5 marzo 2008

Un saggio sulle rivolte giudaiche: "L'impero romano e il popolo ebraico. Una protezione un po' ingombrante" (Osservatore)


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Un saggio sulle rivolte giudaiche

L'impero romano e il popolo ebraico
Una protezione un po' ingombrante


di Manlio Simonetti

È di poche settimane fa la pubblicazione, a cura di Paolo Vian, di una conferenza tenuta, nel novembre 2006, presso la British School di Roma dal noto studioso di storia romana, Werner Eck sul tema "Rom herausfordern: Bar Kochba im Kampf gegen das Imperium Romanum"; nel volume, il ventiquattresimo della collezione dell'Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell'Arte di Roma, sono pubblicati sia il testo in tedesco della conferenza sia la traduzione italiana, integrata da una bibliografia dello studioso. Eck, valorizzando, con ammirevole senso critico, disparato materiale archeologico ed epigrafico, a volte di nuova acquisizione, ha integrato e reso più corposi gli scarsi dati, provenienti dallo storico Cassio Dione, che ci informano sulla grande rivolta degli ebrei, capitanati da Bar Kochba, contro i romani, che ebbe per teatro la Giudea e località vicine. Le ostilità, frazionate in uno stillicidio di azioni di guerriglia, durarono ben quattro anni, dal 132 all'inizio del 136 e richiesero ai romani, sotto la guida del loro migliore generale, Giulio Severo, e la diretta sovrintendenza dell'imperatore Adriano, un grande sforzo bellico, che costò loro numerose perdite. Quanto agli ebrei, fu un vero e proprio sterminio: Cassio Dione parla di 580.000 morti combattendo e di un numero inestimabile di caduti per fame, malattia e fuoco; 50 roccheforti e 985 villaggi furono rasi al suolo e tutta la Giudea fu ridotta a un deserto. Questa guerra mise fine a un'ostilità degli ebrei palestinesi nei confronti dei romani, che rimontava a circa duecento anni prima e che, in precedenza, si era concretata in una serie pressoché ininterrotta di atti di ostilità più o meno violenti, culminati nella rovinosa guerra giudaica degli anni 66-70, da noi molto ben conosciuta grazie alla Guerra giudaica di Flavio Giuseppe. Osservato in questa ottica, il rapporto tra ebrei e romani sembra essere stato caratterizzato soltanto da aperta inimicizia: eppure proprio Flavio Giuseppe, testimone oculare della spietata violenza della reazione romana alla ribellione ebraica del 66, fu convinto che solo la protezione dei romani potesse assicurare agli ebrei la possibilità di sopravvivere, e anche prosperare, in un ambiente a loro molto ostile.
Vediamo di chiarire questa apparentemente vistosa contraddizione, e cominciamo col dire che i sentimenti antiebraici non furono suscitati, nel mondo antico, dai cristiani e neppure dai romani, perché rimontavano più in alto nel tempo. Quando Alessandro Magno conquistò l'immenso impero persiano, anche se quel dominio si frantumò subito dopo la sua morte (323 avanti Cristo), nei regni che ne risultarono (Egitto, Siria), pur ostili e continuamente in guerra tra loro, cominciò un'opera di vivace ellenizzazione delle regioni conquistate, che si diffuse soprattutto, ma tutt'altro che esclusivamente, negli ambienti socialmente ed economicamente egemoni. Anche gli ebrei, passata la Palestina dal dominio persiano a quello macedone, ne furono oggetto, mentre la regione veniva contesa tra Egitto e Siria; ma qui il processo di ellenizzazione provocò una forte reazione. In effetti gli ebrei avevano alimentato un forte sentimento di identità nazionale durante gli anni dell'esilio a Babilonia, fondato sul culto dell'unico Dio Jahvé e su un complesso di particolari norme cultuali e legali, sicché a fronte del cedimento di tanti alle lusinghe della superiore civiltà ellenistica alcuni integralisti, fermamente attaccati alle loro tradizioni religiose ed etniche, innalzarono il vessillo della ribellione, sotto la guida dei cosiddetti fratelli Maccabei. Prima Giuda, poi Gionata, infine Simeone, profittando abilmente della reciproca ostilità che logorava le forze di egiziani e siriani, riuscirono a rivendicare un'autonomia che gradualmente diventò vera e propria indipendenza, con l'instaurazione, in tutta la Palestina, di un vero e proprio regno, detto degli Asmonei, il che comportò il trionfo delle tendenze tradizionaliste e integraliste e l'annichilimento di ogni spinta in senso ellenofilo. Da