5 marzo 2008

Confessori più formati per fronteggiare la crisi del sacramento (Osservatore Romano)


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Il "corso sul foro interno" del tribunale della Penitenzieria apostolica

Confessori più formati per fronteggiare la crisi del sacramento

Dopo vocazioni e istituto matrimoniale anche il sacramento della penitenza deve confrontarsi con un periodo di crisi che, sebbene si sia manifestato già da qualche decennio, si acuisce sempre di più e comincia addirittura a "varcare anche le soglie dei seminari, dei collegi e degli istituti ecclesiastici".

Il grido d'allarme è stato lanciato da monsignor Gianfranco Girotti, il vescovo reggente del tribunale della Penitenzieria apostolica, all'inaugurazione del "Corso sul foro interno" che, iniziatosi lunedì 3 marzo presso il Palazzo della Cancelleria, si concluderà sabato 8. Monsignor Girotti ha riproposto i risultati di una non recentissima indagine sociologica dell'Università Cattolica, per sottolineare proprio il grave stato di difficoltà che si riscontra oggi nella percezione di questo sacramento "così fondamentale per la salute e la santificazione delle anime". I dati cui ha fatto riferimento sono quelli pubblicati nel 1998. Sono dunque certamente datati, ma sono anche gli ultimi in ordine di tempo e, almeno stando alle preoccupazioni di Girotti, c'è da credere che non siano migliorati, anzi. Secondo l'indagine - riferita, ad onor del vero, alla sola situazione italiana - il 30% dei fedeli non ritiene necessaria la presenza dei sacerdoti nei confessionali. Il 10% la ritiene anzi un impedimento per il dialogo diretto con il Signore, mentre un 20% riferisce difficoltà nel parlare con un'altra persona dei propri peccati. Altri, infine, si lamentano del modo di confessare di alcuni sacerdoti o della loro incapacità di penetrare il mistero delle coscienze.
È proprio per fronteggiare questo stato di cose che la Penitenzieria apostolica si è fatta carico di promuovere il corso attuale. L'intento è " irrobustire la formazione dei sacerdoti, ministri della riconciliazione".
La lezione iniziale del corso - affidata al gesuita Ivan Fucek, prelato teologo della Penitenzieria - è stata dedicata all'istituto del "foro interno". Secondo la dottrina anteriore al codice del 1983, per foro interno si intendeva tutto ciò che riguardava la coscienza personale. Oggi, ha spiegato padre Ivan, la definizione si ricava tenendo conto di due differenti modi di esercitare l'unica potestà di giurisdizione. Premesso che la nozione di "foro" indica l'ambito e l'estensione degli effetti di tale esercizio bisogna distinguere: "Se l'esercizio della potestà di giurisdizione avviene in modo che la comunità ne ha una legittima conoscenza perché ci sono prove legittime - ha detto - allora si ha esercizio nel e per il foro esterno", se invece "l'esercizio della potestà e i suoi effetti rimangono occulti alla comunità, perché mancano prove, allora - ha spiegato ancora il gesuita - si ha esercizio di giurisdizione per e nel foro interno, sacramentale e non, a seconda che l'esercizio di questa potestà avvenga nella celebrazione del sacramento della penitenza o al di fuori". Il foro interno è caratteristica "propria ed esclusiva della Chiesa" poiché "per istituzione divina ha tale mandato e relativi poteri".
A monsignor Girotti invece il compito di fermare l'attenzione sul sacramento della penitenza e su alcuni particolari aspetti della missione del confessore, in rapporto ad alcune categorie di penitenti ritenute "speciali". Il primo riferimento è per i divorziati e le coppie irregolari. Di fronte a queste persone, ha detto il vescovo, la dottrina e la prassi ufficiale della Chiesa cercano di percorrere una via che le consenta comunque di rimanere fedele al mandato di amministrare il perdono e la misericordia di Dio. Per questo il confessore ha il dovere di proporre di volta in volta soluzioni che portino alla sanazione della situazione o alla trasformazione della convivenza in un rapporto di amicizia e di solidarietà, uniche condizioni per potersi nuovamente accostare all'eucaristia. La raccomandazione per i confessori è che si prendano tuttavia sempre cura dei divorziati risposati, soprattutto nel caso in cui siano malati o in pericolo di vita. "Anzi - ha aggiunto il vescovo - essi devono avere un loro posto preciso nell'amore sollecito del pastore di anime e non solo in queste situazioni limite, ma anche nell'attività pastorale quotidiana" perché "una pastorale che si ispira al Vangelo non può e non deve mai far disperare qualcuno". È chiaro che "nell'ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti - ha ribadito il presule - il sacerdote non può seguire il proprio gusto, ma deve orientarsi secondo i criteri oggettivi della dottrina e della vita della Chiesa".
Particolare impegno richiede al confessore ciò che riguarda la categoria di peccatori tra le persone consacrate o i candidati al sacerdozio o alla vita consacrata. L'atteggiamento del confessore nei loro confronti, ha spiegato Girotti, deve essere quello del "giudice giusto" e del "buon medico dello spirito", ricordando che "spesso la durezza è stata fatale per molti". Dunque "mai assumere il tono apocalittico". Un accenno a parte è stato fatto per quanti mostrano tendenze omosessuali, nel loro percorso di avvicinamento al seminario e agli ordini sacri. Monsignor reggente ha ricordato quanto disposto in proposito dall'Istruzione normativa pubblicata il 4 novembre del 2005: "La Chiesa non può ammettere al seminario o agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta "cultura gay", cioè quei candidati che presentano un'attrattiva esclusiva nei confronti di persone dello stesso sesso - indipendentemente dal fatto che abbiano o no vissuto esperienze erotiche".

Il confessore, in casi del genere, può ricoprire un ruolo fondamentale e per questo deve conoscere a fondo la normativa. Deve essere in grado di discernere "la tendenza omosessuale profondamente radicata" e quella "non profondamente radicata", cioè deve capire se il comportamento omosessuale sia permanente e generato da un bisogno interno, o se sia legato a condizioni esterne e transitorie (ubriachezza, accondiscendenza verso un superiore, per soldi o per aver vissuto anni e anni in carcere).

Nel primo caso è prevista l'esclusione; nel secondo devono essere trascorsi almeno tre anni senza recidive per ottenere l'ammissione.
Infine monsignor Girotti si è soffermato su alcuni "casi complessi e delicati": i fenomeni diabolici, o mistici o di presunta soprannaturalità; gli scrupolosi e i recidivi. Come è facilmente intuibile, i fenomeni diabolici si riferiscono a possessioni, ossessioni o vessazioni. Consigliano comunque l'intervento dell'esorcista. Come pure l'intervento di confessori esperti consigliano i fenomeni legati al misticismo che spesso sconfinano nell'illusione, nell'isteria o in altre sindromi. Diversi sono invece i casi degli scrupolosi e quelli dei recidivi. I primi sono quelli che hanno l'abitudine o "la mania", come ha detto monsignor Girotti, di correre da un confessore all'altro per paura che il primo, o gli altri successivi, l'abbiano frainteso o non abbiano ben capito il suo peccato e sentono comunque l'urgenza di riconfessarlo. In questi casi il buon confessore deve convincere a scegliere "un confessore stabile e ad avere fiducia in lui". I recidivi sono quelli che continuano a ricadere nello stesso peccato per il quale continuano a confessarsi. Nel confessionale insomma, è questo il primo insegnamento dato al corso, occorre molta pazienza.

(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2008)

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