4 marzo 2008

Da oggi al 9 marzo la visita del cardinale Bertone in Armenia e Azerbaigian: le speranze della Chiesa nelle parole del nunzio, mons. Gugerotti (R.V.)


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Da oggi al 9 marzo la visita del cardinale Bertone in Armenia e Azerbaigian: le speranze della Chiesa nelle parole del nunzio, mons. Gugerotti

E’ iniziato oggi il viaggio in Armenia del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, la cui partenza da Roma era stata rimandata domenica scorsa a seguito dei violenti scontri nel Paese dopo le elezioni presidenziali e lo stato di emergenza dichiarato dal governo dell’ex Repubblica sovietica, indipendente – ricordiamo - dal 1991, visitata da Giovanni Paolo II nel 2001. Il soggiorno del cardinale Bertone in Armenia, su invito della autorità religiose e civili, durerà tre giorni e precede la visita nel confinante Azerbaigian, dal 6 al 9 marzo. Nella prima giornata, in programma a Etchmiadzin - sede della Chiesa armena apostolica - l’incontro del porporato con il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II, e la consegna di una Lettera autografa di Benedetto XVI, a confermare la stima e il desiderio di procedere nel cammino ecumenico. In seguito, il cardinale Bertone incontrerà, nella capitale Yerevan, il primo ministro Serge Sarkisian. Sono però possibili variazioni all’agenda prevista. Ma sulla situazione nel Paese ascoltiamo l’arcivescovo Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaigian, intervistato da Giovanni Peduto:

R. – La situazione in Armenia rimane molto tesa a causa della contrapposizione politica che si è verificata dopo le elezioni e a causa dello spargimento di sangue dei giorni scorsi e dello stato di emergenza che ancora perdura.

D. – Quali sono le prospettive?

R. – Le prospettive sono molto nebulose. Credo che un compito molto importante avrà la diplomazia internazionale per evitare che questa contrapposizione politica possa diventare uno scontro permanente e bloccare il Paese.

D. – Quali sono le attese per questo viaggio del cardinale Bertone?

R. – Le attese sono molto forti, anche perché come è ben comprensibile in questo momento non ci sono visite ufficiali. Il cardinale, pur ritardando di due giorni la visita, ha voluto confermarla, proprio per dare un senso particolare della presenza della Chiesa cattolica, della Santa Sede, del Santo Padre, accanto al popolo armeno in questo momento di grande sbandamento e difficoltà interiore. Le attese sono molto grandi, anzitutto per una consolazione spirituale. C’è poi il tentativo della Chiesa armena apostolica di pacificare la situazione, gli animi, le difficoltà concrete. E poi anche il fatto che il cardinale si incontrerà con le massime autorità civili. Quindi, certamente, porterà un invito molto vibrante, perché cessi ogni tipo di contrapposizione violenta, che potrebbe essere fatale per questo Paese.

D. – Il cardinale Bertone visiterà poi anche l’Azerbaigian, che al contrario dell’Armenia, è un Paese a maggioranza musulmana. Qual è la situazione? Quale Paese si troverà davanti il porporato?

R. – Si troverà davanti un Paese che tenta disperatamente di uscire dall’eredità postsovietica e che quindi tenta di superare i problemi che ne conseguono: la corruzione, la difficoltà nel far partire un’economia che sia effettivamente a vantaggio di tutti e non solo concentrata nelle mani di pochi, un Paese che sta facendo di tutto, per sfuggire alla morsa del fondamentalismo islamico e che vuole porsi come esempio di tolleranza e per questo ha invitato il cardinale.

D. – Qual è la situazione dei cristiani in Azerbaigian?

R. – I cristiani in Azerbaigian sono di tre tipi. C’è una presenza tradizionale della Chiesa ortodossa russa, molto numerosa come comprensibile, ma anche in una posizione di grosso pericolo, perché sarebbe una delle vittime principali di questo fondamentalismo, dal momento che la Cecenia è molto vicina. La seconda, è la presenza dei cattolici, una presenza molto limitata di numero, fatta di emigrati, o meglio immigrati per ragioni di lavoro, oppure di discendenti da famiglie di origine cattolica. Poi c’è un pullulare di gruppi religiosi cristiani, che chiamiamo “nuove chiese” oppure “sette”, che sono sempre più diffusi, perché c’è un’enorme ricerca nel Paese, soprattutto da parte dei giovani, di una prospettiva di vita che possa essere permanente. Quindi, la situazione religiosa è molto fluida e le autorità musulmane sono impegnate per il momento a promuovere un grande impegno di tolleranza. La Santa Sede desidera appoggiarle in questo e mostrare che una convivenza e un affetto reciproco, pur nelle difficoltà esistenti, è possibile.

D. – Lei è nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaigian, quali sono le sue speranze per queste terre?

R. – Le speranze sono che si possa presto uscire da questa situazione di transizione dalla mentalità e anche dall’eredità del mondo sovietico, e che si possa lasciare a queste terre la possibilità di esprimere il meglio di sé. Perché questo avvenga è necessario che l’Europa si accorga che esistano e che esistono autonomamente dai propri interessi, ciò vuol dire che non sono solo dei luoghi strategici da poter raggiungere, ma sono delle reali risorse con cui potersi confrontare. Il ruolo dell’Occidente in queste aree è determinante per il futuro di questa regione, strategicamente importantissima.

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