il dossier-Ru486 dal punto di vista dei suoi aspetti tecnico-clinici: è sulla base di questi, infatti, che l’Aifa sta decidendo se introdurre anche in Italia nei prossimi mesi un farmaco che per i suoi fautori introduce l’aborto 'dolce' e 'faida- te' ma che solleva interrogativi di portata pari alla lunga lista degli 'eventi avversi' che si è lasciato alle spalle nel mondo. L’Aifa, in altre parole, non è il passacarte di una partita già decisa (come di fatto sostiene il Corriere, che tace sui molteplici elementi negativi della pillola abortiva) ma esamina una pratica assai complessa e delicata, dalle numerose implicazioni.
La kill pill –la «pillola omicida», come viene anche chiamata negli Usa – tranne poche eccezioni gode invece di buona stampa in Italia, dove i grandi giornali raccontano di «soddisfazione» e di esperienze positive per chi usa la Ru486. Non approfondiscono però mai testimonianze come quella raccolta lo scorso luglio dalla rivista Marie Claire, nella quale una donna favorevole alla legalizzazione dell’aborto scriveva della sua esperienza con la pillola abortiva, del dolore violento delle contrazioni, del panico, della nausea, del suo correre «dal letto al bagno con la diarrea», per poi passare dopo quindici giorni a un profondo stato depressivo. Un autentico dramma, davanti al quale il suo ginecologo ammetteva che «probabilmente una donna su tre ha drammatici effetti collaterali, ma penso sia un dato sottostimato».
Analogo silenzio mediatico per la storia di una donna di Trento che la scorsa primavera ha raccontato di essere stata sottoposta a procedura farmacologica per svuotare l’utero, dopo un aborto spontaneo. L’embrione si era spento naturalmente, e le era stato somministrato il misoprostol per espellerlo, con un procedimento sostanzialmente identico a quello dell’aborto volontario con la Ru486: ma la penosa attesa di fare l’esperienza choccante di vedere l’embrione nel water dell’ospedale è durata ore. Ancora dobbiamo sapere, poi, come mai una donna cui è stata somministrata la Ru486 a Siena si sia rivolta al pronto soccorso del Policlinico Gemelli a Roma, per un collasso da emorragia.
Ma si possono imparare molte cose leggendo le testimonianze spontaneamente offerte da molte donne e riportate dal sito della Food and Drug Administration, l’ente farmacologico americano: di entusiasmo se ne vede veramente poco. In compenso tanto dolore, vomito, sangue: questo è l’aborto senza «nessun problema serio», come ha dichiarato il ginecologo Srebot al Corriere della Sera. Ma i fatti dicono altro.
© Copyright Avvenire, 18 dicembre 2007
la giurista
«Troppi rischi per le donne, è incompatibile con la 194»
DI ILARIA NAVA
«Mi chiedo come sia possibile affermare di voler introdurre la pillola abortiva nel nostro ordinamento rispettando la legge sull’aborto, mi sembra un’operazione contraddittoria dal punto di vista giuridico». A chiederselo, è Anna Maria Poggi, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino e preside della facoltà di Scienze della formazione dello stesso ateneo, commentando le affermazioni di chi rassicura sul fatto che l’introduzione dell’aborto chimico potrebbe avvenire senza violare la normativa vigente.
Professoressa Poggi, perché afferma che pillola abortiva e legge 194 sono incompatibili?
«Perché la legge sull’aborto prevede procedure e tempistiche ben precise, anche a tutela della salute della donna, ad esempio imponendo che l’interruzione della gravidanza avvenga in una struttura sanitaria; questo è reso possibile dal fatto che i tempi dell’aborto sono certi, che si sa esattamente quando si verificherà l’evento. Nel caso della Ru486, invece, l’evento è incerto, quindi più difficilmente controllabile. In teoria si dovrebbe prevedere il ricovero fino a che l’aborto non sia avvenuto, ma allora mi chiedo quale sia il vantaggio per la donna, visto che sarebbe una procedura più lunga».
Medici che l’hanno utilizzata dicono di aver fatto firmare alle donne una liberatoria per le dimissioni anticipate. Cosa ne pensa?
«A parte il fatto che l’esperienza torinese ha dimostrato che la pillola abortiva può creare talvolta seri problemi per la salute della donna, ho forti dubbi sul fatto che far firmare una liberatoria sia lecito dal punto di vista giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, vieta atti idonei a causare lesioni permanenti alla propria integrità psicofisica. Qui, infatti, si parla di un caso del tutto particolare, dove le dimissioni avvengono prima che l’evento si sia ancora verificato; non è quindi una questione di tenere sotto controllo una paziente dopo un’operazione o durante la convalescenza, bensì di permettere che l’aborto avvenga fuori dall’ospedale».
