8 gennaio 2008

Corradi (Avvenire): nessun anatema da parte del Papa, nessun "ordine" contro la 194, ma invito a ricominciare dalla "cultura" intesa come dibattito...


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«Diritti umani ovunque senza eccezioni»

DISCUSSIONE LAICA, RAZIONALE, NON EMOTIVA
CORAGGIO DI PORRE A TEMA IL VALORE PRIMORDIALE DELLA VITA


MARINA CORRADI

Che la moratoria dell’Onu sulla pena di morte «stimo­li il dibattito pubblico sul carat­tere sacro della vita umana». È pacato l’inciso del Papa, nel di­scorso rivolto ai rappresentanti del Corpo diplomatico, e dedi­cato agli scenari mondiali.
Pen­soso, quasi denso di una acco­rata umiltà: quella comunità in­ternazionale che dice 'no' alla pena capitale, riconoscendo in sostanza una intangibilità della vita umana, si interroghi pub­blicamente sul diritto alla vita, fin dal suo inizio.

È un invito, an­zi un 'fare voti', secondo l’e­spressione letterale di Benedet­to XVI: se la morte non può es­sere data per una intrinseca sa­cralità della vita anche del peg­giore degli uomini, andiamo ol­tre, vediamo in quale direzione ci porta questo asserto, quando parliamo di principio della vita.

Guardate, sembra dire il Papa: la vita che la comunità politica internazionale difende con la moratoria dell’Onu, non è la stessa, non incomincia già in quel tempo in cui viene invece 'normalmente' eliminata nel mondo 50 milioni di volte al­l’anno?

Non ha toni da anatema quella frase, né è, tra le righe, l’'ordi­ne' dal Vaticano di smantellare la legge sull’aborto di questo o quello Stato. Coloro che, in Ita­lia ad esempio, ripetono sempre e soltanto che «la 194 non si toc­ca » non hanno motivo di inal­berarsi. Il Papa dice una cosa al­tra o precedente: che si apra, o­vunque, una riflessione pubbli­ca sul carattere sacro della vita. Come una spinta, sul tema del­l’aborto, a ricominciare dalla 'cultura', intesa come dibatti­to, visione del mondo, educa­zione.

L’inciso del Papa sottolinea una contraddizione: se sulla inam­missibilità della pena capitale oggi l’occidente democratico è d’accordo, sull’aborto inteso co­me diritto intangibile invece re­siste almeno in Italia una sorta di tabù, di stereotipata reazione pavloviana: «La 194 non si toc­ca ». Ma – fermo restando che, visti i progressi delle tecniche di rianimazione neonatale, sem­bra necessario porre almeno un limite temporale all’aborto te­rapeutico – l’accento posto da Benedetto XVI va innanzitutto sul piano culturale. Più sull’a­pertura a un nuovo sguardo che a battaglie politiche contro una legge che resta sostanzialmente iniqua per le quali, oggi in Italia, non paiono esserci le condizio­ni; battaglie che invece – ciò che alcuni pro-life non colgono su­bito – potrebbero schiudere la porta a derive gravi sul fronte ampio della legislazione in ma­terie bioetiche.
Sul Corriere di ieri il vicediretto­re Pierluigi Battista diceva, da laico, qualcosa di non molto di­verso su quello che potremmo chiamare il 'primato della cul­tura': e cioè che l’unico modo per tornare a discutere di abor­to è nello «sfidare il senso co­mune sulla base di un argo­mento culturale».
La 194 non si tocca, scrive Battista, ma perché, si domanda lealmente, anche la cultura sull’aborto deve aspira­re a uno statuto di intoccabilità? È una domanda interessante da girare a quanti abbiano il corag­gio di guardare all’aborto come è oggi: fenomeno di massa, in buona parte di extracomunita­rie, o prassi normale tanto da pensare di risolverla con una pil­lola.
È una domanda molto lai­ca, là dove invece alcuni, come Antonio Scurati sulla 'Stampa', nell’inneggiare a un’Italia mo­noliticamente «laica e materia­lista » definiscono l’embrione «macchia di gelatina fetale» o «poltiglia di materia cieca».

Mac­chia, poltiglia, come dire un nul­la. Espressioni stranamente vi­rulente in bocca a un 'laico' che poi accusa cattolici e 'atei de­voti' di agire in preda a un «pa­nico morale».

Mentre a noi pare che solo un inconfessato panico possa far chiamare un embrione «gelati­na ». Il panico di chi ha come i­dolo la assoluta libertà indivi­duale, indifferente a ogni altra i­stanza etica. E non intende fare un solo passo per vedere una di­versa realtà, che potrebbe nuo­cere al suo personale diritto – cioè al suo unico dio, feroce­mente difeso da un 'laico' tabù.

© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2008

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