4 marzo 2008

È possibile un’«alleanza» tra Pascal e Voltaire, tra ragione e fede? Filosofi a confronto sull’idea di Giorello. Le parole del card. Ratzinger...


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È davvero possibile un’«alleanza» tra Pascal e Voltaire, tra ragione e fede? Filosofi a confronto sull’idea di Giulio Giorello

Antiseri: «La tolleranza si basa sul riconoscere i limiti umani».
Givone: «Salviamo il mistero cui sanno rispondere solo l’arte o la fede». Botturi: «Ma c’è anche un razionalismo aggressivo»


DI EDOARDO CASTAGNA

Improntata al buon senso, l’idea lanciata da Giulio Giorello piace, ai filosofi. L’«alleanza» tra Voltai­re e Pascal, tra ragione e fede, pro­posta ieri sulle colonne del Corriere della Sera, è convincente, nella mi­sura in cui – però – della ragione e della fede si dà una certa lettura, ma­gari corretta ma purtroppo non per questo unanimemente condivisa. I Lumi settecenteschi vengono pre­sentati da Giorello come tutti im­prontati alla moderazione, alla tolle­ranza, alla sottolineatura dei limiti della ragione. Il che, però, è soltanto una parte di quel complesso movi­mento, e «significa già una scelta», osserva Francesco Botturi: «All’in­terno della grande famiglia illumini­sta, Giorello ha deciso di privilegia­re una parte: ma è solo una parte, perché non dobbiamo dimenticare che esiste anche un illuminismo ben diverso, aggressivamente razionali­sta. Il richiamo ai limiti dell’uomo è certamente importante, però non sufficiente: il senso del limite può an­che tradursi in rassegnazione a una finitezza chiusa in se stessa. È ne­cessario invece che ci sia un’apertu­ra religiosa, che il senso del limite rinvii oltre se stesso; la mente uma­na non è capace soltanto di finitez­za, ma anche, in qualche modo, di relazione con l’infinito. Questa è sta­ta la grande tradizione religiosa del Seicento, quella di Cartesio e di Pa­scal ».
Proprio Pascal è l’ispirazione che Giorello vorrebbe vedere unita con quella di Voltaire, elevato a emblema del secolo dei Lumi. «Attenzione però – puntualizza Dario Antiseri –: Vol­taire, che teorizza la tolleranza come corollario dell’umana fallibilità – tol­leriamoci, diceva, perché siamo tut­ti soggetti all’errore – è solo una par­te dell’illuminismo. Dobbiamo di­stinguere tra i Lumi di scuola scoz­zese, tesi a mostrare i limiti della ra­gione umana (pensiamo ad Hume) e quelli di scuola francese, in cui c’è una tale esaltazione della ragione u­mana, che porterà Hayek a definire il Settecento francese 'l’irragionevo­le età della ragione'. Invece Pascal, proprio perché un grande razionali­sta, ha visto i limiti della ragione u­mana ». Tanto che, da questo punto di vista, è possibile interpretarlo «co­me un pre-illuminista», come sug­gerisce
Sergio Givone, a sua volta fa­vorevole alla proposta di Giorello: «Mi sembra un’ottima idea: di illu­minismo c’è un gran bisogno, al gior­no d’oggi. Viviamo in un’epoca for­temente irrazionalistica, si crede ai maghi e agli idoli, si adorano fetic­ci… un deciso richiamo al valore del­la ragione non può che far bene. Soprattutto se non è un richiamo a senso unico.
Spesso l’illuminismo esclu­de tutto ciò che non è ragio­ne – la fede, per esempio. In questo caso, invece, no: ri­chiede la fede, la vuole. L’il­luminismo è anche e soprat­tutto consapevolezza dei li­miti della ragione: ed ecco l’apertura verso Pascal, uo­mo di fede. È positivo tentare di te­nerlo insieme a Voltaire: due autori, per rispondere a una doppia esigen­za ».
«Sul piano etico – prosegue Antiseri – Pascal ci dice che l’uomo, con tut­ta la sua ragione, non può conosce­re che cosa sia bene e che cosa ma­le: questo lo coglie soltanto dal Van­gelo. E, dal punto di vista teologico, pone il problema della scelta radica­le della fede, contro il Dio dei filoso­fi e dei dotti. Se le prove metafisiche dell’esistenza di Dio fossero valide, si chiede, che fine farebbe la fede? Vol- taire era un deista; per Pascal, il ve­ro Dio è Gesù Cristo, e senza Gesù Cristo non conosceremmo niente: né di Dio, né dell’uomo». Una sintesi, allora può essere tentata soltanto in­sistendo su Voltaire «come colui che guarda all’uomo come fallibile, né onnisciente né onnipotente, e che su questa consapevolezza ha basato la sua idea di tolleranza. Una ragione laica che riflette su se stessa e che ve­de i suoi limiti può realmente anda­re d’accordo con la concezione cri­stiana, che vede l’essere umano co­me creatura, non onnipotente».
Conferma Botturi: «Una certa esal­tazione della ragione umana è, di per sé un’istanza perfino positiva, come ha ricordato anche il Papa in più di un luogo; il problema è che in gene­re la razionalità illuministica è iden­tificata con la razionalità tecnico­scientifica. E così si perde il senso cri­tico del limite».
Oggi i Lumi, quindi, hanno tutto da guadagnarci dallo sposalizio con la fede di Pascal. Ma c’è un problema: Pascal è netto nell’affermare che per lui Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, non il Dio dei filosofi e del­la ragione: «Ovvero – conclude Givo­ne – non è il Dio dei filosofi che so­no soltanto filosofi. 'La vera filosofia si fa beffe della filosofia', dice Pascal – restando filosofia, fermamente an­corata alla ragione ma consapevole dei limiti della ragione stessa». Tra Pascal e Voltaire, quindi, un’aria di parentela c’è: «Ma le difficoltà na­scono dopo, quando l’illuminismo si è scontrato con il mondo attuale e ha prodotto i guasti che sappiamo. La ragione è diventata ragione stru­mentale, votata al dominio e al pos­sesso. Persa la consapevolezza del proprio limite, non ha saputo – pa­scalianamente –farsi beffe di se stes­sa. Eppure, al di là della ragione c’è il mistero: non uno spazio vuoto, e­lemento negativo, ma la sorgente di tutte le nostre domande più profon­de, quelle alle quali magari non sap­piamo dare risposta ma che non per questo cessano di essere vere. La dif­ferenza passa qui: c’è un illuminismo che considera le domande che sgor­gano dal mistero come irrilevanti, co­me domande che non hanno senso; e c’è un illuminismo, invece, che sta di fronte al mistero e e alle sue do­mande: se la ragione non sa rispon­dere, non ne fa discendere che quel­le domande siano prive di senso. Ci sono altri luoghi dello spirito dove trovano risposte: nella religione, per esempio, o nell’arte».