questo complesso stato di cose derivarono due conseguenze intrinsecamente contraddittorie: da una parte, le continue ostilità prima tra egiziani e siriani e poi degli ebrei contro gli uni e gli altri spinsero molti ebrei a emigrare dalla Palestina per cercare migliori condizioni di vita nelle regioni limitrofe e, gradualmente, anche in quelle più lontane, soprattutto in oriente ma poi anche in occidente - diaspora ("dispersione") - d'altra parte, l'atteggiamento ellenofobo degli integralisti ebrei, per cui in sostanza essi erano e intendevano rimanere diversi rispetto all'ellenizzato mondo circostante, e il trascendere delle violenze anche nelle regioni vicine alla Palestina vi provocarono l'insorgere di sentimenti antiebraici, che gradualmente si intensificarono e si diffusero in tutti i Paesi dell'oriente mediterraneo.
Nel 63 avanti Cristo arrivarono i conquistatori romani, sotto la guida di Pompeo, e profittando di contrasti interni tra i sovrani asmonei, espugnarono Gerusalemme e posero fine all'indipendenza, instaurando una sorta di protettorato. Un momento decisivo, nel rapporto tra ebrei e romani, si ebbe nel 47 avanti Cristo, quando Cesare, trovatosi in difficoltà in Egitto dopo la morte di Pompeo, fu soccorso dal sommo sacerdote ebreo Ircano e da Antipatro, un potente personaggio che aveva mire ambiziose sulla Palestina. Cesare, riconoscente per l'aiuto ricevuto, non soltanto confermò la posizione di preminenza di Ircano e Antipatro in Palestina, ma emanò anche alcune disposizioni che assicuravano protezione a tutti i giudei che risiedevano nei confini dell'impero romano. Questi privilegi furono confermati da tutti i successivi imperatori romani, con l'eccezione del breve regno di Caligola, anche da Vespasiano e Tito al tempo della guerra giudaica del 66 e da Adriano al tempo di quella del 132. Quando l'imperatore cominciò a essere venerato come un dio, solo gli ebrei, nell'ambito di tutto l'impero, vennero esentati dal prestargli atto di culto. Se l'atteggiamento di favore di Cesare nei confronti degli ebrei si può spiegare come motivato dalla riconoscenza per l'aiuto prestatogli in guerra, non appare chiaro perché i privilegi da lui accordati a tutti gli ebrei siano stati confermati dai suoi successori: come motivazione di questo atteggiamento favorevole sono stati addotti sia il rispetto per la veneranda religione etnica degli ebrei sia la dovuta considerazione per la potenza economica degli ebrei della diaspora, particolarmente rilevante ad Alessandria e nella stessa Roma.
Ma mentre i romani favorivano gli ebrei nell'ambito di tutto l'impero, la situazione degli ebrei di Palestina peggiorava gradualmente, in quanto gl'integralisti ritenevano che con la loro stessa presenza in quella regione i conquistatori romani contaminassero il Paese. Al tempo delle guerre civili che si ebbero dopo la morte di Cesare, Erode, figlio di Antipatro, destreggiandosi con eccezionale abilità tra i vari contendenti, riuscì a conquistarsi il favore prima di Antonio e poi di Ottaviano, il che gli permise di acquistare un regno vassallo dei romani, di grandi dimensioni nella Palestina e in alcune regioni confinanti. Erode aveva grande abilità di governo e nessun rispetto per la vita umana, sicché per tutto il suo lungo regno (39-4 avanti Cristo) riuscì a reprimere con spietata energia ogni tentativo insurrezionale; ma, morto lui e rivelatisi inetti i suoi successori, la situazione peggiorò immediatamente. La rivolta che seguì alla sua morte fu repressa duramente dai romani: Flavio Giuseppe ci dice di duemila persone fatte crocifiggere da Quintilio Varo in quanto responsabili della rivolta (Antichità giudaiche XVIII 295), ma i disordini continuarono. Deposto il figlio di Erode, Archelao, i romani decisero di far amministrare la Giudea direttamente da funzionari romani; ma la situazione andò gradualmente peggiorando anche per l'inettitudine di alcuni governatori, tra i quali ricordiamo, dal 26 al 35 dopo Cristo, Ponzio Pilato, mentre i giudei traevano fiducia e forza dalla speranza nell'avvento dell'atteso Messia che avrebbe annientato gli oppressori. Il continuo crescendo di violenze e disordini sfociò, nel 66, nella grande ribellione che dette origine alla Guerra giudaica. Neppure la violenza della repressione, che portò alla distruzione di Gerusalemme, ivi compreso il tempio, risolse la situazione, e soltanto l'esito disastroso della rivolta del 132 mise fine a ogni tentativo, da parte dei pochi superstiti, di rivendicare la libertà.
