5 marzo 2008

Vaticano e Islam, prove di dialogo (Aldo Maria Valli per "Europa")


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Vaticano e Islam, prove di dialogo

ALDO MARIA VALLI

In Vaticano i toni sono tenuti volutamente bassi e si insiste molto sul fatto che la riunione è solo «preliminare» e di «carattere tecnico-operativo». Però è fuori discussione che ciò che sta avvenendo in questi giorni ha una portata storica nei rapporti tra la Chiesa cattolica e il mondo islamico.
Per la prima volta infatti una delegazione di rappresentanti musulmani è a Roma, ospite del papa, per preparare il terreno a un possibile incontro con il pontefice.
I leader islamici in questione, «sapienti» come essi stessi amano definirsi, sono 138 in rappresentanza di 43 nazioni e il 13 ottobre dell’anno scorso hanno sottoscritto una lettera aperta al papa e ad altri esponenti cristiani con la proposta di avviare una fase nuova nei rapporti fra mondo musulmano e cristianesimo.
La delegazione islamica è composta da Abdel Hakim Murad Winter della university of the Muslim academic trust (Regno Unito), Aref Ali Nayed, già docente del pontificio istituto di studi arabi e orientali (Pisai), Sergio Yahya Pallavicini della comunità religiosa islamica italiana (Coreis), Ibrahim Kalin della Seta foundation di Ankara e Sohail Nakhooda, direttore di Islamica magazine.
Da parte vaticana invece partecipano il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (tornato da pochi giorni dal Cairo, dove ha partecipato a un incontro con i vertici dell’università al- Azhar), il segretario del dicastero vaticano, monsignor Pierluigi Celata, e il preside del Pisai padre Miguel Angel Ayuso Guixot, missionario comboniano che ha lavorato per tanti anni in Egitto e Sudan.
La riunione è sì procedurale, per mettere a punto la data dell’incontro con il papa (si parla della primavera prossima) e la composizione della delegazione islamica, ma il valore dell’incontro va al di là dell’aspetto tecnico e per capirlo bisogna ricordare come si è arrivati a questo passaggio.

Un mese dopo la sua lezione all’Università di Ratisbona (12 settembre 2006), mentre infuriavano le polemiche per la presunta offesa di Benedetto XVI a Maometto, venne recapitata al papa tramite la nunziatura apostolica di Amman una lettera aperta di trentotto personalità musulmane di differenti paesi nella quale, evitando di lasciarsi trascinare dalle violenze verbali di chi il discorso non l’aveva neppure letto, i firmatari, tra i quali il principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere speciale del re di Giordania, accoglievano e apprezzavano i chiarimenti fatti dal papa (soprattutto nell’incontro con gli ambasciatori dei paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa sede, tenutosi a Castelgandolfo il 25 settembre 2006) e condannavano con parole ferme l’assassinio avvenuto a Mogadiscio di suor Leonella Sgorbati: «Siamo in dovere di attestare – scrivevano – che l’uccisione di una innocente suora cattolica, e ogni altro simile atto di insensata violenza su individui in reazione alla lezione all’università di Ratisbona è completamente fuori dall’Islam, e noi condanniamo totalmente tali atti».
Molto significativo è anche il fatto che già prima della lettera dei trentotto, attraverso visite di suoi inviati alla nunziatura di Baghdad, l’ayatollah iracheno Ali Al Sistani, il più autorevole leader dell’islam sciita, avesse espresso amicizia a Benedetto XVI e il desiderio di un incontro con lui a Roma.
Un anno dopo la lettera dei trentotto è poi arrivato in Vaticano un secondo documento, detto dei 138, al quale il segretario di stato ha subito risposto e che lo stesso Benedetto XVI, parlando alla curia romana nel dicembre 2007, ha illustrato con queste parole: «Mi piace qui ricordare la lettera gentilmente inviatami da 138 leader religiosi musulmani per testimoniare il loro comune impegno nella promozione della pace nel mondo. Con gioia ho risposto esprimendo la mia convinta adesione a tali nobili intendimenti e sottolineando al tempo stesso l’urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso dell’esistenza di un unico Dio, provvido creatore e giudice universale del comportamento di ciascuno, costituisce la premessa di un’azione comune in difesa dell’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più giusta e solidale».

Le parole del papa fanno capire quale sia per Ratzinger l’orizzonte del possibile confronto. È l’impostazione data al dialogo dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate, testo molto apprezzato dagli esponenti islamici più illuminati e che ancora oggi, per il Vaticano, può fare da valida base all’apertura di una nuova fase nei rapporti fra le due grandi religioni.
Come ha sottolineato la Civiltà cattolica (dicembre 2007) in millequattrocento anni di relazioni tra cristiani e musulmani non si era mai verificato che tante personalità islamiche, tra intellettuali e guide religiose, si riunissero per scrivere ai massimi rappresentanti cristiani (oltre al papa, il patriarca ecumenico, il capi delle Chiese ortodosse, l’arcivescovo di Canterbury, i più alti responsabili luterani, metodisti, battisti e riformati) nel segno del rispetto e del dialogo. E importante è il titolo dato alla lettera dei 138: “Una parola comune tra voi e noi” è frase tratta da un famoso verso del Corano che si rivolge alla «gente del libro», quindi a ebrei e cristiani, e dice così: «Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri dei che Dio, e non associamo a lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio» (Corano 3, 64).
Mettendo a confronto passi del Corano e della Bibbia l’appello sottolinea il primato dell’amore a Dio e al prossimo e, ricordando che cristiani e musulmani formano da soli più della metà della popolazione mondiale, sostiene che la relazione tra loro è «il più importante fattore per il mantenimento della pace in tutto il mondo».
A commento dell’incontro di questi giorni la Radio Vaticana ha sostenuto che di certo i problemi non sono risolti ma si aprono «prospettive interessanti». Nei sacri palazzi è stato apprezzato lo sforzo dei 138 saggi musulmani per inserire il diritto alla libertà religiosa fra le espressioni concrete dell’amore per il prossimo, tema che sta molto a cuore al Vaticano considerata la difficile situazione delle comunità cristiane minoritarie nei paesi musulmani.

Nel mondo islamico incominciano a emergere posizioni diverse e la Santa sede vuole soprattutto che alcuni orientamenti culturali in materia di libertà religiosa incomincino a diventare prassi giuridica.
Questo il banco di prova e di verifica del dialogo.

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