© Copyright Avvenire, 4 marzo 2008


Ratzinger disse: i meriti dei philosophes distrutti dai loro figli

In un discorso tenuto a Subiaco poco prima dell’ascesa al soglio, rivendicò il legame tra il cristianesimo, fede del «logos», e la filosofia

Poche setti­mane pri­ma della sua a­scesa al Soglio, il cardinale Joseph Ratzinger ha te­nuto, ricevendo a Subiaco il pre­mio «San Bene­detto », un’im­portante «lec­tio », nella quale parlò anche di illuminismo e neoilluminismo. Ratzinger ri­cordò che «l’il­luminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana» e che, nel Sette­cento ebbe una funzione saluta­re «laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato». Nel contesto dell’An­cien Regime, anzi, «è stato merito dell’illu­minismo aver riproposto i valori originari del cristianesimo», ovvero il suo essere «la religione del 'logos'», che «ha compreso se stessa fin dal principio come la religione se­condo ragione», che «in quanto religione dei perseguitati, in quanto religione universale, al di là dei diversi Stati e popoli, ha negato allo Stato il diritto di considerare la religio­ne come una parte dell’ordinamento stata­le ». Ma questo poté accadere solo perché «a quell’epoca le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resta­vano ». E proprio questo segna il netto di­stacco tra i Lumi settecenteschi e l’odierno neoilluminismo. Ratzinger indicava un’«au­tolimitazione della ragione positiva, che è a­deguata nell’ambito tecnico, ma che, laddo­ve viene generalizzata, comporta invece una mutilazione dell’uomo.

Ne consegue che l’uo­mo non ammetta più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli e anche che il con­cetto di libertà, che potrebbe sembrare e­spandersi in modo illimitato, alla fine porta all’autodistruzione della libertà».

© Copyright Avvenire, 4 marzo 2008

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