Come abbiamo sopra accennato, il continuo susseguirsi di disordini in Palestina non distolse gli imperatori romani dal continuare la politica di favore nei confronti dei giudei che vivevano nell'ambito di tutto l'impero, neppure al tempo delle grandi rivolte, e questa politica fu decisiva per la loro sopravvivenza, data la generalizzata ostilità di cui essi erano fatti segno soprattutto nelle regioni orientali, ostilità che si estendeva anche al di là dei confini dell'impero, provocando a volta azioni ostili di eccezionale violenza: leggiamo in Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche XVIII 375-378) nel 40 a Seleucia sul Tigri, nel regno dei parti, in una sola notte vennero massacrati cinquantamila ebrei: anche se il numero dei morti è stato esagerato, questo episodio è eloquente testimonianza della precarietà della vita degli ebrei anche fuori dei confini dell'impero. E anche qui, se pur solo per un momento veniva meno la protezione dell'autorità romana, ecco che i sentimenti antiebraici sfociavano subito nella violenza. Quando infatti l'imperatore Caligola manifestò sentimenti che furono interpretati come di antipatia nei confronti degli ebrei, si scatenarono, nel 38, ad Alessandria grandi, efferate violenze a danno della comunità ebraica, che in quella città era particolarmente numerosa e ricca. Conosciamo bene questa drammatica vicenda soprattutto grazie al racconto che ce ne ha fatto Filone, il quale in quella vicenda fu direttamente coinvolto. Solo l'uccisione di Caligola (41) mise fine alla più che precaria condizione degli ebrei di Alessandria, perché il successore Claudio si affrettò a ripristinare le disposizioni tradizionali a favore degli ebrei e fece punire i principali responsabili delle violenza a danno di quelli.
Era tanto forte il sentimento antiebraico che, anche in regime di aperto favore da parte dell'autorità imperiale, le città ellenistiche cercavano di angariare in ogni modo gli ebrei che risiedevano presso di loro. Per esempio, dal solito Flavio Giuseppe apprendiamo (Antichità giudaiche XIV 231-232; 245-246; XVI 27-28, ecc.) che, al tempo della guerra civile che aveva fatto seguito all'uccisione di Cesare, varie città greche della Ionia avevano approfittato del vuoto di potere che allora si era verificato per prendere provvedimenti di varia natura a danno degli ebrei ivi residenti: impedivano loro di inviare le offerte in denaro al tempio di Gerusalemme; in caso di lite, li obbligavano a venire in giudizio nel giorno di sabato, sì che il giudeo osservante non poteva presentarsi e perdeva la causa; li costringevano al servizio militare e ad altri obblighi civili dai quali erano stati in precedenza esentati, e altro ancora. Gli ebrei, appena era possibile, protestavano presso i magistrati romani, e questi richiamavano quelle città al rispetto delle norme emanate in precedenza a favore di quelli e minacciavano multe ai trasgressori. In sintesi, i romani erano disposti a permettere agli ebrei di praticare le loro usanze caratteristiche, fino al punto di esonerarli, a motivo del riposo sabbatico, dal servizio militare, e di esentarli dall'ossequio dovuto alla divinità dell'imperatore a motivo del loro intransigente monoteismo. Non erano però disposti a transigere quanto alla loro sottomissione al dominio romano. Ne conseguivano, da una parte, l'intolleranza di ogni velleità autonomistica degli ebrei fino alle più drastiche conseguenze e, dall'altra, il rispetto per gli atteggiamenti che li caratterizzavano, religiosamente ed etnicamente, nei confronti di tutti gli altri abitanti nell'impero. Le conseguenze di questo atteggiamento bifronte furono, da una parte, la repressione, fin quasi all'annientamento, di ogni tentativo di contrastare il potere romano in Palestina; dall'altra, la possibilità per gli ebrei di praticare liberamente le loro usanze e i loro culti caratteristici in tutto l'ambito dell'impero, nonostante la forte ostilità che li circondava soprattutto nelle regioni orientali. Non aveva torto Flavio Giuseppe quando affermava che soltanto la protezione accordata dai romani permetteva la sopravvivenza del popolo ebraico.

(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2008)

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