8 gennaio 2008
La Chiesa ha bisogno dei gesuiti all'incrocio tra fede e cultura (Osservatore Romano)
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Messa del cardinale Franc Rodé in apertura della Congregazione generale della Comapagnia di Gesù
La Chiesa ha bisogno dei gesuiti all'incrocio tra fede e cultura
Fabrizio Contessa
Un lavoro e anche una distrazione. Questo erano al tempo di Ignazio di Loyola le Congregazioni Generali, il massimo organo di governo dei gesuiti, poiché - affermava lo stesso Ignazio - venivano a interrompere momentaneamente i normali impegni apostolici. Ora, dopo quasi cinquecento anni, evidentemente, non è più così. E la trentacinquesima Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, che si è aperta lunedì 7 a Roma, con all'ordine del giorno in primo luogo la scelta del successore del preposito generale, padre Peter-Hans Kolvenbach, si presenta soprattutto come un impegno "difficile", "scomodo" e "rischioso", come un "compito necessario per la Chiesa".
Soprattutto perché appare sempre più urgente la presenza generosa di religiosi che, fedeli al carisma ignaziano, si pongano all'"incrocio tra la Chiesa e la società, tra la fede e la cultura" e nella fedeltà al Papa sappiano respingere con decisione, principalmente in campo dottrinale, quel "relativismo senza orizzonte" che tanto "disorienta i fedeli".
Lo ha affermato con chiarezza il cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, che ha presieduto nella storica chiesa del Gesù - tanto cara alla Compagnia e che custodisce le spoglie del fondatore - la messa per l'inizio della Congregazione Generale.
Insieme con il porporato hanno celebrato il padre Kolvenbach, il segretario della Compagnia, padre Francis Case, e i 222 delegati - dei quali 218 con diritto di voto - che già dal pomeriggio di oggi e poi nelle prossime settimane proseguiranno i lavori della Congregazione generale nella sede di Borgo Santo Spirito. Presenti al rito - celebrato in latino, ma con letture bibliche e preghiere pronunciate in diverse altre lingue - i cardinali gesuiti Roberto Tucci, Urbano Navarrete e Tomás Spidlik. Tutti al termine della celebrazione - con l'accensione da parte di padre Kolvenbach di una lampada votiva davanti all'altare che accoglie per la venerazione il corpo di sant'Ignazio - hanno posto nelle mani del fondatore i lavori della Congregazione Generale perché "possiamo in tutto amare e servire il Signore".
È la seconda volta nella plurisecolare storia della Compagnia di Gesù che una Congregazione Generale si riunisce per eleggere un nuovo preposito generale mentre è ancora in vita il suo predecessore. Accadde già nel 1983, quando la trentatreesima Congregazione accettò la rinuncia di padre Arrupe, costretto da una grave infermità a rinunciare all'esercizio delle funzioni di governo. Il cardinale Rodé nell'omelia pronunciata in spagnolo - la lingua che fu di sant'Ignazio - ha come prima cosa inteso esprimere "a nome della Chiesa e mio personale" un vivo ringraziamento al padre Kolvenbach che per quasi venticinque anni ha diretto la Compagnia di Gesù con "sapienza, prudenza, impegno e lealtà". Un esempio, ha detto, di "umiltà e povertà".
Oltre all'elezione del nuovo preposito generale - ha sottolineato il cardinale Rodé - "questa Congregazione si riunisce anche per trattare materie importanti e molto difficili che riguardano tutto il corpo della Compagnia, come pure il modo in cui attualmente essa procede. Le tematiche sulle quali rifletterà la Congregazione Generale vertono su elementi fondamentali per la vita della Compagnia. Vi interrogherete certamente sull'identità del Gesuita oggi, sul significato e valore del voto di obbedienza al Santo Padre che da sempre ha qualificato la vostra Famiglia religiosa, la missione della Compagnia nel contesto della globalizzazione, dell'emarginazione, la vita comunitaria, l'obbedienza apostolica, la pastorale vocazionale, ed altre tematiche importanti".
Si tratta, dunque, di un compito impegnativo, che certamente "non è una "distrazione" dalla vostra attività apostolica", ha detto il cardinale facendo riferimento alla citata espressione ignaziana. Anche perché l'impegno per discernere i segni dei tempi, le difficoltà e le responsabilità di operare delle decisioni finali sono tutte attività alla base "di una nuova primavera dell'essere religioso e dell'impegno apostolico di ogni confratello della Compagnia di Gesù".
Ma i gesuiti, ha ricordato il porporato, non lavorarono solo per loro stessi: "Sono molti gli Istituti di vita consacrata che, partecipando alla spiritualità ignaziana, guardano con attenzione alle vostre scelte; sono molti i futuri sacerdoti che nelle vostre università e atenei si preparano ad esercitare un ministero; sono molte le persone che dentro e fuori la Chiesa frequentano i vostri centri di insegnamento con il desiderio di trovare una risposta alle sfide che la scienza, la tecnica, la globalizzazione, l'inculturazione, il consumismo e la miseria, pongono all'umanità, alla Chiesa e alla fede, con la speranza di ricevere una formazione che li renda capaci di costruire un mondo di verità e di libertà, di giustizia e di pace".
Lo sguardo si apre all'orizzonte vasto della vita consacrata dove ogni giorno migliaia di religiosi e religiose generosamente rispondono al Signore e si consacrano con "cuore indiviso".
Tuttavia, il porporato non ha potato nascondere la "tristezza" e l'"inquietudine" per un certo sensibile decadimento in molte famiglie religiose del "sentire cum Ecclesia di cui parla il vostro fondatore". Proprio per questo, ha proseguito, la "Chiesa aspetta da voi una luce per restaurare il sensus Ecclesiae".
Parimenti - ha rilevato ancora il cardinale - "con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla Gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico "sotto il Romano Pontefice" non accetta questa separazione.
Nelle Costituzioni che vi ha lasciato come norma di vita, Ignazio volle veramente plasmare il vostro animo e nel libro degli Esercizi scrisse: "Dobbiamo tenere un animo apparecchiato e pronto per ubbidire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la Santa Madre Chiesa gerarchica". L'obbedienza religiosa si concepisce soltanto come obbedienza nell'amore. Il nucleo fondamentale della spiritualità ignaziana consiste nel riunire l'amore di Dio con l'amore alla Chiesa gerarchica".
I tempi sono cambiati e l'intera Chiesa ha certamente bisogno del carisma ignaziano per affrontare nuove e urgenti necessità. Il cardinale ne individua una, quella di "presentare ai fedeli e al mondo l'autentica verità rivelata nella Scrittura e nella Tradizione", poiché "la diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte". Anche per questo il cardinale ha auspicato che "coloro che, secondo la vostra legislazione, devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le "regole per sentire cum Ecclesia" con amore e rispetto".
Così, di fronte alla sempre crescente separazione tra fede e cultura che costituisce uno dei principali ostacoli all'evangelizzazione, il cardinale ha richiamato la grande tradizione della Compagnia di Gesù che "si è posta sempre all'incrocio tra la Chiesa e la società, tra la fede e la cultura, tra la religione e il secolarismo.
Recuperate tali posizioni di avanguardia così necessarie per trasmettere la verità eterna al mondo di oggi, con un linguaggio di oggi. Non abbandonate questa sfida. Siamo coscienti che il compito è difficile, scomodo e rischioso, e a volte poco apprezzato, se non addirittura mal compreso, ma è un compito necessario per la Chiesa".
(©L'Osservatore Romano - 7-8 gennaio 2008)
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