8 gennaio 2008

Se si confina la Parola di Dio a un testo si impoverisce la Rivelazione (Zenit)


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Se si confina la Parola di Dio a un testo si impoverisce la Rivelazione

Convegno di studio alla Lateranense in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi

Di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 7 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La Chiesa, in quanto “religione dello Spirito” che vivifica la Scrittura rivelandone gradualmente il contenuto, non può confinare la Parola di Dio a un libro senza impoverire la Rivelazione.
E' quanto è emerso dal Convegno di studio, tenutosi il 4 e il 5 dicembre 2007, alla Pontificia Università Lateranense, e il cui scopo è stato quello di offrire spunti di riflessione per i padri sinodali che si riuniranno il prossimo ottobre intorno al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".

Nell'introdurre i lavori assembleari monsignor Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense, ha sottolineato che quello affrontato è un “tema determinante per la vita della Chiesa e per l'esistenza personale di ogni fedele”, addirittura il “cuore pulsante di tutta la sua vita”.

Il presule ha poi tracciando un breve bilancio dei 40 anni trascorsi dall'uscita della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, affermando che, in generale, si è potuto osservare “un movimento di rinascita degli studi biblici”, e “un incontro sempre più consapevole con la Sacra Scrittura”.
Dall'altra parte, però, alcune statistiche diffuse nei mesi scorsi “lasciano perplessi sulla reale conoscenza del Testo sacro da parte della stragrande maggioranza del popolo cristiano”, ha aggiunto il Vescovo Fisichella.
Una inchiesta realizzata nell'ottobre del 2007, per conto della rivista Famiglia Cristiana, dalla Coesis Research e condotta su un campione di 803 persone, rappresentativo della popolazione adulta, ha infatti dato come risultato che l'84% degli italiani (che pur si dichiarano credenti per il 68%) non ha mai letto i quattro Vangeli, mentre soltanto il 15% dichiara di averli letti per intero nel corso della vita.
Secondo il presule, allo stesso modo, in ambito teologico, si è potuto osservare “come la novità apportata della Dei Verbum circa l'unità della fede della Parola di Dio non sia stata colta e svilupata in tutta la sua portata e originalità”.
Infatti, mentre la teologia precedente il Concilio “si attardava volentieri sulla divisione tra Scrittura e Tradizione”, la Dei Verbum “compie un passo in avanti recuperando la tradizione patristica medievale circa l'unicità della fonte della rivelazione della Parola di Dio che viene trasmessa mediante la Scrittura e la Tradizione”.

Secondo Fisichella, “la Parola di Dio non può essere identificata con la sola Scrittura”, perché ciò porterebbe a “un impoverimento della Rivelazione” e “avrebbe delle conseguenze nocive anche nella vita pastorale”.
“Se la Parola di Dio, infatti, fosse solamente scritta non potrebbe rimanere viva, essa sarebbe confinata a un testo senza una genuina relazione con la Chiesa che vive ed esplicita se stessa nella mediazione”.
“Il riferimento ecclesiale quindi permette alla Scrittura di essere compresa” e “obbliga ad accogliere il suo contenuto come norma di regola per la vita della Chiesa”, ha detto.
“Ciò comporta la deprivatizzazione della Scrittura da una interpretazione soggettiva limitata a una sola interpretazione per immetterla in un orizzonte di senso globale che nel corso dei secoli ha guidato la vita dell'intero popolo di Dio”, ha aggiunto.
“Quando ci si riferisce alla Scrittura si è di fronte ad un processo di interazione molto più ampio e inesauribile”, il cui “contenuto è sempre aperto ad una verità più profonda e grande”, ha sottolineato monsignor Fisichella.

“La Bibbia, insomma, riflette la Rivelazione e la esprime senza esaurirla”, come dimostra il fatto che essa “continua a provocare la vita di generazioni in tempi sempre nuovi e diversi”.

La Parola di Dio, allo stesso mondo “non può essere relegata a un libro perché il passato e il presente trovano sintesi nell'oggi della fede”, anche se “questo chiaramente non si esaurisce in un presente temporale o in un'ermeneutica che si erige a definitiva scoperta di senso”.
In questo orizzonte vanno analizzati la natura e il ruolo della Tradizione, “che deve essere mantenuta viva”, e trasmessa in “maniera viva” dalla Chiesa.
La comunità cristiana, ha sottolineato infine, diviene quindi “soggetto della trasmissione della Tradizione”, e allo stesso tempo “espressione privilegiata per cogliere il senso profondo della Sacra Scrittura e il progresso della fede e quindi lo sviluppo del dogma”.
Nel suo intervento, invece, padre Prosper Grech, O.S.A., docente all’Istituto Patristico “Augustinianum” e per trentadue anni professore invitato al Pontificio Istituto Biblico, ha discusso brevemente i meriti e le lacune del metodo storico-critico, proponendo dei presupposti ermeneutici in grado di andare al di là di una lettura ultra critica della Bibbia per trarre da essa il giusto nutrimento spirituale.
Nella Scrittura stessa, ha spiegato, si radicano delle regole di reinterpretazione “che descrivono il modo in cui un testo di un oracolo o di una legge passa attraverso successive riletture nel periodo veterotestamentario fino ad acquistare un senso più pieno nel Nuovo Testamento”.
Questi presupposti “offrono un modello alla Chiesa e ai credenti per una lettura spirituale che possa permettere allo Spirito di parlare oggi nella liturgia, nell’ambiente sociale e in quello teologico per animare l’aridità in cui spesso ci lascia un’analisi ipercritica del testo biblico”.
Alla luce di ciò, il senso spirituale della Scrittura può essere definito come “il messaggio che lo Spirito Santo intende comunicare in un tempo o in una circostanza particolare alla Chiesa o al credente mediante un testo biblico nel suo senso letterale, ovvero attualizzandone le sue potenzialità di interpretazione”.

La Chiesa, infatti, “non è 'una religione del libro', un libro morto, ma la religione dello Spirito il quale rende vivo questo libro in ogni tempo e in ogni circostanza storica che richiede un messaggio specifico hic et nunc per arrivare ad una decisione esistenziale di fede”.

Allo stesso modo, ha aggiunto padre Grech, “la nostra Bibbia canonica non è un libro calato dal cielo o dettato dall’angelo Gabriele come i musulmani concepiscono il Quran. Esso è il termine di un processo dinamico, durato centinaia di anni, di un complesso di profeti, di sapienti, di tradenti, di copisti e di glossatori”.

“Il testo canonico è in un certo senso una cristallizzazione che bisogna costantemente scongelare per mezzo di una rilettura nella Chiesa per proseguire quella dinamicità spirituale che l’aveva prodotto, dentro la medesima storia della salvezza, e per opera dello stesso Spirito che segue il testo dalla sua nascita per tutta la sua vita”, ha affermato.

Il plus di significato della Scrittura, il sensus plenior va quindi inteso come “una rivelazione graduale del contenuto del testo da parte di quel Dio che lo aveva ispirato sin dall’inizio e che guida la storia del suo popolo, man mano riempendo quelle parole con nuovi significati”.

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