Per introdurre nel nostro ordinamento la pillola abortiva si dovrebbe modificare la 194?
«Certo. Nel nostro Paese esiste una legge sull’interruzione della gravidanza che prevede paletti e procedure ben precise. Quindi se si vuole introdurre uno strumento differente per arrivare al medesimo risultato è necessario cambiare la legge. Immagino che attraverso un decreto ministeriale si possa introdurre la pillola abortiva, ma solo in via sperimentale. Questo perché con un decreto ministeriale non si può certo derogare a una legge ordinaria come la 194.
Dovremo attendere di conoscerne i contenuti: l’eventuale decreto per l’immissione della Ru486 in Italia potrebbe essere impugnato se, non disciplinando bene la fase successiva alla somministrazione della pillola, la procedura dovesse risultare meno garantista rispetto a quella prevista dalla 194».
© Copyright Avvenire, 18 dicembre 2007
il ginecologo
«Si fa credere che sia facile tacendo i 16 casi di morte»
DI VIVIANA DALOISO
«Falsità su falsità. Scientifiche, prima di tutto». Dal suo studio romano il ginecologo Giuseppe Noia, direttore del Centro diagnosi e terapia prenatale del Policlinico Gemelli e docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica di Roma, scorre alterato numeri e grafici pubblicati ieri dal Corriere della Sera sulla Ru486.
Professore, perché è così contrariato?
«Me lo lasci dire: con operazione mediatiche come questa si sta facendo un affronto alla scienza medica e a centinaia di studi e documenti elaborati in ogni parte del mondo da dieci anni a questa parte sull’aborto farmacologico e le sue conseguenze ».
Eppure sarebbero un milione le donne che in 10 anni hanno utilizzato la Ru486 nel mondo, 2 mila in Italia negli ultimi tre, 100 le confezioni di Ru486 che la Exelgyn invia ogni mese nel nostro Paese...
«Ma questi numeri non significano proprio niente! Io, che li leggo da ginecologo, inorridisco. I rischi che l’assunzione di un farmaco comporta, i suoi effetti deleteri sul corpo e sulla psiche di un paziente, non si misurano certo dal numero di persone che ne fanno uso nel mondo. Perché tra questi numeri non viene mai citato che sono già 16 le donne morte in seguito all’assunzione di Ru486? O che 950 segnalazioni sono giunte alla Food and Drug administration americana in seguito a complicazioni e gravi effetti collaterali causati dal farmaco? E perché mai quando si spiega come avviene l’aborto da Ru486 viene precisato che la pillola provoca l’espulsione dell’embrione 'senza il trauma dell’intervento chirurgico' e non si fa alcun cenno al trauma ben più grave che deriva da quell’espulsione, che avviene nel bagno di casa, sotto gli occhi della donna?».
A questo punto qualcuno le citerebbe i 272 'successi' registrati al Sant’Anna di Torino...
«...citando cioè come fonte scientifica credibile una sperimentazione interrotta dalle autorità giudiziarie per vizi procedurali! Vorrei ricordare che lo stop imposto a Viale e al suo team derivò dall’indagine degli ispettori dell’Agenzia italiana del farmaco, che nel rapporto segnalarono numerose irregolarità, come il caso di una paziente che aveva avuto un’espulsione parziale con seguito emorragico fuori dal ricovero ospedaliero. Sarebbe forse questo un caso esemplare della necessità di introdurre la Ru486 nel nostro Paese?».
Professore, insomma, perché ce l’ha tanto con la Ru486?
«Perché è una pratica medica pericolosissima, capace di causare infezioni anche mortali nel corpo della donna, come testimoniato da tutta la letteratura medica; perché non rispetta la donna, facendole credere che l’aborto sia una passeggiata per poi gettarla nel trauma che deriva da quest’ultimo, per giunta completamente sola: un fardello psicologico inquantificabile; e perché va contro la legge 194 e le motivazioni che spinsero ad adottarla (in primis quella di eliminare la clandestinità dell’aborto), favorendo la privatizzazione dell’interruzione di gravidanza ».
Motivazioni scientifiche, non 'cattoliche'...
«La Ru486 non è pericolosa solo per i medici cattolici o per ragioni confessionali. Lo è perché così ci dice la scienza medica. E a chi tra i miei colleghi ancora non lo sa dico: documentiamoci. Il nostro mestiere, e l’onestà nei confronti delle donne, ce lo impone ora più che mai».
© Copyright Avvenire, 18 dicembre 2007
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